Più intelligenza Internet of Things arriva sui veicoli e più aumentano le opportunità di sviluppo sia per le digital companies sia per i tradizionali produttori del mondo automotive. Cresce e si allarga nello stesso tempo il perimetro della competizione. Questa volta sono Uber e Volvo a dare vita ad avviare nuovi test per una progettualità legata alle self driving car e vanno a comporre un mosaico di partnership, collaborazioni, strategie e progettualità che sono destinate a cambiare ancora una volta il volto del mercato automotive. Quel che è certo è che l’auto come noi l’abbiamo conosciuta e guidata non sarà più la stessa. IoT, Big Data e Analytics sono destinati a cambiare il modo con cui utilizziamo i veicoli, sia per quanto attiene i principi stessi di usabilità sia per quanto riguarda le logiche stesse del possesso.
Il ruolo delle digital company
Le grandi digital company come Apple, Google, Ibm, HPE, SAP, Samsung, Hitachi, Vodafone, Microsoft, Xerox, Mitsubishi, ma anche le digital start up che sono nate proprio per lavorare sulla mobilità come Uber hanno preso da tempo l’iniziativa lasciando in alcuni casi intendere di voler entrare direttamente non tanto nel mondo automotive, quanto in quello della “personal mobility”, anche con partnership destinate a portare le competenze digitali sempre più vicine al cuore del business dei “motori” grazie a collaborazioni con nomi come Ford, FCA, Toyota, General Motors, BMW, Porsche, Volkswagen, Mercedes. E il vero tema, forse più ancora più di quello tecnologico, è legato allo sviluppo di nuovi modelli di business alternativi e in prospettiva più competitivi rispetto a quelli tradizionali della vendita e del noleggio. In questo senso si colloca Uber, che parte per certi aspetti avvantaggiata in quanto essa stessa veicolo di un nuovo rivoluzionario modello di business che ha ormai conquistato la fiducia di tantissimi utenti in tantissime città del mondo. Con questi test che Uber ha avviato con Volvo sono sul tavolo 300 milioni di dollari di investimenti per dare vita al primo “autonomous taxi fleet“.
Un nuovo concetto di personal mobility
Certo si tratta di una prospettiva che non potrà far piacere ai tassisti che con questo progetto si troveranno a competere con un driver virtuale e che conferma la vocazione rivoluzionaria di Uber nel cambiare sin nelle sue radici il concetto di “personal mobility”. Non possiamo poi dimenticare che su questo mercato si intrecciano anche altri grandi temi che stanno alla base della Smart Mobility e delle Smart City. I veicoli a guida autonoma o parzialmente autonoma sono anche veicoli che dialogano con le nuove infrastrutture cittadine e che si collocano al centro di una logica di Public Open Data, che si intrecciano con i temi della Personla Identity, effettuano Pagamenti Digitali in modo autonomo e che fanno leva su soluzioni tipo NFC che si connettono anche con soluzioni di Smart Building che soprattutto nel mondo business sta contribuendo, anche a livello di fleet management, a cambiare radicalmente alcuni principi e alcuni servizi legati al Facility e Real estate Management. La gestione degli spazi dedicati ai veicoli è, come risulta sempre più evidente, una strategica fonte di new business che arriva dall’utilizzo flessibile e ottimizzato di quello che oggi è ancora considerato un semplice “spazio macchina” e che può diventare un componente dei servizi di “personal mobility” come ancor documentato dall’attenzione che Internet4Things pone costantemente al mondo Smart Car.
Tutti i servizi sullo smartphone
In concreto con questo progetto Uber e Volvo non solo puntano a creare una self driving car, ma un veicolo, nella fattispecie il Volvo XC90s, che gli utenti Uber della città di Pittsburg (scelta per questo test) potranno chiamare e programmare direttamente dal loro smartphone. Nel test l’autista rimarrà sul driving seat per sole ragioni di sicurezza, ma il veicolo è destinato a muoversi in modo assolutamente autonomo e soprattutto si tratta di un veicolo che viene messo poi a disposizione di clienti che hanno la sola necessità di effettuare un trasferimento, un viaggio con un punto di partenza e una destinazione, esattamente come con un taxi, senza nessunissima intenzionalità legata al possesso o alla stessa conoscenza del mezzo utilizzato.
I parametri di riferimenti saranno esattamente quelli del servizio offerto e della sua efficacia, ovvero la velocità con cui il veicolo viene messo a disposizione, la velocità con cui effettua il viaggio, il comfort, la competitività in termini di costi e, soprattutto, la sicurezza. E quest’ultimo punto appare la vera sfida sul tappeto in questa nuova corsa allo sviluppo di personal mobility. Certamente secondo molti osservatori nella scelta di Volvo da parte di Uber ha pesato anche la tradizionale e importante attenzione che la casa svedese ha da sempre posto ai temi della sicurezza. Volvo porta in questo progetto una competenza e una sensibilità sul tema della safety che è fondamentale sia per quanto riguarda le possibilità in termini di soluzioni sia per quanto il marketing del servizio.
Il ruolo della sicurezza
E il tema sicurezza appare in questo caso due volte importante. Nella prospettiva delle self driving car orientate alla vendita il rapporto tra utente e veicolo è chiaramente improntato a una specifica consapevolezza che ha un valore anche sul piano “psicologico“. L’utente sceglierà consapevolmente di utilizzare un veicolo che si guida autonomamente. Nel caso di Uber in prospettiva l’utente potrà valutare questa scelta, ma a fronte di una scelta che molto probabilmente favorirà la scelta di veicoli a guida autonoma (minori costi e maggiore disponibilità) senza necessariamente avere una abitudine o attitudine all’utilizzo di veicoli senza pilota. In questo senso un brand storicamente associato al tema della sicurezza rappresenta un valore che può contribuire a fare la differenza.
Consigliamo la lettura dei servizi su Autonomous Car su Food4Brains e in particolare l’abstract legato al test Uber Volvo