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Raffreddamento a liquido dei data center: la ricerca sui fluidi risponde alla crescente densità di potenza

Per raffreddare i data center i sistemi di ventilazione ad aria utilizzati fino a oggi stanno dimostrando i loro limiti. Gli ultimi trend riportano in auge i sistemi di raffreddamento a liquido, con nuove tecniche che richiedono un cambio di mentalità importante degli staff IT. Al di là dei costi e degli impatti a livello ambientale, ancora da verificare

Pubblicato il 04 Dic 2018

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Raffreddamento a liquido (liquid cooling) nei data center nuovamente sotto i riflettori della ricerca più avanzata. Le superiori capacità di dissipazione dei liquidi rispetto all’aria (air cooling), infatti, sono la risposta più adatta rispetto all’aumentare della densità di potenza raggiunta oggi dai rack. Come sottolineano gli esperti da più parti, oggi è necessario identificare soluzioni più efficaci per contrastare la quantità di calore generato da sistemi in crescente evoluzione. Il problema è che, al momento, le opzioni uscite dai laboratori di R&D attualmente disponibili non solo risultano costose ma, soprattutto, nella maggioranza dei casi non sono ancora state portate in produzione.

Raffreddamento a liquido versus raffreddamento ad aria

Per decenni nei data center i sistemi di raffreddamento ad aria sono stati l’opzione più gettonata dagli staff IT perché più economici. Il problema è che la generazione di calore nel tempo è significativamente aumentata: l’emergere di applicazioni ad alta intensità in termini di CPU e di server di dimensioni ridotte, infatti, stanno popolando i moderni data center e questa corsa al potenziamento sta creando diversi problemi ai sistemi di raffreddamento ad aria.

L’aria, infatti, ha conduttività mediocre e le organizzazioni sono costrette ad aumentare le dimensioni e la forza dei propri ventilatori e dei relativi sistemi di raffreddamento per gestire le temperature delle sale macchine. In alcuni casi, anche le nuove riconfigurazioni non riescono a raffreddare le infrastrutture per cui si impone la ricerca di una soluzione più efficace nel medio e nel lungo termine.

“I sistemi di raffreddamento da aria diventano critici quando il consumo di elettricità raggiunge dai 16 ai 20 kilowatt per rack – ha detto Henrique Cecci, Research Director di Gartner -. Attualmente, solo i data center più grandi al mondo hanno a che fare con questo tipo di sfide perché la maggior parte delle aziende utilizza meno di 10 kilowatt di energia per rack”.

Attenzione, avvertono gli analisti: in prospettiva i trend dicono che la maggiore densità sarà un problema che dovranno affrontare progressivamente tutti i data center. Ed è per questo che è necessario considerare già da oggi alternative migliori rispetto all’air cooling.

Le nuove sfide dei data center

Poiché i tradizionali metodi di raffreddamento ad aria non soddisfano più le esigenze dei data center cosiddetti hyperscale, i tecnici stanno abbracciando nuovi criteri. Molte aziende hanno aumentato di 30/50 centimetri in altezza i piani dei loro data center, in modo da garantire maggiore spazio e favorire in questo modo la dispersione del calore. Altre organizzazioni hanno implementato la progettazione del corridoio caldo / freddo mentre altre hanno riorganizzato la propria infrastruttura.

Come ha spiegato Ryan Orr, consulente senior presso l’Uptime Institute: “Alcune società finanziarie e tecnologiche stanno evacuando l’intero piano al di sotto dei propri data center in modo da utilizzarlo come condutture di raffreddamento”.

Questi progetti, sottolineano gli esperti, sono indubbiamente costosi ma i risparmi sui costi energetici e l’alto prezzo delle possibili alternative li rende praticabili.

Raffreddamento a liquido: esempi

Una premessa fondamentale al raffreddamento a liquido è la proprietà fondamentale dei fluidi che, rispetto all’aria, conducono meglio il calore: il valore superiore si attesta tra le 50 e 1.000 volte. Il raffreddamento a liquido ha varie opzioni: oltre all’acqua e ai fluidi speciali non conduttivi come, ad esempio, il Novec di 3M, i tecnici possono scegliere se posizionare gli scambiatori di calore nella parte posteriore dei rack o a diretto contatto con i componenti hardware (CPU, GPU e via dicendo). Queste opzioni, a differenza dell’acqua, non sono conduttive. Altri vendor stanno cercando di creare nuovi elementi sfruttando la nanotecnologia: i nanofluidi (una nuova classe di fluidi che promette di avere interessanti proprietà termiche, reologiche e tribologiche; sono ottenuti disperdendo nanoparticelle solide di ossidi metallici, metalli, nanotubi di carbonio ecc. nei fluidi operativi comunemente impiegati, come acqua, glicole, oli e refrigeranti), infatti, hanno una maggiore capacità di calore rispetto ai fluidi di raffreddamento convenzionali e sono anche non conduttivi alle correnti elettriche.

“In questo momento il lavoro sulle nanotecnologie è in gran parte in via sperimentale – ha ribadito Cecci -. Occorre ancora tempo per fare maggiori ricerche in modo da poterne determinare l’impatto”.

Questi nuovi liquidi refrigeranti sono ancora nelle loro prime fasi di sviluppo, quindi non è chiaro come si comporteranno una volta entrati in produzione. Vero è che allo stato attuale non esiste un’alternativa chiara all’acqua. Gli esperti dei data center, per altro, guardano con attenzione anche al possibile impatto ambientale di questi nuovi refrigeranti.

I nanofluidi emergenti hanno una maggiore capacità di calore rispetto ai fluidi di raffreddamento convenzionali e sono anche non conduttivi alle correnti elettriche. Ma il costo di questo tipo di soluzioni è elevato: in alcuni casi, si parla dalle 10 alle 100 volte di più rispetto ai sistemi di raffreddamento tradizionali.

Esistono anche soluzioni di raffreddamento a liquido totali: ad esempio l’immersione completa dei rack in fluidi dielettrici o, addirittura, data center sottomarini come quello sperimentato da Microsoft con il progetto Natick. La filosofia costruttiva? Che un data center subacqueo non richiede sistemi di raffreddamento meccanici costosi ma anche che metà della popolazione mondiale vive entro duecento chilometri da un oceano, per cui un data center sottomarino potrebbe ridurre in modo significativo i tempi di trasferimento dei dati verso gli utenti.

Ma i fluidi fanno davvero paura?

L’acqua è stata un’opzione di raffreddamento del data center per decenni, ma gli amministratori IT spesso si sono opposti alla sua implementazione per la rischiosità dell’elemento in ambienti così delicati. Il terrore di veder “friggere” un server per qualche infiltrazione d’acqua ha spostato l’attenzione ad altre opzioni.

“Il raffreddamento a liquido dei data center sta crescendo ad un tasso elevato: parliamo di un + 25% – ha sottolineato Cecci – ma è certamente ancora una piccola nicchia rispetto all’utilizzo generale dell’aria che viene fatto dalla maggior parte dei data center”.

A smuovere gli staff It dalle loro riserve, la necessità di fronteggiare il problema della densità dei server più elevata che ha indotto alcune grandi aziende a correre il rischio: in alcuni casi, le aziende credono che la tecnologia delle tubazioni di raffreddamento a liquido sia sufficientemente avanzata da contenere le perdite; altre società usano l’acqua in modo limitato.

Le aziende si affidano all’acqua per raffreddare le porte posteriori dei loro rack, che sono spesso i punti più caldi del server. Fornitori come IBM e Schneider Electric, ad esempio, stanno costruendo unità di raffreddamento dell’acqua con una porta posteriore indipendente, in modo tale che le perdite non possono rovinare i server.

“Non esistendo degli standard per le nuove apparecchiature di raffreddamento – ha commentato Cecci -, le aziende non possono combinare componenti di fornitori diversi e anche questo è un limite a un approccio risolutivo al problema”.

Urge nuova formazione e un cambio di mentalità

Oltre alle preoccupazioni relative agli standard, gli amministratori IT hanno un altro tema da affrontare: la scarsa familiarità con questi nuovi approcci tecnologici.

“È importante che vengano promossi dei programmi di formazione relativi alle nuove tecniche di raffreddamento – ha aggiunto Orr -. Negli ultimi 30 anni la cultura del data center diceva che i liquidi non dovevano essere utilizzati. Cambiare questa mentalità, malgrado le nuove istanze, sarà difficile”.

I nuovi sistemi di raffreddamento a liquido per altro richiedono un elevato livello di collaborazione tra amministratori IT, che sovrintendono all’infrastruttura informatica e i tecnici più operativi, che gestiscono l’edificio. In passato, i due gruppi hanno sempre lavorato a una certa distanza, ma le competenze di entrambi i reparti sono fondamentali per il funzionamento e l’efficienza del raffreddamento dei data center. Come ricordano gli esperti, dal momento che quando si testano le installazioni di raffreddamento a liquido dei data center c’è in gioco la business continuity, l’IT su queste attività deve ottenere anche il supporto dal top management.

Concludendo, l’industria dei data center sta portando avanti la ricerca sul raffreddamento a liquido e sui nanofluidi, che potrebbero rivelarsi più efficaci per mantenere i data center al fresco. Quali refrigeranti e tecnologie emergeranno rimane al momento ancora una domanda aperta.

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