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Glocal e verticali: il futuro delle startup italiane secondo Huawei

Trovandosi ad accelerare le startup italiane con un programma ad hoc, si può arrivare a notare come molte non ragionino da subito in ottica internazionale e verticale. Secondo Huawei sarebbe questa, invece, la strada giusta per il successo. Sicuramente è quella da imboccare per essere ammessi nel suo marketplace aperto a quel ricco mercato asiatico che ben conosce

Pubblicato il 01 Dic 2023

Immagine di Brazhyk su Shutterstock

Coi tempi che corrono, sviluppare e, lanciare una startup con successo non è mai stato così complesso. Certamente si tratta di una sfida appassionante, per chi ha un piglio intraprendente, ma ci sono molti aspetti da tener d’occhio e, regolarmente, i più importanti risultano essere i meno immediati ed evidenti.

Anche supportare le startup è diventato più difficile. Fondi e risorse restano preziosi da fornire, ma è sempre più necessario essere pronti a fornire un supporto di tipo strategico. Ciò significa mettersi nei loro panni, pensare di manipolare lo stesso loro “joystick” senza impugnarlo davvero, e suggerire direzione e posizionamento, dando poi un seguito sostanziale ai propri consigli. Fabio Romano, Head of Industry Ecosystem di Huawei, lo ha fatto con le più innovative startup italiane, cercando di individuare la chiave di svolta dell’intero ecosistema startup del Paese.

Diventare glocal o nascere glocal: una differenza che fa la differenza

L’Italia sembrerebbe essere affetta da “localismo”, oltre ad essere notoriamente già “il Paese dai tanti comuni”. Le sue startup “hanno spesso meno di cinque dipendenti e un fatturato basso, quindi i primi anni lottano per la sopravvivenza creando spesso soluzioni local invece che glocal” spiega Romano. Si tratta di una sorta di “difetto di fabbrica” che non può essere corretto in un secondo momento, per lo meno non senza perdere tempo e occasioni.

“Molte realtà sono strutturate by design in modo che non possano spaziare in tanti mercati diversi da quello italiano. Non pensano in grande, non impostano soluzioni adatte a contesti culturali internazionali, soprattutto non per quello asiatico, che oggi è oltretutto uno dei più ricchi. Questo è un aspetto che manca a molte startup italiane – aggiunge Romano – ma è urgente cambiare mentalità, altrimenti ne soffriranno”.

La lotta per la sopravvivenza spinge molte realtà anche a sviluppare soluzioni generaliste, invece di concentrarsi su un verticale. Secondo Romano da un lato è una strategia comprensibile, perché rende teoricamente possibile poter cogliere più occasioni, ma dall’altro non permette di concentrarsi e sfondare su alcuni singoli mercati specializzati e fruttuosi.

Accelerazione verso gli scaffali asiatici della Koo Gallery

Con Acceleration for Change, Huawei cerca di far correggere il tiro alle startup italiane. “Le supportiamo perché possano farlo, velocizzando lo sviluppo del loro MVP per arrivare rapidamente alla fase scale up e verticalizzare il proprio business – racconta Romano – così possiamo introdurle nella Huawei Cloud Koo Gallery come opzione acquistabile tramite cloud”.

Questa “Gallery” è un marketplace di soluzioni e servizi legati al cloud Huawei e divisi in tanti differenti verticali.

Per “fare shopping” in questa piattaforma bisogna essere selezionati dall’headquarter che la promuove, principalmente tra aziende asiatiche pronte a investire generosamente sulla propria digital transformation. Per comparire come soluzione per la loro mission, si può essere anche italiani, l’importante è essere innovativi e verticali.

Fabio Romano e il team Huawei dedicato hanno il compito di cercare in tutta la penisola startup adatte, “per indirizzarle e farle crescere con una forte categorizzazione delle soluzioni. Spingiamo perché anche le realtà italiane possano nascere con l’idea di lavorare per un verticale specifico, senza problemi di sopravvivenza. Le approcciamo da subito in questa ottica: anche noi, in termini di tempo, abbiamo così un miglior ritorno dell’investimento” spiega.

Le startup che entrano nella “macchina” Acceleration for Change possono contare su un periodo di formazione iniziale per migrare, di un voucher cloud fino a 150mila dollari in 18 mesi – “per costruire una partnership di lunga durata” con Huawei – e di un supporto di marketing. Una volta pronte, e scelte, lo step successivo è il vero e proprio go to market: l’accesso ai mercati asiatici – pacifico e middle east – andando ad arricchire gli scaffali della Koo Gallery e, sperabilmente, il proprio budget.

PMI “senza benzina”: mancano le competenze IT

Con il susseguirsi delle call annuali per cercare startup adatte al proprio programma, Romano ha notato l’emergere di alcuni particolari settori. A spiccare per piglio innovativo è quello agricolo, “con sempre più startup valide e innovative – spiega – ma anche le piattaforme IoT con modelli Smart-X sono sempre più presenti. Noi le spingiamo verso la risoluzione di precise esigenze pratiche quotidiane, come il monitoraggio e la mitigazione dei danni creati dalla crisi climatica o la prevenzione di incidenti nelle infrastrutture civili”.

Invece di puntare sull’intero vasto e complesso concetto di smart city, la strategia di Huawei è quella di occuparsi di problemi verticali offrendo, tramite startup, soluzioni specifiche su richiesta, costruite attorno al cloud e arricchite da tecnologie che spaziano dall’AI e dal ML fino alla smart vision. Oppure di dedicarsi a un altro ambito in repentino cambiamento, il retail, dove spaziare tra evoluzione di etichette elettroniche, gestione di prodotti in scadenza, lotta allo spreco di cibo e personalizzazione dell’offerta.

Le occasioni di portare innovazione verticale non mancano, per una startup italiana, ma mancano le skill. “Il problema esiste da tempo ma non è ancora stato risolto. C’è una forte carenza di competenze nel settore IT, sia in termini di nuovi talenti che di reskilling. È una criticità anche per le corporate” fa osservare Romano.

Stipulando convenzioni con alcune università, Huawei affida alcuni progetti di ricerca a chi sta nei loro laboratori: “è un modo per spingere l’innovazione ma anche per individuare persone valide che possiamo poi reclutare. Ma in Italia la situazione resta molto complessa da questo punto di vista: c’è molta competitività e la gran parte dei giovani continua a preferire le aziende più grandi. Così la carenza di competenze colpisce soprattutto le PMI, sia quelle che vorrebbero digitalizzarsi, sia quelle che vorrebbero portare innovazione”.

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