Sistemi iperconvergenti: un mercato in crescita e diversificato

Le soluzioni hyperconverged infrastructure (HCI) guadagnano spazio fra le alternative per creare infrastrutture agili, convenienti e aperte verso il modello hybrid cloud. La tecnologia è matura, ma le proposte non sono tutte uguali e vanno analizzate con cura per evitare errori di investimento e vendor lock-in

Pubblicato il 10 Apr 2017

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Occupano una parte ancora relativamente piccola del mercato delle tecnologie per le infrastrutture IT, ma sono in forte crescita. Parliamo dei sistemi iperconvergenti, (o hyperconverged) che secondo uno studio di 451 Research, hanno generato nel 2016 a livello mondiale un fatturato di 1,8 miliardi di dollari, con un Cagr (Compound annual growth rate) del 41%. La società di analisi newyorchese stima che il giro d’affari globale dei sistemi  hyperconverged raggiungerà quasi i 6 miliardi di dollari nel 2020.

Le soluzioni HCI (Hyperconverged infrastructure) rappresentano un ulteriore step nell’applicazione della filosofia della virtualizzazione, con il suo obiettivo di semplificare la gestione delle infrastrutture e massimizzare l’utilizzo delle risorse hardware. Dalla semplice implementazione di software di virtualization in determinate risorse fisiche indipendenti (server, storage e networking) al fine di consolidare al loro interno più dati e applicazioni, si è passati negli ultimi passati a disporre di modelli di riferimento (creati da singoli vendor o da partnership fra provider diversi) per creare infrastrutture convergenti, in cui hardware (spesso di tipo commodity) per l’elaborazione, l’archiviazione e la connettività arriva in azienda già preintegrato e preconfigurato, di solito ottimizzato per determinati tipi carichi di lavoro (workload). Le soluzioni HCI portano questo concetto a un livello ancora più estremo, perché le componenti di compute, storage e networking sono addirittura preintegrate all’interno di appliance che si possono installare e mettere in produzione nel giro di pochi minuti. Tali appliance, disponibili in diversi tagli per capacità e performance, sono inoltre predisposte per integrarsi facilmente fra loro, come i mattoncini Lego, consentendo la creazione di ambienti scalabili quasi a piacere, gestiti da un unico punto di controllo (console). È lo stack software integrato in ciascun appliance, che si può definire nodo di un cluster, che si preoccupa di gestire tutte le problematiche inerenti all’integrazione con gli altri nodi.

Coesistenza con gli ambienti legacy

Le infrastrutture iperconvergenti, a differenza quindi di quelle convergenti, si basano sul concetto di “basic block” e permettono la creazione di ambienti con un’elevata granularità. Un altro vantaggio notevole è che questi mattoncini (che è bene scegliere fin dall’inizio di una dimensione congrua con un range di massima di esigenze dell’azienda, perché contengono risorse hardware e software già preintegrate ed è difficile “metterci le mani dentro”, così come avviene con le “scatole nere”) sono facilmente integrabili con le altre risorse preesistenti in un ambiente It legacy. Questo permette alle aziende, fa notare per esempio un recente studio di Gartner, di introdurre le HCI nei data center in modo graduale, sia per supportare nuovi progetti, sia per sostituire passo dopo passo le risorse su cui girano le applicazioni già esistenti, man mano che tali risorse giungono a fine vita. Nel procedere in questo modo, le imprese che modernizzano i propri data center “anche” con sistemi, o cluster di sistemi, iperconvergenti, rendono disponibili ai propri utenti e sviluppatori infrastrutture che, come sottolinea più volte in un altro studio la società di analisi Frost & Sullivan, sono “cloud-like”.

Essere cloud-like significa per gli ambienti creati con le HCI, potersi presentare agli end-user, alle LOB e agli sviluppatori di applicazioni, come risorse da cui approvvigionarsi di applicazioni e servizi di elaborazione e di archiviazione performanti, in modalità self-service, senza preoccupazioni di scalabilità. Trattandosi di sistemi installati on-premises, inoltre, i sistemi iperconvergenti risolvono a priori problemi o timori di rischi per la sicurezza dei dati. Visti sotto queste ottiche, le infrastrutture costituite con sistemi iperconvergenti possono rappresentare un’alternativa ad altre soluzioni per creare private cloud, integrabili da una parte con gli ambienti legacy che ancora svolgono egregiamente i propri compiti, e dall’altra con le public cloud, inserendosi così a pieno titolo fra le architetture che abilitano l’adozione di modelli It hybrid cloud.

L’importante è scegliere bene

Un ulteriore beneficio delle HCI è che la loro integrazione spinta di componenti quali server, storage, networking e altri software di integrazione e applicativi, permette alle aziende di affidarne sempre di più la gestione a personale IT non specialista di una determinata branca delle infrastrutture, ma generalisti. Questo vantaggio permette, da una parte, alle aziende di conseguire l’obiettivo di gestire più risorse infrastrutturali con meno persone, consentendo agli esperti IT di focalizzarsi su attività a maggiore valore aggiunto (leggasi ai processi di DevOps o all’introduzione di nuove tecnologie per il supporto ai social, al mobile o all’Internet of Things), e dall’altra di potenziare l’IT delle sedi periferiche o degli uffici remoti, installando localmente sistemi iperconvergenti gestibili centralmente o da pochi generalisti IT.

Il potenziamento dell’IT reso possibile da sistemi HCI (sia esso nell’ambito di un core data center o di un ambiente Ro-Bo-Remote office – branch office) è abilitato sia dalla facilità di installazione, dal modello cloud-like e dalla scalabilità consentita dai sistemi iperconvergenti, sia dalla qualità, quantità e potenza delle risorse hardware e software contenute a bordo di essi. Ecco quindi emergere l’importanza, per le aziende e i system integrator, di sapersi districare fra un’offerta in crescita, ma altrettanto differenziata fra un vendor e un altro. Quello delle HCI è un mercato che è stato fatto decollare negli ultimi tre-quattro anni soprattutto da alcune startup (Nutanix e SimpliVity, per fare i due nomi più noti), che nel giro di poco tempo hanno stretto accordi OEM con vendor più grandi quali HPE (che poi SimpliVity l’ha proprio acquisita), Dell EMCCiscoVMware ecc.; sono inoltre anche più volte cambiate le partnership in termini produttivi e commerciali. Un altro terreno di confronto è quello degli stack software alla base delle HCI, grosso modo ricollegabile alla competition fra software di virtualizzazione e cloud open source (OpenStack) con VMware e Microsoft. Ce n’è quanto basta per stare attenti a partire con il piede giusto per non sbagliare investimenti e evitare i sempre insidiosi vendor lock-in.

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