Smart city: i pilot non bastano, serve una strategia

Le tecnologie non mancano e le linee di tendenza sono già definite, ma in Italia le smart city sono ancora in uno stadio embrionale; i fornitori di tecnologie impegnati su questo terreno, illustrando la loro offerta, chiedono uno sforzo strategico e di governance per andare oltre i tanti pilot che popolano la penisola. Ma i vendor sono pronti ad ascoltare le richieste delle città?

Pubblicato il 11 Feb 2013

La smart city o meglio la “sensible city”, come preferisce chiamarla Carlo Ratti, architetto e ingegnere italiano docente del Mit di Boston (dove è responsabile del Senseable City Laboratory) – perché si dà l’idea di una città che parla e ascolta – si comporterà come un real time control system, che mette insieme una base fisica con una digitale, grazie a un insieme di sensori, controllori e attuatori, che include non solo le tecnologie ma anche le persone. “Quando ci sarà tecnologia dappertutto potremo finalmente dimenticarcene per tornare a fare le cose importanti: creare spazi sociali, incontrare gli altri, vivere con buone condizioni ambientali”, dice Ratti.

Ma per arrivare a questo punto la strada è ancora lunga e passa per una partnership fra città (fatte di amministrazioni), aziende, cittadini e fornitori di tecnologie e di soluzioni.

Microsoft, il software per città migliori

Carlo Iantorno, National Technology Officer di Microsoft Italia

“I comuni devono decidere cosa fare: se vogliono limitarsi a interventi cosmetici per raccogliere risultati politici immediati o se preferiscono affrontare seriamente il problema – esordisce Carlo Iantorno, National Technology Officer di Microsoft Italia – Nel secondo caso il piano di crescita delle città va strettamente intrecciato con quello dell’innovazione, andando a individuare le priorità, diverse da città e città”. Per le città italiane tre i temi principali: la vivibilità, gli strumenti per favorire la crescita delle imprese nel tessuto metropolitano, i servizi sociali. Ma ci sono alcune sfide da affrontare. La principale è tener dietro all’evoluzione della tecnologia che progredisce in continuazione, “mentre le città stentano a stare al passo anche per la carenza di competenze”, spiega. Ci sono poi la richiesta di servizi innovativi da parte dei cittadini, abituati a livello personale a usare le tecnologie, la competizione fra città e la necessità di superare le difficoltà finanziarie andando a identificare modelli sostenibili.

Microsoft si propone come partner tecnologico a partire dalle molte esperienze sia internazionali sia italiane. Il progetto Love Clean London, “una chiamata alle armi dei londinesi”, consente di denunciare con facilità crimini ambientali e interventi che sporcano la città e verificare l’avanzamento delle soluzioni. Il comune di Udine ha creato un portale che consente ai cittadini di segnalare i più svariati disservizi, dai rifiuti alla pulizia, dal dissesto stradale all’arredo urbano, dalle barriere architettoniche alle fognature… Il sistema di back-end aiuta gli impiegati del comune a risolvere i problemi. Questi sono solo due esempi, ma nella visione di Microsoft la città è destinata a diventare, per i cittadini, un service provider . “Ma per farlo deve operare almeno su tre dimensioni: la tecnologia, l’organizzazione e il business – dice Iantorno – Visto che non può essere il Comune a sviluppare le applicazioni, si deve identificare chi può farlo, andando a realizzare partnership con il mondo privato”. Sul piano della tecnologia gli ingredienti sono, per Microsoft, cloud e social, big data e open data, unified communication (con un’architettura aperta e interoperabile, vedi figura 1) e la capacità di sfruttare la molteplicità di dispositivi che la consumerizzazione dell’It rende disponibili. “Grazie a Windows 8 siamo in grado di far fare un passo in avanti anche al miliardo di utenti di Pc e non solo agli amanti dei tablet e ai city snob”, dice Iantorno, che ricorda le indicazioni di un recente studio realizzato da Copenhagen Economics: l’adozione di tecnologie quali cloud e unified communication potrebbe consentire un risparmio di un miliardo di euro considerando solo i costi delle amministrazioni locali, risparmio che potrebbe aumentare con una strategia che spinge le aziende verso una logica home office per collaboratori e dipendenti.

Figura 1: Le componenti dell’architettura di riferimento per le Smart Cities secondo Microsoft

Ibm: città intelligenti ma c’è carenza di progettualità e di governnace

Molto attiva sul terreno delle smart city anche Ibm. L’iniziativa più recente è Smarter Cities Challenge 2013, un programma internazionale da 50 milioni di dollari che vedrà coinvolte oltre 100 città, con l’obiettivo di analizzare, di volta in volta e con il supporto di un team di esperti, una problematica chiave identificata dall’amministrazione pubblica. A livello italiano è stato lanciato recentemente un progetto di illuminazione intelligente in partnership con Umpi, azienda specializzata nelle tecnologie powerline, e Unicredit. Il progetto potrebbe consentire a una città di medie dimensioni, con circa 30mila punti luce dislocati sull’intero territorio, di attuare un risparmio energetico annuo superiore al 40%, oltre al risparmio legato alla spesa manutentiva pari al 30%, senza la necessità di investimenti iniziali, grazie ad un meccanismo di finanziamento messo a punto da Unicredit che prevede la costituzione di una società ad hoc; sul piano tecnologico il progetto può utilizzare le reti elettriche esistenti, per realizzare una rete di servizi pronti da connettere aumentando la qualità dei servizi stessi: il sistema consente ad esempio di effettuare il telecontrollo e la telegestione di tutti i componenti che costituiscono qualunque impianto di illuminazione pubblica e garantisce la gestione operativa e la pianificazione di interventi manutentivi su tutti gli asset.

Valerio Imperatori, Smarter Cities Business Development Executive di Ibm Italia

Tuttavia non sono sufficienti singoli progetti per fare una città intelligente. Lo ha sostenuto Valerio Imperatori, Smarter Cities Business Development Executive di Ibm Italia, in occasione di Smart City Exhibition: “Le tecnologie non mancano, ma c’è carenza di progettualità e di governance dei progetti. Nelle nostre città spesso si ragiona ancora per gadget, e così trasformiamo la cabina telefonica di una volta in un luogo di rifornimento per veicoli elettrici; questo non basta per fare una Smart City”. Gli stessi bandi del Miur fanno riferimento a progetti di ricerca ancora sperimentali destinati a creare progetti pilota, senza sapere cosa ne sarà di queste tecnologie fra 2-3 anni. “Se vogliamo costruire una vera sintesi, sarebbe utile identificare due-tre città per le quali definire un progetto strategico da realizzare – suggerisce Imperatori – Altrimenti continueremo a sviluppare ricerca e tecnologie ma il paese e il territorio non potranno mai poterne trarre vantaggio”.

Cisco: arriva la certificazione per le smart city

Fabio Florio, Manager of Business Development, Responsabile Smart Cities ed Expo 2015 per Cisco System

Critica anche la posizione di Fabio Florio, Manager of Business Development, Responsabile Smart Cities ed Expo 2015 per Cisco System, che sostiene che sulle città intelligenti sia necessario “fare un po’ di ordine”. Si riferisce alle contraddizioni che emergono dalle diverse posizioni di Anci, l’associazione dei comuni italiani. “I progetti dei Comuni per i prossimi tre anni prevedono tutta una serie di investimenti, ma banda larga e wifi rappresentano solo lo 0,03%. Senza banda larga, come è possibile lanciare nuove soluzioni per smart grid, scuola, sanità, energia, edifici intelligenti, lavoro distribuito?”, si chiede, sottolineando che non basta definire coerentemente i budget ma c’è anche un problema di governance: “Smart City non significa solo identificare i progetti, ma saperli guidare. E solo la Pa può guidare tutti gli attori coinvolti nel processo, che sono tanti, tra aziende, piccole e medie imprese, utilities”. Indispensabile dunque identificare figure di project manager all’interno della Pubblica Amministrazione.

Le città italiane potrebbero trarre vantaggio dal City Protocol, il primo sistema di certificazione per le smart city che Cisco ha lanciato a livello internazionale, con la municipalità di Barcellona e Gdf Suez. L’annuncio è stato dato a Barcellona nel contesto della seconda edizione di Smart City Expo World Congress, come risultato del meeting internazionale Building Better Cities Together, avvenuto nel luglio scorso, e del lavoro a esso seguito per definire la metodologia per creare un modello di innovazione urbana basato sulla definizione di standard, sull’integrazione delle diverse piattaforme e sullo sviluppo di tecnologie e soluzioni. Il City Protocol, per raggiungere l’obiettivo di aiutare le città a costruire un futuro sostenibile, con una modalità di lavoro orientata al risultato, si basa su una rete globale di città del mondo in partnership con l’industria, la ricerca ed altri enti. Per gestirlo verrà creata un’organizzazione dedicata: la City Protocol Society

Deda Group: il futuro è a due passi

Gianni Camisa, amministrazione delegato di Deda Group

Una ventata di ottimismo arriva da Gianni Camisa, amministrazione delegato di Deda Group. Esistono città intelligenti anche in Italia, senza andare a cercare esempi a Singapore o a New York, realizzate con tecnologie italiane e competenze presenti sul territorio, ha sostenuto in occasione di Smart City Exhibition. “Si può partire anche con gli attuali vincoli di spending review e di budget”, dice, precisando di considerare intelligente una città integrata, non tanto dal punto di vista delle tecnologie ma soprattutto sul piano dei bisogni dei cittadini. Si tratta certo di progetti complessi che devono partire da alcune premesse tecnologiche, come la disponibilità adeguata di banda e di reti, di applicazioni minime, da un patrimonio informativo condiviso integrato. Un esempio il Comune di Modena. “È stato a nostro avviso molto intelligente quando ha saputo pianificare le esigenze urbanistiche del suo territorio grazie a una serie di database, che sono stati usati come sensori logici, e all’applicazione intelligente di strumenti di analitics”.

Un altro esempio è quello di Informatica Trentina che ha reso disponibili alle costituende comunità di valle tutta una serie di applicazioni che altrimenti le stesse comunità probabilmente non avrebbero potuto godere. La Regione Emilia Romagna ha a sua volta reso disponibile in formato open data l’intero patrimonio informativo alle imprese per poter sviluppare applicazioni.

“Non basta però un’amministrazione illuminata , ma serve il contributo dei cittadini, che diventano dei “sensori” sul territorio, delle imprese che generino bisogno e allo stesso tempo rendano disponibile all’amministrazione servizi, dati, informazioni”, ha aggiunto. La strategia deve essere condivisa con il mondo dell’offerta che deve rendersi disponibile ad allineare le proprie soluzioni con le richieste di un’amministrazione che deve esplicitare come vuole declinare la propria agenda digitale. È questo il suo appello rivolto soprattutto al mondo dei vendor internazionali.

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