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Carenza di programmatori? Ci pensa Powercoders…formando i rifugiati

Tutto è digitale, ma nelle aziende mancano i programmatori. Nelle nostre città i rifugiati sono “parcheggiati” senza la possibilità di ricostruire vite spezzate da esperienze traumatiche. Dalla combinazione di queste due situazioni nasce Powercoders che, come ha spiegato a ZeroUno Priya Burci, International Growth Officer, dalla Svizzera sta estendendo la propria attività in Italia

Pubblicato il 09 Mag 2019

Priya Burci, International Growth Officer di Power.Coders

Carenza ormai cronica di programmatori (o coders per utilizzare un termine più appealing), da un lato, rifugiati che, seppur qualificati, non riescono a trovare opportunità di lavoro e, quindi, la possibilità di ricostruirsi una vita spezzata dalle condizioni in cui versano i loro paesi di origine.

Nasce dalla volontà di coniugare queste due situazioni Powercoders, accademia di coding per rifugiati creata in Svizzera e che sta sbarcando in Italia, ideata da Christian Hirsig, giovane imprenditore svizzero che, colpito dalla crisi umanitaria dei rifugiati, ha deciso di vendere la propria società ICT (nella quale aveva sperimentato in prima persona la mancanza di competenze in ambito programmazione) e dedicarsi a tempo pieno a questa nuova realtà.

Priya Burci, testimonial alla Maratona delle STEM

L’occasione per conoscere Powercoders ci è data dall’evento Geniali si diventa: storie straordinarie tra arte e scienza con il quale si è aperta la 3 giorni della Maratona delle STEM, promossa dal Comune di Milano per avvicinare bambine e ragazze ai percorsi tecnico-scientifici.

Priya Burci, International Growth Officer di Powercoders, è stata infatti una delle testimonial che, nella splendida cornice del foyer del Teatro alla Scala, ha raccontato la propria esperienza insieme a: Valeria Bellantoni, Chief Communications Officer di Goel – Gruppo cooperativo, portavoce del progetto Cangiari, oggi un brand di alta moda che si caratterizza per i suoi tessuti prodotti al telaio a mano, che grazie alla ricerca e all’innovazione ha recuperato l’antica tradizione della tessitura calabrese; Sue Black, Professoressa di Scienze Informatiche e Technology Evangelist presso il dipartimento di informatica della Durham University, che ha creato la prima rete online per donne nel Regno Unito, BCSWomen, e ha guidato la campagna per salvare Bletchley Park, il sito dell’unità principale di crittoanalisi del Regno Unito durante la Seconda Guerra Mondiale; Ellen Stofan, che ha ricoperto il ruolo di Chief Scientist della NASA (2013-2016), e attualmente è direttore del National Air and Space Museum.

ZeroUno ha incontrato Priya Burci, 24 anni, liceo a Ginevra, laurea all’Università di Bristol e Master alla London School of Economics, a margine del suo intervento: “Il tema dei rifugiati mi ha sempre interessato e nel 2016 avevo fondato una piccola ong locale a Ginevra per offrire loro percorsi di formazione. Ma quando poi ho ottenuto il master a Londra, ho preferito lasciare questa attività perché non era possibile gestirla a distanza. La tesi del master è stata proprio su coding e rifugiati e quando sono tornata in Svizzera, insieme a Christian, abbiamo deciso di unire le forze”, spiega con quell’aria apparentemente timida, ma sotto la quale si percepisce una forte determinazione, tipica di molte ragazze e ragazzi della sua generazione. Ragazzi e ragazze con curricola formativi impegnativi, l’abitudine a essere cittadini del mondo, l’attenzione per il sociale; una generazione alla quale, va detto, noi “vecchi” abbiamo un po’ depredato il futuro, ma che questo futuro vuole ricostruirlo rendendolo un po’ più equo.

Priya Burci, International Growth Officer di Power.Coders
Priya Burci, International Growth Officer di Powercoders

Powercoders: chi è e come funziona

“Uno dei problemi dei rifugiati è che, anche quando hanno le competenze necessarie, difficilmente vengono presi in considerazione. E questo è anche uno spreco di capitale umano. Per questo – ha spiegato Burci – oltre a offrire una formazione intensiva di circa 3 mesi, supportiamo i rifugiati nell’introduzione del mondo del lavoro”.

È il caso di Jamila, una donna afghana arrivata in Svizzera nel 2015 con una figlia piccola, un passato nella formazione IT, ma che non riusciva a trovare lavoro nel paese che la ospita: “Jamila ha seguito i nostri corsi e ha fatto un tirocinio in SwissCom dove poi è stata assunta in ambito DevOps. Questo sta permettendo a lei e alla sua famiglia di integrarsi sempre di più nella società”, ha raccontato la giovane rappresentante di Powercoders.

Ogni programma si struttura con un’attività di selezione che consente di individuare 60 studenti dei quali vengono poi testate le competenze informatiche e la motivazione che li spinge a partecipare. Il test tecnico non richiede conoscenze molto approfondite, ma la motivazione è importante perché l’impegno è intenso. Questo processo porta alla selezione di 20 studenti che accedono a un coding bootcamp di 13 settimanae così strutturato:

  • 7 settimane per le lezioni su HTML, CSS, JavaScript, UX, Agile Project Management e sulla programmazione front-end;
  • 1 settimana di contatto tra gli studenti e le aziende interessate alle loro competenze, dove si svolgeranno stage dai 6 ai 12 mesi, supportati da un job coach
  • 5 settimane dedicate a sviluppare le competenze richieste dalle aziende, per essere pronti a svolgere le attività richieste.

I corsi in Italia: docenti fatevi avanti

L’80% delle persone che ha seguito i 4 programmi attivi in Svizzera ha trovato una collocazione fissa in aziende “e questo ci ha stimolato a cercare di introdurre questa attività anche in Italia, specialmente in Lombardia e Piemonte dove il mercato ICT sta crescendo ed è particolarmente sentita la carenza di competenze”. Attualmente Powercoders ha finalizzato una partnership con la scuola internazionale di coding Le wagon che ha una sede a Milano, ma Burci ha sottolineato come sia importante “il supporto delle aziende ICT che potrebbero, da un lato, offrire ai loro dipendenti l’opportunità di fare servizio volontario insegnando ai nostri studenti e, dall’altro, consentire loro di effettuare stage presso di loro. Poi – conclude, con il suo sorriso disarmante – se lavorano bene possono sempre assumerli”.

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