Allo Stato il coordinamento dell’informatica della PA

La sostituzione della parola “dati” con “dati, processi, architetture e relative infrastrutture” potrà cambiare, nella Costituzione, il ruolo dello Stato nel campo del coordinamento informatico. E’ accaduto grazie a un emendamento al comma R dell’articolo 117 passato all’unanimità grazie al gioco di squadra bipartisan dei parlamentari innovatori. Abbiamo discusso le conseguenze per l’accelerazione nella digitalizzazione della Pa e del Paese, con i principali protagonisti di questo risultato, Stefano Quintarelli e Antonio Palmieri

Pubblicato il 02 Mar 2015

L’11 febbraio è stato approvato all’unanimità (con 4 astenuti) un emendamento costituzionale che indica le competenze in campo informatico di Stato e Regioni. Il comma R dell’articolo 117 della Costituzione, assegnava, prima dell’emendamento, allo Stato centrale il coordinamento informatico dei dati.

Risultati della votazione all'emendamento al comma R dell’articolo 117.

Spiega Stefano Quintarelli (deputato di Scelta Civica), che ha proposto, insieme a Paolo Coppola (deputato Pd) l’emendamento poi ritirato e subito riproposto da Antonio Palmieri (deputato di Forza Italia): ”Questo articolo era nato in un’epoca pre-Internet, quando ci si scambiava i dati con stampe, nastri e dischi. Oggi, nel secolo della rete, limitare il coordinamento informatico ai soli dati è come accordarsi su dimensione del pallone e del campo, ma non su come funzionano rimessa laterale e fuorigioco”. O, per fare un parallelo con la governance di un’impresa, sarebbe come impedire alla direzione aziendale di definire i processi di integrazione fra casa madre e filiali, limitandosi alla richiesta dell’invio dei report via fax.

La consapevolezza di battersi per una scelta giusta, al di là degli schieramenti dei partiti, è stata tale che si è ottenuto un risultato sensazionale, in tempi di scontri frontali: un voto unanime.

A qualche giorno di distanza vorremmo però capire, con i principali protagonisti, quali potranno essere le conseguenze concrete nel medio-lungo periodo, visto che si dovrà aspettare che la norma sia operativa dopo i passaggi nei due rami del parlamento e l’eventuale referendum confermativo.

“L’affermazione che il coordinamento delle piattaforme e delle procedure informatiche spetta allo Stato centrale avrà come risultato un’accelerazione dei tempi, riducendo la necessità di concertare con regioni e provincie a statuto speciale, eviterà la moltiplicazioni dei costi e aiuterà ad eliminare le piattaforme che non dialogano fra loro- sottolinea Palmieri che sintetizza: “La possiamo considerare una norma contro il campanilismo digitale”. Nel frattempo le priorità non cambiano. “E’ necessario completare quanto già in cantiere – aggiunge – La maggior parte delle norme per la digitalizzazione sono già scritte, vanno solo applicate superando le resistenze che nascono anche da carenze culturali”.

“Di per sé l’emendamento si limita a cambiare una regola del gioco che renderà possibile il coordinamento informatico dal centro, togliendo così un blocco che anche i futuri governi potranno sfruttare – commenta a sua volta Quintarelli, che fa qualche esempio – Supponiamo di voler creare un database per pubblicare in Open Data le informazioni sugli appalti o sulla spesa pubblica. Oggi grazie all’emendamento basta trovare una soluzione tecnica e invitare le amministrazioni a riversare i dati utilizzando una API e un XML definiti. Ma se alcune amministrazioni decideranno di non farlo, non potranno, come in passato, sollevare una eccezione di incostituzionalità”. Questo rischio ha invece disincentivato ad oggi alcune iniziative che avrebbero favorito l’interoperabilità per evitare un probabile conflitto fra Stato e Regioni.

Nei prossimi anni i Governi potranno invece porsi obiettivi ambiziosi in termini di interoperabilità, comunicazione e integrazione fra amministrazioni, con evidente aumento di efficienza, contenimento della spesa e una migliore relazione della Pa con cittadini e imprese.

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