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Si diffonde la banda larga in Italia, così ci stiamo avvicinando all’Europa

Ancora in ritardo rispetto alla diffusione della banda ultra larga, il nostro Paese offre però ormai al 90% delle famiglie italiane la copertura 4G e, in generale, si colloca tra i cosiddetti paesi fast movers, ossia quelli che, pur partendo da condizioni di ritardo, possono sperare nel giro di 3-5 anni di chiudere il gap, qualora riusciranno a mantenere un livello di crescita significativamente superiore alla media degli altri Paesi. È quanto emerge dal rapporto annuale I-Com sulle reti e i servizi di nuova generazione

Pubblicato il 14 Nov 2016

Il rapporto annuale I-Com (Istituto per la competitività) sulle reti e i servizi di nuova generazione (Ores), che fotografa il livello di digitalizzazione dell’Italia rispetto alla Ue, indica un aumento del 12,7% della copertura 4G, che raggiunge ormai il 90% delle famiglie italiane. Si tratta di un indicatore che ci pone al di sopra della media europea, al quale si va ad aggiungere, però, il dato sull’incremento della banda ultra-larga (+7,6%) che, al contrario, denota un ritardo rispetto al resto del Continente.

Per misurare il grado di digitalizzazione nazionale, il think tank con sede a Roma e Bruxelles ha elaborato l’Ibi, l’I-Com Broadband Index, un indice che persegue l’obiettivo di valutare la ‘maturità digitale’ degli Stati membri dell’Unione europea, lato domanda (accesso alla banda larga, ricorso ai servizi online, abbonamenti) e offerta (copertura del territorio e abitazioni raggiunte).

“Dalla nostra analisi – ha dichiarato Stefano da Empoli, presidente di I-Com – emerge ancora un ritardo significativo dell’Italia rispetto alla media Ue, tuttavia si evidenzia una dinamica molto interessante: il nostro paese, infatti, ha registrato una variazione del punteggio Ibi, tra il 2014 e il 2015, pari al 6,5%, quasi il doppio rispetto al tasso medio di crescita della Ue (pari al 3,6%). Dunque, pur essendo ancora molto distante dal tasso di sviluppo digitale dei paesi nordici, l’Italia rientra a pieno titolo tra i cosiddetti paesi fast movers, ossia quelli che, pur partendo da condizioni di ritardo, possono sperare nel giro di 3-5 anni di chiudere il gap, qualora riusciranno a mantenere un livello di crescita significativamente superiore alla media degli altri Paesi”.

La seconda parte del rapporto I-Com prende in esame lo sviluppo del mercato audiovisivo connesso e, in particolare, la trasformazione dei modelli di business tradizionali indotta dall’ascesa di nuovi player dell’ecosistema digitale.

Gli italiani che fruiscono di un’offerta di servizi streaming online sono più di un terzo (36%) e lo fanno mediamente da 2 o 3 device, con una prevalenza di smartphone e tablet. Dai 700 mila utenti di inizio anno, I-Com stima che a fine 2016 gli abbonati a una piattaforma di servizi video on demand supereranno i 2 milioni. I ricavi del comparto si attesteranno su una cifra compresa tra i 50 e i 95 milioni di euro.

“Per rispondere alla sfida dello streaming – ha dichiarato Bruno Zambardino, direttore Osservatorio Media di I-Com – l’industria audiovisiva, europea e non, sta imprimendo una forte accelerazione sulla convergenza tra telco e media, come dimostra anche la recente operazione AT&T/Time Warner. Nonostante lo stop registrato nella cessione di Mediaset Premium a Vivendi, su questo fronte in Italia si segnalano i debutti dei servizio Dplay di Discovery e a livello pan-europeo di NOW TV di Sky mentre si attendono entro l’anno Vodafone TV ed Amazon Prime Video. I grandi gruppi europei appaiono sempre più impegnati in un’unificazione delle strategie transfrontaliere su cui peserà anche l’intervento delle istituzioni comunitarie, con particolare riferimento alla revisione della direttiva sui servizi di media audiovisivi e al nuovo pacchetto copyright”.

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