Industria 4.0, opportunità e sfide per le imprese italiane

I rappresentanti delle imprese di tutte le dimensioni considerano la rivoluzione Industria 4.0 un passo necessario per il mondo industriale italiano e il Piano del governo un contributo che va nella giusta direzione. Tuttavia è compito delle stesse organizzazioni imprenditoriali attivarsi per diffondere la cultura dell’innovazione anche attraverso momenti di formazione degli associati. Confermano questa impostazione le opinioni di Marco Gay, Presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria Nazionale, e di Andrea di Benedetto, Vice Presidente Nazionale CNA.

Pubblicato il 24 Mag 2017

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La prospettiva di Industria 4.0 rappresenta una grande opportunità per le imprese italiane di tutte le dimensioni, ma si deve lavorare per sviluppare una nuova cultura.
“Quando si parla di Industria 4.0 si dovrebbe spiegare agli imprenditori il punto di partenza- sottolinea Marco Gay,  Presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria Nazionale in occasione di Toscana Tech, una due giorni, tenutasi poco tempo fa a Firenze, focalizzata sull’innovazione e sulla digitalizzazione industriale. Attualmente perdiamo tre miliardi di potenziali consumatori a livello mondiale che sarebbero interessati a comprare prodotti made in Italy di qualità e con elevata potenzialità di personalizzazione. Per recuperare questo mercato dovremmo diventare più efficienti, più competitivi, più veloci a consegnare e a produrre”.

dibattito in occasione Toscana Tech: Marco Gay, secondo da sinistra; Andrea Di Benedetto, terzo da sinistra

Gay vede il modello Industria 4.0 come un punto di svolta per gli imprenditori, grazie all’attenzione alla modernizzazione produttiva che non si limita però all’automazione ma punta soprattutto su interconnessione, cambiamento delle logiche di produzione, del marketing, della manutenzione degli impianti, del delivery dei servizi e dei prodotti. “Pensiamo a un’industria dove, per la prima volta, digital e manufacturing sono parte dello stesso processo – sottolinea Gay – È un cambiamento forte per la nostra cultura industriale e imprenditoriale abituata a considerare in modo diverso chi offre servizi e chi produce tondini di ferro”.
Sulla natura rivoluzionaria della prospettiva Industria 4.0 insiste anche Andrea di Benedetto, Vice Presidente Nazionale CNA, a sua volta intervenuto a Toscana Tech: “Stiamo pensando di mettere un po’ di sensori negli attuali sistemi produttivi o scommettiamo sulla quarta rivoluzione industriale che cambia i modelli produttivi e di business? Nel secondo caso la presenza di un tessuto molto diffuso e ad alta intensità di capitale umano può essere molto competitiva”. Secondo Di Benedetto, nel primo caso si rischia invece di importare tanti sensori non prodotti in Italia (un errore già fatto con gli incentivi per l’installazione di pannelli solari), ma si perderebbe la vera opportunità: la capacità di far nascere nuovi attori, senza eliminarli, ma anzi riutilizzando quelli vecchi.
La quarta rivoluzione industriale sposta il valore dal capitale finanziario al capitale umano, quello davvero destinato a fare la differenza. A differenza delle precedenti, non si basa infatti su economie di scala, ma prevede tanti pezzi quasi unici a costi bassi, dove il limite fra servizio e prodotto è quasi inesistente. “Oggi la competizione è sui talenti e, non a caso, è su questi che le multinazionali stanno già combattendo in modo selvaggio – precisa – Ma su questo terreno anche noi possiamo giocarcela, grazie alla nostra grande cultura artigiana, che non fa differenza fra prodotto e servizio”.

Per una manifattura 4.0 serve un lavoro 4.0

Anche Gay concorda che ci troviamo di fronte a una rivoluzione. “Certo c’è bisogno di tecnologia ma anche di pensiero – precisa Gay – Accanto a Industria 4.0 si deve iniziare a parlare anche di lavoro 4.0: verranno creati nuovi posti di lavoro ma anche bruciati vecchi se non si ha la capacità di ricongiungere la formazione e le politiche attive in un grande processo di prospettiva”. Se è vero che, grazie alla digitalizzazione, sono previsti 500mila nuovi posti di lavoro in Europa, si tratta di capire come l’Italia possa guadagnarli.

Piano nazionale Industria 4.0: investimenti e interventi 2017-2020

“Il lavoro non si produce con l’articolo 18 ma con le competenze: ma l’Italia è purtroppo fra gli ultimi paesi nella graduatorie Ocse per numero di laureati e registra tassi elevati di analfabetismo funzionale di ritorno – incalza Di Benedetto – Dobbiamo dunque ripartire velocemente dalle competenze”.
Il Piano Industria 4.0 viene considerato positivo per le misure a favore degli investimenti innovativi e della ricerca, ma è importante soprattutto come “piano di politica industriale che lavora sui fattori, rendendo più competitivo il mercato”, come evidenzia Gay.

“Oggi è indispensabile riuscire ad esprimere il talento italiano per far sì che la nostra materia prima diventi la capacità di visione, con la capacità di sfruttare alcuni vantaggi come la posizione strategica di ponte verso lo sviluppo dell’Africa del Nord che diventerà la nuova economia emergente – sottolinea ancora Gay – Ma per fortuna nel nostro Paese, dopo almeno 20 anni che non accadeva, si parla di politiche industriali di medio-lungo periodo; si agisce sui fattori trasversali su cui si innesteranno le filiere, le aziende, il libero mercato”.

Alla ricerca di modelli e di campioni nazionali

La imprese devono dunque cogliere questa occasione per cambiare pelle sia con la crescita dimensionale, grazie a fusioni e acquisizioni, sia favorire la creazione di distretti diffusi grazie alla banda ultra-larga, uno degli impegni del Piano varato dal governo. Al tempo stesso va sfruttata l’opportunità di ampliare il fatturato grazie ai servizi. Grandi protagonisti del mondo 4.0, come Siemens e General Electric, dichiarano di voler diventare le più grandi piattaforme di software al mondo; Daimler, con la scelta car2go prima e mytaxi, poi, evidenzia uno spiccato spostamento dal prodotto al servizio di un’industria “tradizionale”.
“Si tratta di esempi indicativi del cambio di paradigma generato da Industria 4.0 ma non immediatamente applicabili all’industria manifatturiera italiana. Ancona non sappiamo quali saranno i nostri campioni – dice Di Benedetto – A mio parere si deve cominciare a guardare al mondo delle startup italiane ibride capaci di fondere manifattura e digitale, invece di considerare come modelli quelli israeliano o californiano [prettamente digitali – ndr]”.
Difficile dunque prefigurare un modello, ma per poter cogliere le opportunità si deve partire dalle competenze tecniche, organizzative, manageriali effettivamente detenute dalle imprese e abbinare al talento imprenditoriale le capacità analitiche, di sintesi e di comunicazione proprie delle figure professionali qualificate, come suggerisce Centro Studi Confindustria (CSC). Confindustria si sta impegnando nella diffusione di cultura 4.0, con i digital innovation hub (DIH), i seminari su Industria 4.0, la partecipazione ai competence center (cc). Ma resta ancora troppo modesta la cooperazione fra università, ricerca e industria e ancora inadeguate le competenze digitali all’interno delle imprese. Alle misure messe in campo dalla Legge di bilancio 2017 si dovranno affiancare, suggerisce CSC, le altre misure previste dal Piano Industria 4.0 in merito a infrastrutture di rete, piani per la formazione del capitale umano, rete per l’innovazione che faccia da ponte tra la ricerca e il mercato, finanza per lo sviluppo.

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