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Turismo, cultura e digital: come spendere bene le risorse del PNRR

Il comparto turistico italiano oggi ha a disposizione 6,68 miliardi di euro di investimenti diretti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, senza considerare tutti quelli destinati a infrastrutture e settori collaterali. Occorre, però, ripensare alla filiera con una “rivoluzione dello sguardo”, sostiene in questa intervista Federico Massimo Ceschin, presidente di Simtur, Società italiana professionisti mobilità e turismo sostenibile

Pubblicato il 08 Apr 2022

Roma 4.0

Che il turismo sia una delle voci più rilevanti nella generazione del Pil è italiano, è cosa nota. Così come che la pandemia, tra le conseguenze deleterie dal punto di vista economico, abbia messo in crisi l’intera filiera di questo comparto. Un comparto che, secondo gli ultimi dati Istat disponibili, pubblicati nel 2020 e riferiti al 2017, rappresentava il 6% (93 miliardi di euro) sul Pil per le aree connesse direttamente al turismo, percentuale che può diventare del 13,4% (210 miliardi di euro) se si considera tutto l’indotto.

Non stupisce perciò che il PNRR abbia previsto, all’interno della Missione 1 – Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo -, una Componente come la 3 espressamente dedicata a turismo e cultura con investimenti pari a 6,68 miliardi di euro. Il Piano suddivide la Componente 3 in quattro macro voci:

  • patrimonio culturale per la prossima generazione (1,10 miliardi);
  • rigenerazione di piccoli siti culturali, patrimonio culturale, religioso e rurale (2,72 miliardi);
  • industria culturale e creativa 4.0 (0,46 miliardi);
  • turismo 4.0 (2,40 miliardi).

Basteranno queste risorse a rimettere in moto la capacità attrattiva del nostro Paese? Se si analizza per esempio una delle azioni incluse in turismo 4.0, cioè Caput Mundi-Next Generation EU per grandi eventi turistici, l’impressione è che i 500 milioni messi a budget siano sottostimati per tutte le attività da coprire tra rigenerazione e restauro del patrimonio cultuale e urbano, riqualificazione delle zone periferiche, rinnovo e restauro dei parchi e digitalizzazione dei servizi culturali (Roma 4.0).

Le 4 voci previste da Caput Mundi-Next Generation EU

“Le voci a cui sono destinate le risorse del PNRR indicano una destinazione. Credo nessuno possa illudersi saranno mai sufficienti a rivoluzionare la qualità urbana, del verde e delle periferie, lasciando definitivamente alle spalle degrado, sottosviluppo e criminalità.” Federico Massimo Ceschin, presidente di Simtur (Società italiana professionisti mobilità e turismo sostenibile), possiede una lunga esperienza nella valorizzazione dei beni culturali e ambientali, soprattutto mediante la ricerca e lo sviluppo di itinerari culturali e percorsi di mobilità sostenibile.

L’associazione che presiede gestisce per esempio quei programmi nazionali definiti “di alta valenza turistica” da Enit l’Agenzia Nazionale del Turismo, e inseriti nell’iniziativa Repubblica Digitale del ministero per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale. “Per quanto riguarda Caput Mundi e la sua dotazione di 500 milioni, si costituirà a breve una società dedicata presso il ministero dell’Economia e delle Finanze. Oltre alla misura specificamente giubilare, Da Roma pagana a Roma cristiana, che recupererà alcuni cammini e percorsi storici di pellegrinaggio, di storia e di cultura, la nuova società dovrà attivare 4 misure: Mi tingo di verde per valorizzare parchi e ville, A mano tesa per aumentare l’offerta culturale nelle periferie a cui sarà dedicato anche il programma Città condivisa per la creazione di altri poli di attrazione diffusa. Il tutto nel contesto della transizione digitale con Roma 4.0”.

È possibile andare oltre il “novecentesco turismo di massa”?

A detta del presidente di Simtur, “la dotazione c’è”, mentre “tempi e competenze adeguate, secondo numerosi studi, rappresenteranno invece le criticità dei prossimi anni”. Ceschin è ancora più esplicito: “Consideriamo che, oltre a Caput Mundi, ci sono molte altre risorse impegnate dal PNRR per ristrutturare e rifunzionalizzazione in modo ecosostenibile le periferie. Complessivamente, i due settori della mobilità e del turismo direttamente osservati dalla nostra associazione porteranno a Roma e nel Lazio 8,2 miliardi di investimenti, con capitoli particolarmente ricchi provenienti dal ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili per strade e autostrade (1.696 milioni), con altri 1.300 milioni a ulteriore sostegno delle infrastrutture per il Giubileo. E poi ancora 354 milioni per la questione abitativa (case popolari e housing sociale) e rigenerazione urbana, 56 milioni per la mobilità ciclistica, 159 milioni per i porti, 160 milioni per le infrastrutture idriche, 169 per la giustizia e, infine, 12 milioni per il fondo progettazione”.

A fronte di questa copiosa disponibilità di aiuti finanziari, il rischio che si prospetta all’orizzonte è quello di non riuscire a risolvere “i nodi di sempre, poiché all’indomani dell’emergenza pandemica, che prima o poi potrà dirsi superata, ci ritroveremo con gli stessi problemi di prima: due soli prodotti turistici, mare e città d’arte, afflitti dall’overtourism, con grandi attrattori oltre la propria capacità di carico e un novecentesco turismo di massa. Mentre tanti altri luoghi straordinari mancheranno di rappresentare un’opportunità, se non si investe con decisione nell’integrazione della filiera turistica, nella generazione di esperienze di intrattenimento e nell’intermodalità necessaria a consentire ai visitatori di avviarsi nel Paese vero, nei territori di provincia, nelle zone rurali e nelle aree interne”.

Per una digitalizzazione che favorisca l’integrazione

L’incidenza che le tecnologie digitali potranno avere nello scardinare rendite di posizione ormai insufficienti a mantenere il Belpaese ai primi posti nel ranking delle mete turistiche mondiali sarà innegabile, a patto però di non considerale “autosussistenti” sottolinea Ceschin, che aggiunge: “Prima ancora delle piattaforme si rende necessaria quella che chiamo ‘rivoluzione dello sguardo’: occorre immaginare il turismo come una filiera orientata alla centralità della persona, cioè dell’ospite, in tutte le sue esigenze. Dall’accoglienza all’informazione, dall’ospitalità alla ristorazione, dalle produzioni tipiche all’artigianato e al made in Italy, passando naturalmente per i trasporti, l’arte, lo spettacolo, l’intrattenimento e, finalmente, l’esperienza di viaggio”.

La digitalizzazione, per esempio, dovrebbe contribuire a risolvere quella frammentazione che oggi ci distingue rispetto alle capitali del turismo europee che “hanno creato card turistiche integrate con attrazioni, servizi e trasporti. Com’è possibile che i nostri 4.908 tra musei, aree archeologiche e monumenti aperti al pubblico siano chiamati a rispettare regole e orari differenti perché dipendono da unità amministrative diverse?”. O ancora: “In Italia solo un museo su dieci (10,4%) ha effettuato la catalogazione digitale del patrimonio posseduto. Solo un terzo (37,4%) ha già completato il processo di digitalizzazione. Solo la metà delle strutture censite (44,7%) mette a disposizione almeno un dispositivo tra smartphone, tablet, touch screen, supporti alla visita come sale video e/o multimediali, tecnologia QR Code e percorsi di realtà aumentata”. Per non parlare di un aspetto più elementare: quante strutture offrono la possibilità di acquistare biglietti online? “I dati 2018 rilevavano un timidissimo 14%”.

Non è solo questione di “hardware”, ma di “software”

Il PNRR, nel dettagliare come saranno utilizzati gli investimenti a supporto della digitalizzazione della filiera, evoca alcune esperienze passate che non brillano certo per il loro successo. Con riferimento alla creazione di un Hub del turismo digitale, per esempio, punta a potenziale il portale Italia.it, un progetto i cui enormi costi finora sono stati pari alla sua incapacità di generare opportunità per il nostro turismo. “La storia di Italia.it non mi appare diversa, per certi aspetti, da quella di Alitalia: siamo riusciti nell’impresa di far fallire la compagnia di bandiera del Paese che, secondo tutte le ricerche, è la meta più desiderata dai viaggiatori di tutto il mondo” conclude Federico Massimo Ceschin, ammettendo nel contempo che “avere fiducia non è semplice. Ancor meno lo è trasmetterla agli operatori e ai giovani, dopo due decenni di crisi. Per questo motivo la ‘mia’ ricetta non cambia: è necessario prima un bagno di umiltà e di verità, poi occorre ripartire dall’etica e da una visione di lungo periodo, che non può che essere sostenibile e circolare. E non è solo un tema hardware, di infrastrutture, ma soprattutto software: occorre studiare, fare ricerca, qualificare, efficientare, integrare processi organizzativi di destinazione, trasporti, persone e luoghi”.

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