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AI e robot giocano al piccolo chimico regalando speranze contro la crisi climatica

Nella ricerca di nuove strutture cristalline per realizzare chip, batterie, pannelli fotovoltaici e nuove tecnologie del futuro, l’utilizzo di software intelligenti e bracci robotici può aiutare. Non fanno tutto da soli, ma possono affiancare gli scienziati, abbattendo tempi e costi di un’impresa urgente, soprattutto quando consiste in una risposta alla grave crisi climatica in corso

Pubblicato il 31 Gen 2024

Immagine di asharkyu su Shutterstock

Non si sa ancora fino a che punto e con che affidabilità possano inventare materiali nuovi di sana pianta, ma sembra proprio che siano un utile supporto per gli scienziati chiamati a testarne di nuovi sempre più velocemente. Ancora una volta è l’etichetta di “alleati” quella che più si adatta a intelligenza artificiale e robot, anche dopo i nuovi annunci di Google DeepMind sulla ricerca di strutture cristalline innovative e promettenti. Di alleati ne abbiamo profondamente bisogno, viste le sfide ambientali e climatiche globali che dobbiamo affrontare. Potremmo farlo meglio se riuscissimo a sviluppare pannelli solari più performanti ma economici, o plastiche davvero riciclabili o, per esempio, a sfruttare l’energia dei rifiuti.

La sfida si basa sulle strutture cristalline

Per poter sperare di realizzare tutto questo serve accelerare sulla ricerca e la creazione di nuove strutture cristalline inorganiche. Si tratta di una sorta di “schemi” in cui gli atomi sono disposti secondo un pattern preciso e costante. Questa estetica tendente all’ossessione regala loro delle caratteristiche particolari che si manifestano in un aumento della capacità di conduzione elettrica o di trasmissione luce, oppure in fenomeni di magnetismo inaspettati.

Due esempi noti sono il grafene e il silicio. Il primo, molto utilizzato in ambito spaziale, deve i suoi “poteri speciali” termici alla disposizione esagonale dei suoi atomi di carbonio. Il silicio, invece, punta su una struttura cristallina cubica a diamante che lo rende prezioso per i microchip.

Trovare e sviluppare altre strutture così speciali e utili, non è un processo banale né veloce. Da sempre gli scienziati avanzano a tentoni, cercando di combinare i materiali già noti con altre molecole. È una sorta di lotteria, però, con tempi e tassi di successo non compatibili con la crisi climatica ed economica che stiamo affrontando.

Le simulazioni al computer accorciano i tempi e abbattono i costi, permettendo di capire se una nuova struttura è chimicamente stabile o meno prima di produrla in laboratorio. Servirebbe accelerare maggiormente il processo, però, e Google DeepMind si è dichiarato in grado di farlo. L’autore dell’annunciata svolta si chiama GNoME ed è un software AI basato su una rete neurale a grafo, addestrata sui dati di 69.000 cristalli noti. Il suo modello di intelligenza artificiale è in grado di prevedere le potenziali proprietà e di calcolare quanto potrebbe essere stabile un nuovo materiale conoscendone solo la struttura atomica o la formula chimica.

La sua attendibilità è stata testata attraverso tecniche computazionali consolidate note come Density Functional Theory (DFT). Le sue performance sembrerebbero interessanti e sono in gran parte legate alla scelta di utilizzare un tipo di addestramento chiamato “active learning”. Questo processo prevede che le prime previsioni di strutture e cristalli prodotte da GNoME vengano testate con la DFT e che i dati di training di alta qualità ottenuti siano poi sfruttati nuovamente per l’addestramento del modello.

Un robot cucina-molecole

Per il momento, a detta di Google DeepMind, GNoME avrebbe identificato 2,2 milioni di potenziali strutture cristalline di cui 380.000 sarebbero così stabili da poter essere d’aiuto nello sviluppo di tecnologie future. È stato anche fatto notare che 736 cristalli tra quelli “previsti” corrispondono a strutture che sono state verificate chimicamente in esperimenti precedenti e separati, anche di recente.

Come sostituti del grafene, GNoME ha proposto finora 52.000 composti con una struttura simile, 528 invece sono le alternative trovate per i conduttori di ioni di litio e 15 per gli ossidi di metalli di transizione di litio, utili sia nel campo dei superconduttori che delle batterie ricaricabili. Numeri che andranno a incrementare col tempo, ma che non regalano delle certezze, non annunciano miracoli. Però, confermano che l’intelligenza artificiale può aiutarci a capire se vale la pena produrre un nuovo composto in laboratorio e svilupparlo per fare business.

Anche i robot non sono da meno ed è in corso uno studio parallelo che lo dimostra, ma si tratta sempre di tecnologia “di affiancamento”, ben lontana dall’agire in autonomia. C’è sempre lo zampino di Google DeepMind e del suo GNoME, ma stavolta collaborano con i ricercatori del Lawrence Berkeley National Laboratory portando avanti il Progetto Materiali. In questo contesto, partendo dai consigli del software AI di Google, sono state selezionate 58 polveri inorganiche che reagiscono con l’ossigeno, l’anidride carbonica e l’acqua e sono state fatte preparare dal robot. Seguendo le istruzioni ricevute, un braccio artificiale ha autonomamente “cucinato” i composti lavorando h24 per 17 giorni, per produrre in totale 41 target, di cui 35 da ricette originali senza modifiche. Un tasso di successo migliorabile ma non scoraggiante, che conferma come valga la pena continuare il progetto. Tra le criticità più urgenti da sistemare, vi sono i tempi di reazione lenti, la volatilità dei materiali e le imprecisioni che hanno reso i composti chimico non abbastanza stabili.

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