Low Code/No Code: tra sovrastrutture e orticelli da curare

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Editoriale

Low Code/No Code: tra sovrastrutture e orticelli da curare

La semplificazione nella creazione di ambienti software apre nuovi scenari, ma evidenzia anche qualche rischio e problematicità. La mezza rivoluzione della “programmazione facile” richiederà molta attenzione.

Pubblicato il 10 Ott 2022

di Marco Schiaffino

Sono tra le parole d’ordine del momento nel settore IT e promettono di cambiare per sempre (ma lo stanno già facendo) il modo stesso di lavorare con gli strumenti digitali. Low Code e No Code rappresentano una potenziale rivoluzione che dovrebbe portare nelle mani di tutti il potere di creare strumenti e ambienti software in piena autonomia. Come ebbe a dire il filosofo Ben Parker, però, “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”.

La mezza rivoluzione del low code

Quando si parla di Low Code, in realtà, si sta trattando di un fenomeno che è già in progress. Per lo meno nella prospettiva di una “semplificazione” del lavoro dei programmatori. L’uso di moduli, librerie e porzioni di codice ed elementi preconfezionati è una realtà da tempo e non esiste un singolo sviluppatore (almeno credo) che realizzi un software scrivendo il 100% del codice che utilizza.

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Senza contare che il coinvolgimento di componenti di terze parti è un elemento obbligato in qualsiasi caso ci si trovi a integrare il software con altre piattaforme. I vantaggi di questo processo sono evidenti, per lo meno in termini di risparmio di tempo, e uno degli effetti collaterali è la crescita esponenziale registrata negli ultimi anni di software open source e dei repository.

Tutto bene, quindi? Nì. Qualche problema, in controluce, si comincia a vedere. Il caso della vulnerabilità di sicurezza che ha interessato Log4j, libreria open source utilizzata da migliaia di software ma sostanzialmente abbandonata al suo destino, è paradigmatico. Insomma: in un sistema basato su sovrastrutture sempre più complesse, il rischio è che si perda il controllo (la conoscenza?) dei layer più profondi.

Sul web circola uno strepitoso meme in cui il fondamento delle attuali infrastrutture viene definita come “un progetto che viene manutenuto dal 2003 da una persona a caso in Nebraska che non ha mai ricevuto alcun ringraziamento” (cercate tra le immagini di Google con keyword “Nebraska 2003”. In mezzo alle foto di giocatori di football lo trovate).

L’evoluzione del Low Code potrebbe rendere più concreto questo rischio e non è detto che ce ne si renda conto subito. Non voglio passare per l’uccello del malaugurio, ma nel settore IT succede molto spesso che i problemi emergano solo quando provocano un vero e proprio terremoto. Tradotto: di solito il problema viene corretto dai singoli individui mano a mano che emerge episodicamente e si cerca una soluzione sistemica solo quando la situazione arriva a livelli critici.

Puntare sul No Code? Prima studiamo Jung

Non avendo una laurea in psicologia, il riferimento a Gustav Jung è solo una suggestione. Il nodo, però, è che per approcciare il No Code sarà bene considerare le implicazioni a livello personale. Sintetizzando tramite Wikipedia, No Code (oltre che un album dei Pearl Jam) permette “a programmatori e non programmatori di creare applicazioni attraverso interfacce grafiche”.

Insomma: i recinti a cui siamo abituati, con No Code, sono destinati a sgretolarsi e con loro il meraviglioso orticello che molti erano abituati a gestire in splendida solitudine. Vero che l’impatto della digital transformation obbliga a gestire la nuova trasversalità delle funzioni IT. Le ricadute, però, possono avere un certo peso.

Esempio pratico: sono impazzito per cercare di integrare l’ERP con il CRM e sono riuscito a farlo al 95%. Ora salta fuori quel collega del marketing che sa lavorare bene con i fogli Excel e che con il No Code ha pensato bene di chiedermi perché non si possa avere l’importazione di quel preciso valore del database nel sistema. Hashtag: #nervoscoperto.

Per riuscire a gestire una situazione del genere, è indispensabile fare ricorso al catalogo soft skills, cosa che nonostante i tanti studi in merito non è così scontata.

No Code + Low Code… Cosa può andare storto?

Facciamo le somme. Da una parte abbiamo un panorama dell’IT in cui il livello di controllo è sceso ai minimi storici. Dall’altra un’evoluzione dei processi aziendali in cui c’è un progressivo coinvolgimento diretto di soggetti che, fino a qualche mese prima, si ponevano solo in una prospettiva di demand e che ora mettono le mani in pasta nelle piattaforme. Il risultato è una miscela esplosiva che rischia di scoppiare tra le mani del CIO di turno.

E non stiamo parlando solo di un eventuale pasticcio a livello IT: stiamo parlando di processi, relazioni umane, impatti sugli organigrammi e chi più ne ha più ne metta.

Insomma: la scommessa che pongono i due fenomeni è di quelle da brividi e riuscire a neutralizzare i “contro” per godere dei “pro” è una di quelle sfide che richiedono sangue freddo, pianificazione e una buona preparazione (anche) psicologica e relazionale.

Poi non dite che nessuno ve lo aveva detto…

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Marco Schiaffino

Marco Schiaffino ricopre il ruolo di Direttore di ZeroUno da aprile 2022. Dal 2000 si occupa di nuove tecnologie e sicurezza informatica, come redattore (e in seguito caporedattore) di Computer Magazine. Giornalista freelance, ha collaborato con varie riviste di settore e siti di news, tra cui PC Professionale, CHIP e Il Fatto Quotidiano. È autore e conduttore della trasmissione radiofonica settimanale Doppio Click su Radiopopolare.

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