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La cloud transformation non passa necessariamente dal lift & shift

La tentazione di un approccio lift & shift alla cloud transformation è troppo alta per essere ignorata. Non sempre però, si rivela la strada più lungimirante.

Pubblicato il 28 Lug 2022

cloud transformation

Per capire quanto sia ancora lunga e tortuosa la strada della cloud transformation nelle aziende italiane basta guardare a come restino tuttora troppo vaghi alcuni principi fondamentali, e soprattutto quanta confusione ci sia sulla strada da seguire. Tra gli aspetti più importanti da chiarire, anche solo perché uno dei primi da affrontare, la realtà intorno al concetto di lift & shift. In particolare, su effettivi vantaggi e promesse non necessariamente in linea con la realtà. «Sicuramente il livello di percezione sull’argomento nel tempo si è alzato – osserva Riccardo Babbini, Practice Director dell’area dedicata a soluzione e strategie in cloud di Techedge -. Spesso però, restiamo ancora in un’ottica iniziale, dove veniamo contattati per sentito dire, per l’impressione di dover andare sul cloud per restare aggiornati o per vaghe idee sulla riduzione dei costi e la ricerca di efficienza».

Affrontare la cloud transformation in funzione di una potenziale riduzione dei costi è una tentazione troppo forte e diffusa per essere ignorata. Pensare di farlo in modo rapido e indolore, senza una analisi della situazione attuale e senza una strategia contestualizzata e sostenibile economicamente, può rivelarsi un grave errore. Tra una strategia lift & shift, spesso argomento utile in un primo approccio conoscitivo, e una strategia ragionata la differenza è evidente. A fronte di un maggiore impegno in fase di analisi e progettazione, si verrà presto ripagati da un risultato più affidabile. Con il vantaggio aggiuntivo di poter contare veramente su un’infrastruttura più moderna ed efficiente rispetto a un semplice trasferimento, limiti compresi.

Cloud transformation: come cogliere le vere opportunità

«Il punto centrale è riuscire a mostrare al cliente come cogliere le opportunità – sottolinea Roberto Pastori, Director of Customer Success di Techedge -. Come in passato la richiesta era soprattutto quale hardware comprare, oggi si tende troppo a cercare una semplice configurazione per passare al cloud». Serve quindi prima di tutto un lavoro di squadra. Un partner al quale affidarsi, capace di entrare nella propria realtà, comprenderne i meccanismi e redigere una tabella di marcia per capire cosa sia realmente utile spostare da una modalità on premise a una remota, quando e come farlo.

Se è difficile pensare di poter semplicemente spostare software con codice vecchio anche di decenni, altrettanto poco realistico è l’approccio ideale, vale a dire riprogettare da zero un’applicazione. La soluzione più verosimile è quindi una via di mezzo.

Rispetto al semplice approccio lift & shift meglio dunque prendersi un po’ più di tempo. Partire da una fase di assessment e capire come possa essere riorganizzata l’infrastruttura IT ed eventualmente reingegnerizzata. Aspetto importante, anche in ottica provider. Caratteristiche e modalità del servizio scelto dovranno essere naturalmente compatibili con esigenze e organizzazione interna. «Spesso il cliente non conosce a sufficienza il proprio parco applicativo – precisa Alessandro Menale, Practice Director della stessa azienda -. Il nostro ruolo è sfruttare prodotti e soluzioni disegnati appositamente da noi per analizzare ogni aspetto. Considerando i vantaggi, i rischi e le conseguenze di ogni possibile direzione da intraprendere in fase di migrazione».

La capacità di guardare oltre il semplice lift & shift nella cloud transformation

Anche quando si parla di cloud transformation, la prima fase di una strategia di successo resta quindi la pianificazione. Contare su strumenti pacchettizzati la cui validità è ormai consolidata da anni di progetti concreti, significa partire con il piede giusto. «Un altro passo importante è essere pronti a usare sia strumenti nativi forniti direttamente dal provider sia propri o esterni – riprende Babbini -. La tendenza reale del cloud è ibrida, intesa sia come combinazione tra pubblico e privato sia tra diversi hyperscaler.

Ogni tappa del percorso deve essere ben identificabile e soprattutto misurabile. Un’altra ragione per affidarsi a soluzioni pacchettizzate, con risultati più affidabili in fase di valutazione e confronto. Passare da una infrastruttura tecnologica e applicativa prevalentemente on premise a configurazioni eterogenee cloud based senza un approccio strutturato può diventare meno conveniente di quanto atteso. Soprattutto, se si ragiona sul lungo periodo. «Gli acceleratori sicuramente esistono – avverte Menale -. Tuttavia, un contributo di esperti in materia per raggiungere anche la modernizzazione della propria infrastruttura IT è indispensabile e noi siamo attrezzati anche per questo».

«In fase di assessment bisogna essere in grado di ragionare in prospettiva – ribadisce Babbini -, cercando di individuare potenziali ostacoli e individuare i vantaggi a lungo termine. Un caso molto significativo è il progetto sviluppato per la migrazione dei workload più strategici di Lavazza, uno dei nostri storici punti forza. Partiti da un’idea di lift & shift, ci siamo orientati verso una rivisitazione mirata a eliminare applicazioni non più utili e abilitare la revisione di alcune di queste con un approccio cloud native in ottica di aumentare l’efficienza. Sono processi lunghi, ma con risultati concreti».

Ancora meglio però, la migliore dimostrazione è frutto dell’esperienza diretta: «Lavoriamo da oltre vent’anni, partendo da un sistema on premise e oggi non abbiamo più un data center – conclude Babbini -. Prima di suggerire ad altri cosa fare, abbiamo messo a punto i nostri sistemi IT, per poi pacchettizzare i servizi e poter offrire ai clienti, completi di strumenti per tenere sotto controllo i costi».

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