Prospettive

Più umana e partecipata, la tracciabilità digitale dà voce a tutta la filiera

Una delle aree in cui il settore Agrifood punta maggiormente sul digitale è la tracciabilità che, grazie alle nuove tecnologie, può assumere una dimensione più collettiva dando spazio a tutti gli attori della filiera e, allo stesso tempo, rispondendo al bisogno di sicurezza alimentare e al desiderio di storytelling dei consumatori finali. Lo dicono i numeri dell’Osservatorio Smart Agrifood e lo confermano le tre esperienze di AgroAdvisor, Latteria Sociale Valtellina e Conserve Italia

Pubblicato il 02 Apr 2021

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Produttori che raccontano il proprio lavoro e la propria terra, PA che collaborano con le aziende per valorizzare i propri dati e i prodotti del territorio, nuovi modelli di filiera partecipativi e inclusivi che fanno evolvere il concetto di sicurezza alimentare. Le tecnologie digitali stanno trasformando a velocità sostenuta il mondo del food e proprio la tracciabilità alimentare risulta una delle aree maggiormente impattate.

Secondo i dati dell’Osservatorio Smart Agrifood della School of Management del Politecnico di Milano e del Laboratorio RISE dell’Università degli Studi di Brescia infatti l’89% delle aziende utilizza il digitale in quest’area e nel 79% dei casi ammette di trarne un elevato beneficio, tanto che quasi una sue due dichiara di voler investire nella digitalizzazione dei processi di tracciabilità food entro i prossimi tre anni.

Di cosa parliamo quando parliamo di tracciabilità digitale

Nonostante questo entusiasmo e le dichiarazioni di intenti, oggi non si può dire può ancora parlare di una prevalenza di soluzioni digitali. Nel 50% dei casi infatti si tratta di gestionali e di software molto verticali, la restante parte invece vede protagoniste le tecnologie innovative che stanno conquistando la fiducia di un numero crescente di aziende. Al primo posto ci sono le mobile app (25%), molto diffusi anche i Qrcode e le soluzioni basate sulla blockchain (entrambe al 18%) seguite da quelle IoT (16%), cloud (15%) e data analytics (14%). Nell’ultimo anno è stato registrato un considerevole aumento della presenza del digitale, in tutti i casi attorno al +50-60% con un picco per le mobile app del +65% e un risultato importante per la blockchain che, con un +59%, mostra un rallentamento rispetto all’anno scorso quando questo tipo di soluzioni erano più che raddoppiate sul mercato italiano.

La filiera si trasforma in un network, la qualità diventa condivisa

Andando a osservare le dinamiche di presenza e di diffusione della blockchain nell’area della tracciabilità, si nota un forte disequilibrio tra soggetti promotori e soggetti coinvolti. Desta particolare attenzione il ruolo dei produttori di materia prima che sono presenti nei progetti nell’81% dei casi – fatto piuttosto inevitabile se si parla di tracciabilità – ma solo nel 3% dei casi se ne fanno promotori. Ben diverso è il peso degli operatori che si occupano di trasformazione e di distribuzione coinvolti rispettivamente nel 70% e nel 31% dei casi e allo stesso tempo soggetti proponenti nel 20% e nel 23% dei casi.

Questo scenario fa scattare un campanello di allarme riguardante il rischio che si sviluppino sempre più piattaforme chiuse e proprietarie invece che progetti aperti e inclusivi in cui tutti gli attori della filiera possano essere valorizzati e beneficiare dei vantaggi di un processo di tracciabilità digitalizzato e performante.

A cogliere questo segnale di pericolo e a decidere di provare a invertire la corsa ora che si è ancora in tempo è la startup Agroadvisor che, mettendo a fattor comune le proprie competenze in campo di blockchain, finanza a Agricoltura 4.0, propone un nuovo modello disruptive e inclusivo. Il tradizionale concetto di filiera consiste in un susseguirsi lineare di soggetti che ricevono informazioni e dati, li integrano con i propri e li trasmettono all’anello successivo della catena. Siamo di fronte ad uno schema lineare che non lascia scelta: la conformità e la bontà dei processi viene stabilità a posteriori ed eventuali decisioni in merito arrivano in tempi molto lunghi. Il modello di filiera abilitato dalla piattaforma di AgroAdvisor, basata sulla tecnologia blockchain, ribalta questa visione lineare e univoca contrapponendovi uno “schema multipunto”, un network di soggetti quali aziende, capofiliera, associazioni di categoria, cooperative e tecnici agronomi in grado di interagire in ogni momento, completandosi a vicenda con le proprie diverse competenze al fine di garantire la sicurezza e la tracciabilità del prodotto food “real time”.

Luca Poli, Program Manager di AgroAdvisor illustrando la propria piattaforma su cui sono integrati dati provenienti da meteo, analisi tecniche, satellitari, previsionali e di impatto ambientale, parla di “qualità condivisa” e di “garanzia partecipativa”. “Il nostro è un esempio di come la blockchain e i nuovi strumenti tecnologici permettono agli attori di interagire tra loro e con dati e analytics cambiando tempi e modi dei processi di tracciabilità – spiega Poli – così non esiste nemmeno più il concetto di tracciabilità interna ed esterna, la condivisione a livello decisionale e il melting pot di conoscenze a disposizione porta ad una garanzia di qualità e conoscibilità valida per tutti, per gli attori della filiera e per chi ne acquista i prodotti”.

Raccontare la storia del latte garantita da blockchain

Aspettando di vedere se il mondo agricolo sia già o meno pronto a scardinare le logiche di filiera che da secoli esistono, si può osservare un atteggiamento piuttosto cauto da parte delle aziende nell’adottare la blockchain. Nonostante l’”hype” mediatica che c’è attorno a questa tecnologia, anche applicata a questo settore, secondo il report solo l’8% delle realtà la sta sperimentando e il 39% non la conosce affatto. A livello internazionale dal 2019 al 2020 sono però aumentati i progetti pilota (dal 24% al 31%) e quelli operativi (dal 4% all’8%) rispetto agli annunci (che dal 72% scendono al 61%) ma solo il 24% degli annunci e il 35% dei progetti pilota degli scorsi anni sono poi diventati progetti operativi, in parte per via della complessità della tecnologia in sé ma anche per il contesto non sempre favorevole e le difficoltà di interazione all’interno della filiera.

Chi ha portato avanti progetti di tracciabilità food tramite blockchain in oltre il 60% dei casi lo ha fatto per obiettivi di marketing come accaduto alla Latteria Sociale Valtellina. Coinvolta in una iniziativa di Regione Lombardia, questa azienda 100% montana con circa 100 agricoltori e una produzione di 35 milioni litri di latte anno è diventata protagonista di uno dei pochi esempi di valorizzazione di dati sia pubblici che privati a beneficio della filiera e dei consumatori finali. Grazie al lancio da parte di Regione Lombardia della propria blockchain per la tracciabilità dei prodotti agroalimentari, il latte fresco pastorizzato della Latteria Sociale Valtellina ha esordito sugli scaffali con una etichetta munita di QRcode attraverso cui accedere ad una pagina web con tutti i dati messi a disposizione dalla pubblica amministrazione (uso di farmaci, sanità dei capi, igiene delle strutture, benessere animale) e dall’azienda stessa (informazioni sull’allevamento e sulle caratteristiche della materia se non del produttore stesso).

“È stato un passo importante per noi nei confronti del consumatore che oggi è più che mai sensibile al tema della sicurezza alimentare e allo stesso tempo desideroso di avere uno storytelling del prodotto e della sua provenienza con la certezza che si tratti di informazioni certificazione, grazie alla blockchain” spiega Alberto Villa, Responsabile Assicurazione Qualità della Latteria Sociale Valtellina che ammette come “ci sia ancora tanto lavoro da fare perché molti legano ancora la blockchain ai bitcoin” ma parla di sviluppi futuri e della volontà di “usare questo strumento anche nella grande distribuzione, particolarmente attenta a questo tipo di proposte”

Via la polvere da dati e storie, tutto accessibile via Qrcode

Al di là della specifica tecnologia utilizzata, la presenza del digitale nell’area della tracciabilità food è nel 21% dei casi legato ad una volontà di fare storytelling ad esempio valorizzando un patrimonio di dati trentennale rimasto finora negli archivi. È questo il caso delle pesche sciroppate Valfrutta che, grazie ad una iniziativa di Conserve Italia di “tracciabilità più intima”- come loro stessi definiscono questo approccio al food – ora sono diventate testimonial di una storia di tradizione e territorio. Il tutto tramite un QRcode applicato alle confezioni che, una volta inserito il codice univoco, permette di accedere a tutte le informazioni sull’azienda agricola, la varietà, il periodo di raccolta, lo stabilimento e la data di lavorazione. “La tracciabilità è un requisito di legge, avevamo già la certificazione regionale di provenienza sul packaging, ma non era abbastanza – spiega Daniele Piva, Responsabile Produzioni Agricole di Conserve Italia – volevamo spiegare al mondo come è fatta la nostra filiera e metterla a nudo, raccontare la storia dei produttori, sostenere la filiera produttiva, aumentare la fiducia dei consumatori verso la marca e valorizzare i nostri soci”. Per ciascuna delle 35 aziende coinvolte è stato creato un vero e proprio dossier in cui raccontano non solo il proprio lavoro ma anche la famiglia, il territorio e soprattutto la passione grazie ad un progetto che potrebbe essere presto ampliato a tutte le 500 aziende del consorzio e che dimostra come il digitale può essere in grado di amplificare e valorizzare il lato umano dando voce a attori della filiera finora rimasti in ombra perché troppo “distanti” dal consumatore finale.

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