Nuova competizione e imprese flessibili

Chiamatelo computing on demand, utility computing o adaptive enterprise: il punto è che le aziende devono attrezzarsi per essere in grado di evolvere senza sosta e in tempi brevissimi, pena la scomparsa dal mercato.
Che ruolo giocano gli Erp in questo contesto? Lo abbiamo discusso con consulenti, clienti e fornitori

Pubblicato il 16 Apr 2005

“In un periodo in cui lo sviluppo rapidissimo di nuove realtà economiche come la Cina e in generale di tutto l’Estremo Oriente, mette in discussione realtà consolidate come i rapporti economici tra i principali Paesi e lo scenario competitivo mondiale, ogni azienda deve tenere sotto continua osservazione la propria capacità di rispondere al mercato e di riorganizzarsi. In altre parole deve puntare a diventare una ‘Adaptive Enterprise’, mutuando il temine da Hp; ossia non deve più considerare il sistema informativo come un costo fisso e un elemento di rigidità, ma come un’infrastruttura indissolubilmente legata al business dell’impresa e in grado di seguirne l’estrema variabilità”. Con queste parole, il direttore di ZeroUno Stefano Uberti Foppa ha dato inizio alla prima di una serie di Tavole Rotonde che verranno realizzate nell’ambito del progetto “Gestionale” per sondare quali sono le problematiche relative all’adozione della tecnologia It – con particolare riguardo agli Erp – toccando temi come l’organizzazione, i processi e le relazioni tra le persone che devono utilizzare la tecnologia in modo da definire al meglio l’effettiva realtà dello sviluppo dei sistemi informativi italiani. È infatti nostra convinzione che, soprattutto in un momento di grande turbolenza come l’attuale, non ci si debba prefigurare una realtà, ma la si debba continuamente verificare sul campo con chi la costruisce: clienti, fornitori di soluzioni e consulenti.

A questa prima Tavola Rotonda hanno partecipato Pietro Berrettoni, responsabile It di Acraf (Gruppo Farmaceutico Angelini); Lorenzo Mercatali, responsabile della divisione Technology di Deloitte Consulting; Rosanna Bartolini e Alessio Rossi dei Sistemi informativi di Ducati; Simonetta Barbieri (Marketing Manager) e Michele Caselli (Senior technical product consultant) di Peoplesoft Italia; Francesco Mari, Strategic Initiative Manager di Sap Italia.

Verso l’Adaptive Enterprise
“Per andare nella direzione dell’Adaptive Enterprise il percorso può essere diviso in due parti- esordisce Uberti Foppa. -La prima si può riassumere con il motto ‘fare meglio con meno’ e consiste nella semplificazione dei sistemi informativi per renderli più efficienti. Questa è la parte relativamente più facile dell’intero processo. La seconda, la più difficile, è saper valutare le scelte tecnologiche e di processo più adatte per avvicinare il ruolo dei sistemi informativi alle esigenze delle funzioni aziendali che necessitano di risposte in termini di servizi It, in modo da essere in grado di competere con una realtà esterna che mostra una continua esasperazione della domanda, sempre più raffinata e più attenta alla personalizzazione. Si tratta di affrontare una realtà complessa con risposte sul piano culturale e organizzativo, non necessariamente mutuando modelli troppo distanti dai nostri, ma confrontandosi con essi”Le aziende sono sempre più sotto pressione a causa della competizione internazionale? “Non diamo tutta la colpa alla Cina – commenta Simonetta Barbieri – perché il costo del lavoro non è il solo fattore di competitività. Per non parlare poi del fatto che la forza lavoro della Cina non sarà sempre così arrendevole e senza esigenze e che pertanto il differenziale di costo del lavoro è destinato a ridursi nei prossimi anni”. La Cina poi, oltre a essere un bacino di manodopera a basso costo e un concorrente temibile su vari prodotti, sta diventando sempre più un mercato interessante proprio per uno dei componenti più caratteristici della nostra offerta, ossia i beni di lusso. Se ci sono milioni di cinesi che si nutrono con ciotole di riso, ce ne sono anche migliaia che possono premettersi di comprare moto di alta gamma come le Ducati. “Da parte della nostra azienda c’è molto interesse per i mercati asiatici – commenta infatti Rosanna Bartolini – ma non è facile penetrare quel mercato perché ci sono molte barriere da rimuovere. In funzione di ciò stiamo ristrutturando la rete: sentiamo l’esigenza di essere più flessibili verso il cliente e più efficienti”.

Stefano Uberti Foppa

direttore di zerouno

Pietro Berrettoni

responsabile It di Acraf del Gruppo Farmaceutico Angelini

Lorenzo Mercatali

responsabile della div. Technology di Deloitte Consulting

Rosanna Bartolini

Sistemi informativi di Ducati

Alessio Rossi

Sistemi informativi di Ducati

Simonetta Barbieri

marketing manager di peoplesoft italia

Michele Caselli

senior technical product consultant di peoplesoft italia

Francesco Mari

strategic initiative manager di sap italia

Luciano Barelli

giornalista di zerouno


La risposta It alle sfide

In altri termini, Ducati ha evidenziato una necessità di modificare alcuni dei propri processi e sta muovendosi di conseguenza. In questa fase, i sistemi informativi sono di aiuto o sono un freno alle imprese?

“I sistemi informativi dovrebbero andare di pari passo con le esigenze di business – prosegue Rosanna Bartolini – ma stiamo facendo le cose ancora un po’ ‘all’italiana’ ossia prima si fanno le cose che si ritiene giusto fare e poi si cerca di adeguare il sistema informativo di conseguenza. Questo approccio porta a privilegiare le soluzioni più veloci da realizzare rispetto a quelle che potrebbero portare più efficienza”.

Anche ammesso che poi i sistemi informativi riescano in un secondo tempo ad adattarsi alle modifiche dei processi, questo non sta bene a Simonetta Barbieri che osserva: “Non è sufficiente che i sistemi informativi seguano l’evoluzione dei processi aziendali perché ciò implica un ritardo temporale. Variazioni dei processi e modifiche dei sistemi informativi devono andare di pari passo e l’It deve essere la leva, non il notaio del cambiamento”.

Non bisogna però sovraccaricare l’It di responsabilità che non può ragionevolmente sopportare: “L’It non può pretendere di essere un fattore di innovazione – precisa Rosanna Bartolini – ma deve cercare di adattarsi alle esigenze di business: il fattore principale è la velocità, che è più importante dell’economicità”.

Il punto, sostiene Simonetta Barbieri, è avere un vantaggio competitivo sostenibile e quello tradizionale della maggior parte delle nostre aziende non è tale. Infatti, il nostro famoso Made-in-Italy si basa sulla massima creatività al momento della creazione del prodotto: peccato che oggi è la domanda del mercato che detta le leggi. Dal che discende che rispondere tempestivamente alla domanda è più importante che essere creativi. Perciò il punto chiave sono i processi, la velocità e la precisione di risposta al mercato, perché sono questi fattori che fanno di un’azienda un “unicum” e perciò ne determinano il vantaggio competitivo.

Innovare…non solo prodotti

Un altro fattore chiave è l’innovazione. Però, anche qui l’accento non è sul prodotto: “Innovare significa realizzare modelli di business più efficaci e rigorosi all’interno e, contemporaneamente, più flessibili all’esterno, diversificando sul lato dell’offerta – commenta Alessio Rossi -. In questo contesto l’It gioca un ruolo vitale, specie nei settori d’industria più moderni e più basati sulla tecnologia come le telecomunicazioni e la telefonia. Nel settore manifatturiero, al quale noi apparteniamo, l’It è molto più arretrato”.

Anche nelle aziende farmaceutiche come la Acraf (Gruppo Angelini) non c’è una grande spinta verso l’innovazione. “Io provengo da un’azienda nel settore Fashion – dichiara Pietro Berrettoni – dove l’innovazione è il vero driver del business, mentre nelle imprese farmaceutiche ce n’è molto meno, anche se nelle aziende che hanno una grande attenzione verso i prodotti da banco, e perciò verso il cliente, com’è il caso della mia, c’è più volontà di innovare anche in termini di sistemi informativi”.

La crescente complessità del mondo esterno alle aziende, non solo del mercato ma anche dei fornitori, non può essere direttamente trasferita nei processi interni, né può essere risolta solo in termini di efficienza, sottolinea Francesco Mari: “Adesso è di moda l’efficienza, ma questa è in alternativa con l’adattabilità che non si concilia con processi troppo rigidi, anche se ottimizzati, perché richiede un certo numero di gradi di libertà. Un processo altamente automatico tende ad essere fragile perché l’automatismo toglie intelligenza”. Ma, osserva Mari: “Ci sono applicazioni che non dobbiamo necessariamente rendere adattabili perché è sufficiente che siano efficienti: la contabilità fornitori deve solo processare informazioni in modo affidabile, ma difficilmente potrebbe generare valore aggiunto all’azienda per il fatto di essere adattabile; invece la supply chain deve essere adattabile perché ciò può produrre valore”.

La spada di Damocle

Perché nei periodi di crisi il budget dei servizi It, spada di Damocle dei responsabili dei sistemi informativi, subisce pesanti riduzioni?

“Il punto cruciale è il posizionamento dei sistemi informativi verso il business perché da ciò dipende se e come si taglia – commenta Alessio Rossi – Quando l’It è puro costo viene tagliato senza pietà”.

Ridurre gli investimenti It può significare ridurre l’innovazione, sottolinea Mari, che ricorda, per esempio, come la spesa It nella grande distribuzione in Usa sia 10 volte quella italiana: “In Italia stiamo pagando un ritardo culturale e di investimenti, perciò tagliare i budget in modo acritico è pericoloso”.

Dato un certo budget, il problema è come spenderlo, osserva Lorenzo Mercatali: “In questo momento è preferibile creare un sistema di business performance management o una supply chain flessibile oppure fare cultura per essere in grado di utilizzare correttamente la tecnologia più adatta? Negli anni del boom di Internet troppi top manager hanno creduto nella bacchetta magica, investendo cifre enormi in soluzioni Crm senza correlare esattamente tecnologia, investimenti e risultati attesi. Altri invece hanno avuto il coraggio di monitorare costantemente le proprie decisioni e magari di modificarle in funzione dei risultati effettivamente realizzati, come ha fatto Jeff Bezos che ha modificato in corsa la struttura organizzativa di Amazone.com, nata 100% Internet, introducendo una supply chain click&mortar. Il controllo è un fattore chiave: si può fare difesa del valore puntando sull’efficienza, sulla revisione del data center, sulla riduzione dei costi o sull’outsourcing. Oppure si possono sfruttare fattori esogeni come nuovi framework di business, nuove regolamentazioni o nuove spinte competitive. In ogni caso la cosa più importante è calcolare il Roi e poi controllare che il valore atteso sia stato veramente erogato”.

Le Nuove tecnologie

Dato questo scenario competitivo e la necessità delle aziende di essere adattive, la domanda che si pone è: in che misura le tecnologie It, in particolare i software applicativi tipo Erp, possono fornire un contributo significativo alla competitività delle imprese nella loro continua ricerca della flessibilità?

Tra gli utenti serpeggia un sentimento di disillusione, ben rappresentato da Alessio Rossi: “Certe tecnologie sono state sopravvalutate, come i sistemi web based che sono stati venduti sulla base della necessità di assicurare l’accesso più generale possibile, esigenza che poteva trovare soluzione con tecnologie più consolidate, più semplici e meno costose. Analogamente la grafica: prima si dava la colpa dell’inefficienza alle schermate bianche e verdi, ma una volta sostituite con schermate multicolori si è capito che il problema stava altrove”.

E poi “l’Erp non è più un fattore di innovazione, è una cosa ormai data per scontata: ci deve essere e possibilmente deve essere condiviso dal maggior numero possibile di partner” sostiene Rosanna Bartolini.

Ma, ribatte Francesco Mari, “anche ammesso ciò, non possiamo dimenticare che uno dei fattori di sviluppo degli ultimi anni è stato proprio l’utilizzo massiccio degli Erp”. Gli fa eco Simonetta Barbieri che precisa: “Oggi gli Erp non sono più quelli tradizionali; in particolare non sono più strumenti di pura gestione, svincolata dall’analisi. L’imperativo di oggi è analizzare i colli di bottiglia dei processi e risolverli. Dopo di ciò si devono analizzare i processi e così via. Gli Erp di oggi permettono tutto ciò”.

Tecnologia per analizzare i processi

Anche per Ducati l’Erp è il primo passo e l’analisi dei processi il secondo. “Quando un’azienda ha già un Erp e ha processi coerenti, allora è il momento di far leva sul business performance management. Ma questo passo non è indolore o immediato – commenta Rosanna Bartolini.- Bisogna investire sulla disciplina, altrimenti corriamo il rischio di introdurre in azienda bellissimi cruscotti colorati del tutto inaffidabili perché a monte non c’è stata disciplina nel controllo dei processi e nella verifica dei dati. La piattaforma in sé potrebbe dare un valore aggiunto, ma ciò non avviene perché i dati utilizzati non sono affidabili. Le aziende italiane devono rendersi conto che il problema non è avere la business intelligence, ma avere processi quanto più standard possibili per evitare quella eccessiva personalizzazione che ha rallentato l’implementazione degli Erp negli anni ’90”.

“Gli Erp devono saper fare bene le cose tipiche – aggiunge Alessio Rossi – e non devono pretendere di fare tutto; devono piuttosto essere aperti in modo che siano interoperabili con i pacchetti specializzati. Ma siamo ancora lontani da questo obiettivo perché persino all’interno degli stessi Erp, che si sono sviluppati in fasi successive, ci sono talvolta problemi di integrazione”.

Per Pietro Berrettoni è importante saper scegliere tra soluzioni standard e pacchetti best-of-breed, ma ancora più importante è saper individuare la tecnologia che avrà un futuro e che sia in linea con le aspettative di business aziendali: “È per questa ragione che diventa sempre più importante che i Cio abbiano una visione di business e non solo tecnologica”.

Francesco Mari ritiene che la corretta linea di sviluppo non sia quella di aggiungere sempre nuove funzionalità ai pacchetti Erp, con il rischio di complicare troppo, ma “essere una piattaforma applicativa aperta, essere in grado di miscelare le varie applicazioni in modo diverso con capacità di adattare il sistema informativo quando nel contesto aziendale intervengono fattori imprevisti”.

La cultura viene prima della tecnologia

Lorenzo Mercatali sul tema tecnologia prende una posizione un po’ provocatoria: “La nostra esperienza è che, a monte della tecnologia, deve essere fatto un investimento in cultura e in organizzazione in modo che tutti gli addetti ai lavori possano partire da una semantica condivisa. Altrimenti è inutile investire, per esempio, in grandi sistemi di business intelligence: è più produttivo usare Excel”.

Simonetta Barbieri precisa: “il punto è che l’implementazione delle nuove tecnologie deve avvenire con il coinvolgimento delle risorse del giusto livello. Se le risorse a disposizione sono inadeguate anche progetti semplici sono destinati al fallimento. Questo è sempre stato vero: oggi le cose sono più evidenti perché tutto è più veloce”.


L’importanza del change management

Secondo Alessio Rossi, “il cambiamento deriva dalla complessità del mercato e la pressione aziendale sull’It spesso è superiore alla capacità di risposta. Il riferimento per noi è il mercato giapponese che è molto più flessibile e orientato al cliente. Noi cerchiamo di ‘incapsulare’ il cliente nel nostro ecosistema e di aprirci alla maggior parte dei sistemi informativi dei partner sulla nostra filiera. Questo è un’inversione di tendenza rispetto a quanto si faceva solo pochi anni fa, quando si cercava di avere contatti solo con un numero ridotto di partner privilegiati”.

“Il cambiamento – sostiene Berrettoni – deve essere gestito su due linee: l’evoluzione tecnologica e il change management interno. Il settore farmaceutico è tra i meno sensibili al cambiamento, ma se vogliamo andare maggiormente verso il cliente dobbiamo non solo puntare su strumenti come il Crm, ma anche risolvere i problemi organizzativi che ne conseguono instaurando un opportuno change management. In definitiva, il centro del problema è l’It governance: la funzione Ict è nata come funzione di staff, ma ora è diventata molto più strategica perché gestisce le tecnologie abilitanti. Il responsabile dei sistemi informativi deve parlare anche il linguaggio del business e puntare su investimenti che hanno un ritorno sull’azienda che deve essere misurabile. Questo aiuta molto a convincere i vertici aziendali. Inoltre è importante avere un costante confronto con il mercato e con i concorrenti, perciò bisogna instaurare tecniche di benchmarking”

Questa maggior capacità di dialogo con i fornitori di tecnologia in termini di business è stata rilevata da Simonetta Barbieri che sottolinea come i clienti vogliono sempre più avere interlocutori specializzati per settore.

It governance: più facile a dire che a fare

Ma Deloitte avverte che in Italia non è cosa facile instaurare un buon sistema di governance e rivedere il ruolo del Cio. “Esistono processi standardizzati ormai disponibili su scala mondiale che potrebbero essere utilizzati con poco o nulla da inventare: basterebbe adeguarli alla propria realtà – commenta Mercatali-. Ma da noi è molto diffusa la sindrome del ‘not invented here’”.Non tutto è però negativo, commenta ancora Mercatali: “I Cio di successo ormai comprendono intimamente il business e, anzi, vengono sempre più spesso dal business con una cultura di tecnologia costruitasi solo in un secondo tempo. Sull’altro versante, in Italia uomini di business consumano la tecnologia dandola per scontata mentre dovrebbero imparare a vedere le cose più da vicino. L’azienda deve puntare sul rigore in fase di esecuzione, altrimenti non si riesce a cambiare niente e si fanno cose che poi si rivelano degli sprechi. Ciò si può evitare con un corretto change management, per verificare a posteriori i benefici delle scelte e implementando una corretta governance di tutta la struttura It”.

Anche per Berrettoni la comunicazione è fondamentale, in particolare per realizzare consenso e, quindi, ottenere più budget.

Per Rossi “le persone It devono avere non solo competenze tecnologiche, ma anche la capacità di comunicare: devono essere i formatori dell’utenza. In particolare devono essere in grado di modificare l’atteggiamento tanto diffuso tra gli utenti che si può sintetizzare con: io ti dico quello che voglio e tu me lo realizzi. La sfida è che il management delle medie imprese non è consapevole di avere questo gap culturale”.Anche per Sap il cambiamento parte dalla comunicazione. “Dobbiamo ascoltare sempre più i clienti sia per recepire i commenti di quanto è successo nel passato che per rendersi conto dei nuovi bisogni – commenta Mari -. Dobbiamo essere umili anche se si è fornitori di successo”.

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