Traguardare gli analytics: come risolvere i nodi critici

La tavola rotonda durante l’Executive Dinner organizzato da ZeroUno in partnership con Dedagroup sul tema dell’information governance ha fatto emergere barriere d’adozione e soluzioni possibili per i progetti analitici

Pubblicato il 16 Nov 2016

Carlo Vercellis

Come avviare e gestire i progetti di business intelligence e big data nella nuova azienda digitale? Il tema, con le numerose implicazioni, è stato discusso durante l’Executive Dinner “Gestire i dati per generare valore: come innovare il business con l’information governance”, organizzato da ZeroUno in partnership con Dedagroup.

Di questo servizio fanno parte anche i seguenti articoli:
LO SCENARIO – Business Intelligence e big data, come realizzare progetti di valore
IL CASO UTENTE – Gestione documentale, come guidare il change management

Il braccio di ferro tra It e business

Tra gli aspetti più dibattuti, la collaborazione tra Sistemi Informativi e Lob è stata indicata come chiave di successo per qualsiasi iniziativa.

Stefano Gianluigi Vellone, Responsabile Business Intelligence Systems di Sky Italia
  • “Oggi – ha affermato Stefano Gianluigi Vellone, Responsabile Business Intelligence Systems di Sky Italia – bisogna cortocircuitare It e business per ottenere la massima velocità di risposta. La business intelligence è tra i rami più importanti di un’azienda perché il dato è ricchezza, permette di conoscere il cliente e customizzare i prodotti, ma anche di modificare i processi. Le analitiche evidenziano, infatti, la distanza tra quanto prospettato dal business e ciò che invece si sta verificando”. Secondo Vellone la business intelligence permette all’It di essere propositivo nei confronti del business, perché in grado di rilevare i miglioramenti possibili su processi e prodotti grazie agli insights.
Carlo Vercellis, Responsabile dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence del Politecnico di Milano
  • Tuttavia, come ha sottolineato Carlo Vercellis, Responsabile dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence del Politecnico di Milano, a un It illuminato deve corrispondere il commitment del management: “Non è detto che progetti pilota con esiti positivi abbiano seguito, proprio a causa di una serie di resistenze culturali da parte del business”.

Perché gli analytics fanno paura

Timore di perdere posizioni di egemonia all’interno dell’azienda da parte di chi fino ad oggi è stato l’owner della conoscenza (come si sa, la conoscenza è “potere” e se è diffusa questa egemonia può venire minata) o la preoccupazione di dover cambiare un modo di lavorare ormai consolidato: sono alcune delle motivazioni per cui gli analytics “fanno paura”, come hanno spiegato alcuni partecipanti.

Alessandro Bruni, Cio di Baglioni Hotels
  • A questo proposito è intervenuto Alessandro Bruni, Cio di Baglioni Hotels, società dove la business intelligence è entrata su più fronti a partire dal 2006 (analisi dei costi e del fatturato, delle performance relative agli addetti prenotazioni, dei circuiti di acquisto per capire le abitudini dei consumatori e individuare i canali più remunerativi). “Nel 2008 – ha raccontato Bruni – abbiamo introdotto il progetto di business intelligence per la revenue, che ha permesso di accelerare le operazioni di analisi e reporting. Alcune delle risorse interessate si sono sentite minacciate e non hanno visto l’opportunità per crescere su attività a maggiore valore”.
Giorgio Pesenti, Ict Manager del Gruppo Cmc
  • In generale, non bisogna pensare che il business sia smanioso all’idea di analizzare i dati; a volte ritiene che la propria personale esperienza e il “fiuto” siano più validi di quelle che ritiene essere complicate soluzioni dei cui risultati non si fida pienamente. “Piuttosto – ha fatto notare Giorgio Pesenti, Ict Manager del Gruppo Cmc – bisogna convincere le persone a spendere tempo nelle attività di business intelligence”.
Mauro Murazzi, It Director del Lanificio Loro Piana
  • Secondo Mauro Murazzi, It Director del Lanificio Loro Piana, l’introduzione della business intelligence trova resistenze soprattutto in aziende tradizionaliste, che hanno dettato per anni le esigenze del mercato e faticano a comprendere l’inversione di tendenza: “Oggi guida la domanda ed è fondamentale intercettare e anticipare le richieste del cliente con strumenti analitici. La principale criticità è fare capire agli addetti Marketing & Sales che esistono tecnologie a supporto dei processi decisionali, finora basati su esperienza e creatività”.
Diego Zecchini, It Manager di Columbus Logistics
  • Un caso virtuoso di commitment aziendale è stato riportato invece da Diego Zecchini, It Manager di Columbus Logistics, dove sono stati realizzati progetti di business intelligence per l’analisi del fatturato e della movimentazione conto terzi. “Le analisi ci hanno permesso di scoprire fenomeni nascosti (ad esempio, l’andamento negativo di alcuni servizi) o di confermare e quantificare alcune intuizioni (come le zone di consegna critiche)”. Le maggiori resistenze, ha dichiarato Zecchini, arrivano invece dal middle-management, perché l’introduzione di nuove tecnologie cambia le abitudini lavorative.

Il Roi come freno alla Bi

Come emerso con chiarezza dalla tavola rotonda, il Roi rappresenta un altro forte deterrente all’avvio delle iniziative: la dirigenza chiede che gli investimenti si ripaghino a breve termine, pretesa che nel corso del dibattito è stata definita “miope” per progetti complessi di analytics.

  • Il suggerimento di Vercellis è stato di procedere attraverso una pluralità di piccoli Proof of Concept, con costi e tempi di realizzazione contenuti, che permettono di stimare i possibili ritorni delle iniziative estese.
Paolo Angelini, General Manager di Dedagroup Business Technology & Data
  • “I progetti di business intelligence non offrono la garanzia di ritorni predicibili, ma sono comunque misurabili nei risultati – ha puntualizzato Paolo Angelini, General Manager di Dedagroup Business Technology & Data -. Non credo tuttavia nelle sperimentazioni fini a se stesse, ma piuttosto inserite all’interno di una roadmap strutturata, anche con il supporto di specialisti esterni in grado di contribuire al raggiungimento degli obiettivi”.
Gabriele Rovati, Bi Project di Eni
  • Nonostante i freni iniziali, comunque, non mancano i casi virtuosi e innovativi sul campo. Gabriele Rovati, Bi Project di Eni ha portato al tavolo il tema del real-time monitoring, abilitato dalle nuove tecnologie, che permette di superare la Bi tradizionale incentrata sul reporting per andare verso modelli predittivi. Tra i diversi esempi, Rovati ha citato Enjoy, il servizio di car sharing offerto dal Gruppo: “Grazie alla miriade di dati provenienti dai veicoli, opportunamente filtrati – ha detto -, è possibile ottimizzare i percorsi stradali oppure le politiche manutentive, incidendo su una fascia di costi a 7-8 zeri”.

Il ruolo del data scientist

Nell’occhio del ciclone è rientrata anche la chiacchierata figura dell’analista, per cui si lamenta spesso la mancanza di percorsi formativi specifici (il Master istituito dal Politecnico di Milano rappresenta una rarità e un’eccellenza nel panorama accademico italiano).

  • “Il fenomeno big data – ha dichiarato Angelini – mette sul piatto la necessità di innovare sul fronte sia delle infrastrutture, che devono riuscire a gestire petabyte di informazioni, sia degli analytics che generano nuove sfide anche sul piano degli skill”. Per Angelini essenziale diventa la figura del data scientist (maturata in seno all’azienda o acquisita come consulenza esterna), che deve possedere conoscenze statistico-matematiche, ma anche una competenza specifica di dominio.
  • Sulla professione del data analyst si è espresso anche Vercellis, che però crede in un profilo più trasversale (“le competenze verticali possono essere acquisite”), ma con la capacità di comprendere rapidamente i processi aziendali. “Serve una figura a tutto tondo – ha affermato – che si intenda di tecnologie, metodologie e business”.

Dedagroup Business Technology & Data: nel mirino c’è l’information governance

All’Executive Dinner organizzato da ZeroUno, la divisione del Gruppo trentino dedicata alla gestione dei dati racconta mission e strategia

Organizzato da ZeroUno, l’Executive Dinner Gestire i dati per generare valore: come innovare il business con l’information governance è stato l’occasione per approfondire l’offerta di Dedagroup nel campo del (big) data management e degli analytics.

Attore dell’Information Technology nazionale, il Gruppo impiega 1.600 persone, ha raggiunto un fatturato di 230 milioni di euro nel 2015, ha quartier generale a Trento, otto sedi in tutta Italia e alcune filiali all’estero.

A occuparsi di information governance è la divisione Business Technology & Data, guidata dal General Manager Paolo Angelini, che ha sintetizzato la vision della società.

“La mission del Gruppo – ha spiegato – è accompagnare i clienti nella trasformazione digitale e la mia business unit si occupa in particolare di infrastrutture e soluzioni per la gestione delle informazioni. Siamo specializzati, insomma, nell’estrazione di valore dai dati per metterlo a disposizione dei clienti”.

Per la divisione di Angelini, i servizi gestiti rappresentano un’area in crescita (“Liberiamo le aziende dal peso della tecnologia, che è sempre più sofisticata e difficile da gestire”), mentre tra i temi centrali ci sono: la sicurezza (intesa come continuità di servizio e protezione dei dati), il governo delle infrastrutture, la gestione documentale, la business intelligence e la big data analytics, la misurazione delle performance.

“Abbiamo un centinaio di persone e oltre 700 clienti attivi, per un fatturato 2015 pari a 55 milioni di euro. Disponiamo di tre datacenter proprietari a Trento, Milano e Roma. L’80% del fatturato è generato in Italia, ma intendiamo incrementare il business all’estero, in particolare in Messico e negli Stati Uniti (dove siamo già presenti) con un focus sul settore bancario. Siamo già ben posizionati in Francia con un’applicazione per il Fashion e a Dubai con soluzioni Erp”.

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