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Capgemini X.0 e la digital disruption: istruzioni per l’uso

“Contaminazione” positiva tra settori industriali e profili professionali, supply chain integrata con i fornitori e scambio di esperienze e best practice. Nell’evento “Capgemini X.0: Xtraordinary Xecutive Xchange Xperience” si è parlato di digital disruption e del cambio di paradigma che questa abilita, con nuove sfide e nuove opportunità per il business.

Pubblicato il 15 Giu 2018

Impresa 4.0, l'evoluzione di Industria 4.0: un disegno poligonale di un baco che diventa farfalla

Il recente summit milanese di Capgemini sulla digital disruption, intitolato Capgemini X.0: Xtraordinary Xecutive Xchange Xperience a cui hanno preso parte CEO e CXO di primarie imprese italiane, è stato dedicato alla contaminazione positiva di esperienze e best practice e all’illustrazione di casi esemplari di successo nell’adozione del nuovo paradigma digitale. Sono intervenuti big player appartenenti a diversi settori (da GE ad Assicurazioni Generali, a Philip Morris) per confrontarsi sulla rivoluzione in corso nel mondo del business. Si tratta di un cambio di passo sempre più pervasivo e dirompente, tanto che si parla ormai di versione X.0 dei processi.

Il digitale è un fattore abilitante e una leva potentissima, trasversale alle industry, per sostenere l’evoluzione di tutte le funzioni e dell’intera supply chain con i fornitori. Dal palco sono intervenuti protagonisti del manufacturing, del banking & insurance, del retail, per illustrare le sfide principali, i cambiamenti del mercato e le soluzioni rese possibili grazie alla tecnologia, ma anche a un rinnovato rapporto con i clienti, e tra questi e il brand. Dalle esperienze e dalle storie di successo è emersa l’importanza di capire e anticipare i trend di consumo grazie all’utilizzo diffuso e continuo di analytics su moli sempre maggiori di dati (Big Data), ma anche di costruire una nuova consapevolezza del ruolo del fattore umano. Il passaggio da Industria 4.0 a una definizione più completa di Impresa 4.0 è stato illustrato da Marco Taisch del Politecnico di Milano che ha sottolineato la complessità della rivoluzione sociale e culturale, non solo tecnologica, in atto: se con il termine Industria 4.0 ci si riferisce alla digitalizzazione delle aziende industriali e alla fabbrica connessa, con Impresa 4.0 ci si riferisce alla digitalizzazione lungo tutta la filiera, coinvolgendo anche le PMI.

Le conclusioni del summit sono state poi affidate a un ospite d’eccezione, Giulio Tremonti, Presidente Aspen Institute Italia, che ha parlato di “Rinascimento digitale” e di un nuovo ruolo per l’economia all’alba di questo millennio. L’evento è stato moderato da Andrea Cabrini, Direttore Class Cnbc.

Strumenti e best practice di digital trasnformation

Quali sono dunque gli strumenti e le best practice da seguire per le aziende che vogliono innovare e trarre valore dalla digitalizzazione? Andrea Falleni, numero 1 di Capgemini Italia, ha introdotto il summit ripercorrendo in sintesi la storia e i risultati del Gruppo, una delle più importanti società a livello mondiale per servizi di consulenza, information technology e outsourcing: “Capgemini ha iniziato la sua avventura ormai 50 anni fa a Grenoble; oggi è presente in 40 paesi e fattura 13 miliardi di euro worldwide. I clienti in tutto il mondo trovano in noi un partner affidabile, strutturato e con una vision precisa, che intende restare come leader di mercato – ha dichiarato l’AD con una battuta – per almeno altri 50 anni…”.

Obiettivo da raggiungere puntando su tre pillar: costruire relazioni sempre più solide con clienti e partner, efficientare le operation e ridefinire la catena del valore. Il tutto con il supporto di una forte componente di omnicanalità ed efficienza, abilitata ancora una volta dal digitale. Tra le tavole rotonde che si sono succedute alla convention, particolare rilievo merita quella su banche e assicurazioni, un settore che sembra rappresentare la sintesi tra un modello di business tutto sommato tradizionale e l’impiego di tecnologie digitali. A questo proposito, sono intervenuti Luca Vanetti, Responsabile Digital & Omnichannel Banking di Gruppo Banco BPM, e Marco Sesana, Country Manager e AD Generali Italia. Per Vanetti occorre “accorciare le distanze tra azienda e mondo digitale sul lavoro per creare un ecosistema smart, adeguando le skill in ottica di omnicanalità, anche tramite figure come il digital assistant”. Sesana ha invece parlato delle attività di storytelling, ovvero di un programma nel quale il racconto si è sviluppato intorno al tema del cambiamento interno a Generali, con l’obiettivo di migliorare le relazioni, di renderle più immediate e lavorare in modo più agile con riflessi positivi anche sulla customer experience: “Ricerchiamo profili di data scientist e puntiamo su prodotti come la connected insurance e i servizi che si possono attivare quando sensori e big data vengono messi a disposizione per l’analisi dello stile di vita delle persone”. Ricordiamo che per connected insurance si intende un nuovo approccio per il settore assicurativo, basato sull’utilizzo di sensori telematici per la raccolta e trasmissione di dati, che possono essere utilizzati per offrire servizi personalizzati con polizze assicurative basate sulle singole specificità dei beni o dei soggetti assicurati.

I dati che emergono dal World Retail Banking Report di Capgemini ed Efma su oltre 120 alti dirigenti di banche e fintech indicano che il 65% delle aziende della tecno-finanza e il 91% degli istituti di credito prevedono un futuro di collaborazione tra aziende tradizionali e le nuove realtà improntate sulla tecnologia: “Da un lato, si imporrà l’approccio digitale alla customer experience, dall’altro la competenza normativa e il risk management resteranno centrali”, sottolinea la ricerca. D’altra parte, i clienti, su tematiche come l’assicurazione, si fidano meno di aziende che si caratterizzano principalmente per l’innovazione tecnologica di realtà più consolidate: secondo il World Insurance Report di Capgemini, che raccoglie interviste condotte su oltre 8.000 clienti a livello mondiale, il 31% ha avuto contatti con una insuretech, ma il 46% degli intervistati ritiene più affidabili i provider tradizionali rispetto a materie come la sicurezza e la protezione contro le frodi; altri elementi importanti per i clienti sono il riconoscimento del brand (43%), l’interazione personale (41%) e la stima verso il proprio assicuratore; la fiducia nell’insuretech si attesta solamente, secondo lo studio, al 26%. Le aziende vedono invece nella tecnologia un valido supporto nel 75% dei casi.

Il digitale con l’uomo al centro

Gli investimenti in tecnologia sono in crescita, grazie anche agli incentivi del piano per l’Industria 4.0 ma complice forse soprattutto un cambiamento culturale, che porta ad abbracciare in modo più convinto la trasformazione portata dalla digital disruption. La Top 12 elaborata da Gartner sulle priorità strategiche di business da parte dei CEO per l’anno in corso 2018 vede nelle prime posizioni la crescita e gli investimenti in tecnologia: “Gli Amministratori Delegati ci dicono che una delle loro priorità di business è la tecnologia, come elemento strategico che distingue i player competitivi e pronti per il futuro. Le aziende sostanziano questa priorità introducendo nuovi ruoli come i Chief Data Officer, i Chief Digital Officer e i responsabili dell’innovazione, mentre il CFO cambia pelle e gestisce nuovi profili di rischio per le operazioni digitali”, ha sottolineato Bianca Granetto, Managing VP Gartner’s Technology and Service Provider Group, intervistata durante l’evento.

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