Vita da CEO

Nicola Ciniero si racconta: “Nel mercato ICT non si fa più strategia. E bisogna ritornare a parlare il linguaggio dei clienti”

Dalle schede perforate alle App, l’ex CEO di IBM Italia ha vissuto in prima persona l’onda impetuosa dell’Information Technology. Aneddoti, riflessioni, opinioni di un top manager ossessionato dallo sviluppo delle risorse e dei talenti aziendali. “Perché le sfide del futuro sì giocano lì”

Pubblicato il 05 Ago 2019

Ritratto di Nicola Ciniero – Illustrazione di Lorenza Luzzati

Schietto, diretto, decisionista. Nicola Ciniero, ex amministratore delegato e presidente di IBM Italia, ha iniziato a lavorare nell’area risorse umane (“ho cominciato da subito a capire l’importanza del team di lavoro”). Poi il salto nell’informatica (“Sono passato dalle schede perforate alle App”). Con ruoli di crescente responsabilità nell’area commerciale (“Tutto il tempo che potevo dedicare lo dedicavo ai clienti. Perché il tuo stipendio arriva dai clienti e spesso non tutti se lo ricordano”). Infine, il naturale approdo verso la direzione generale e la responsabilità di aziende come Compaq e IBM col ruolo di CEO.

ZeroUno: E ora?

Nicola Ciniero: Adesso sono presidente di BePooler, start up specializzata nel car pooling aziendale, e consigliere di amministrazione di Elmec, nome storico italiano nella gestione dei servizi IT per le imprese.

ZeroUno: Come è cambiato il mercato ICT rispetto a qualche anno fa?

Ciniero: Oggi le multinazionali hanno uno stampo di tipo colonialista: essendo un mercato sempre più maturo, nei vari paesi si premia sempre di più l’execution e l’omogeneità di comportamenti rispetto all’intuizione di mercato e all’innovazione del go-to-market. Di strategia vera non si fa più niente, è sempre più una tattica operativa. Tutto viene deciso a livello centrale. E mentre un tempo c’erano gli imperatori delegati – come li chiamavo io – adesso questo modello impone amministratori delegati che nella realtà contano sempre meno.

ZeroUno: Perché?

Ciniero: Perché si cerca l’armonizzazione, l’omogeneità. Del resto, sono stati gli americani a inventare i cappellini “one size fits all”: quello che va bene negli Stati Uniti deve andar bene anche nel resto del mondo. Ma bisogna andare oltre: il mercato dell’ICT è un mercato che è sì nato “americano centrico”, ma che sta diventando “cinese centrico”. Le aziende tecnologiche europee sono state negli anni fagocitate in questa morsa: le Olivetti, le ICL, le Nixdorf, le Siemens hanno perso progressivamente peso fino a sparire. E quindi da una parte hai una Cina che è di fatto il leader sulla parte più puramente hardware, dei device e che sta mettendo a frutto il know how acquisito negli anni dagli altri; dall’altro hai gli USA che mantengono un ruolo di riferimento grazie alla loro naturale cultura dell’innovazione.

ZeroUno: E l’Italia?

Ciniero: Beh, l’Italia è ormai un paese anoressico dal punto di vista del digitale. Un paese che ha continua ad avere grandi difficoltà nel prendere decisioni. Ti faccio un esempio: centralizzare i datacenter per la PA significa portare 1,8 punti di PIL al Paese. Tanti studi, tante analisi, tanti incontri e poi un nulla di fatto. L’Industry 4.0 è stato un grande progetto, ma degli Innovation Hub in 2 anni ne sono stati fatti ben pochi. Insomma, continuiamo a essere un Paese che non prende le decisioni, le inibisce. Si decide di non decidere. Ed è un peccato, perché l’Italia è comunque la seconda potenza industriale europea, ha un disavanzo primario invidiabile, è un mercato da 60 milioni di consumatori, con un risparmio privato che è il secondo a livello mondiale. E anziché rimboccarci le maniche, inseguiamo le fake news sui social.

ZeroUno: Troppo tempo perso sui social?

Ciniero: Ho avuto la fortuna di avere ottimi maestri nella mia vita: i miei primi capi mi hanno sempre detto di spendere il proprio tempo a “pensare”. Ed è vero. Oggi siamo bombardati da informazioni che per giunta non sappiamo neanche quanto siano vere. Bisogna ritrovare il tempo per pensare e invece siamo sempre in “reactive mode”. Sai in realtà cosa ci insegnano i social? Che la gente è sola, che ha bisogno di aggregazione.

ZeroUno: E come è cambiato il mestiere del manager?

Ciniero: Noi italiani, come manager, siamo i migliori quanto a idee, creatività, fantasia, human touch, cultura (che non è poco). Purtroppo, abbiamo questa idea del consenso a 360 gradi. Nel lavoro non è possibile accontentare tutti. Il mestiere del manager è molto cambiato negli ultimi anni: oggi devi fare lo storyteller, ma un conto è raccontare come si fa una cosa, altro conto è farla. Soprattutto ai giovani va insegnato non come si “racconta” una storia, ma come si “crea” una storia. Se le cose le hai fatte davvero, sei anche in grado di raccontarle. È profondamente diverso.

ZeroUno: Qual è il problema principale che i manager si trovano ad affrontare?

Ciniero: Il problema oggi dei nostri manager è la continua gestione delle procedure interne e della burocrazia, soprattutto quando si lavora nelle multinazionali. È una lotta continua. Perdite di tempo infinite. Con l’esperienza cerchi di ottimizzare il tempo a disposizione, convinto di poter fare più cose insieme. Ma è una illusione. Il multitasking non serve e non dà qualità: bisogna dedicare il giusto tempo e la giusta attenzione alle varie attività. Anche perché l’essere umano è un essere seriale: fa una cosa alla volta.

ZeroUno: Un aiuto può arrivare dalla tecnologia

Ciniero: Certo. Ma sono io ad usare la tecnologia, non è la tecnologia che usa me, come purtroppo avviene. La tecnologia va compresa, va conosciuta.

nicola ciniero fotografato da lorenzo ceva valla
Nicola Ciniero (fotografia di Lorenzo Ceva Valla)

ZeroUno: Nelle scuole si stanno facendo delle attività per un utilizzo più consapevole delle tecnologie. Ci sono anche corsi di coding.

Ciniero: Guarda, questa cosa del coding non mi convince neanche un po’. Va bene negli Stati Uniti perché gli americani non sanno neanche cos’è il latino o il greco. Ma instradare un ragazzino di 7-10 anni verso il diagramma a blocchi vuol dire tarpargli la fantasia intellettuale. Che poi debba essere comunque fatta è doveroso, sia chiaro.

ZeroUno: Prima abbiamo parlato delle multinazionali. Che opinione ti sei fatto sulle PMI italiane?

Ciniero: La media azienda italiana è molto più avanzata sui processi rispetto alla grande azienda. Sulla tecnologia, la questione è un po’ diversa ma il problema è che questo è un mercato che i grandi vendor fanno fatica a raggiungere. E fanno fatica perché non parlano la stessa lingua dei clienti medio-piccoli, vanno avanti a slogan e acronimi. Ma ti ci vedi a parlare di POC – proof of concept – con chi vive in fabbrica a costruire tondini in ferro? Non a caso ci sono fantastiche aziende italiane di software e di system integration che sono molto brave a intercettare questo mercato. Perché? Perché conoscono il core business dei loro clienti e usano lo stesso linguaggio. Non vendono la tecnologia fine a sé stessa.

ZeroUno: A proposito di tecnologie, qual è quella che serve davvero?

Ciniero: Il cloud è uno dei pochi paradigmi che serve davvero e viene ancora poco utilizzato. Mediamente oggi il budget IT va per il 75% nella manutenzione dell’esistente e per solo il 25% in nuovi progetti e innovazione. Il cloud è l’unico abilitatore che ti consente di liberarti dal pregresso a costi contenuti con modalità di utilizzo pay per use. Le aziende devono ancora fare in molti casi questo passo eppure il mercato parla già dell’Edge. Dobbiamo ritrovare un po’ il senso della realtà.

nicola ciniero, ritratto di Lorenza Luzzati
Ritratto di Nicola Ciniero – Illustrazione di Lorenza Luzzati

ZeroUno: Nella tua carriera hai assunto centinaia e centinaia di persone…

Ciniero: L’assillo di ogni manager – e voglio sottolineare la parola assillo – deve essere quello di sviluppare le risorse e i talenti per le sfide del futuro. Perché le sfide del futuro non si possono più disegnare. Oggi non esiste neanche più la programmazione a tre mesi. Flessibilità, duttilità, elasticità sono caratteristiche fondamentali. Basta un minuto per prendere la decisione giusta, non servono soldatini che eseguono. Il manager ha finito il suo lavoro quando non serve più all’organizzazione.

ZeroUno: E come scegli i collaboratori?

Ciniero: Noi come azienda siamo capaci di formare una persona purché questa abbia le caratteristiche base, l’humus per ricevere quanto stiamo fornendo. Quindi vanno trovate persone che abbiano una vasta cultura generale, sempre voglia di imparare, interessi al di fuori del mondo del lavoro, un ottimo equilibrio fra vita professionale e vita personale: non bisogna essere drogati di lavoro. Un consiglio di un mio grande capo è poi questo: “quando cambi azienda, la cosa più pericolosa che tu possa fare è portarti via delle persone dall’azienda precedente”. Perché? Perché il contesto aziendale che ha portato al successo di un gruppo non è sempre replicabile.

ZeroUno: È un po’ il discorso della cultura aziendale

Ciniero: Ho avuto la fortuna di vivere grandi fusioni e integrazioni: si pensi alle acquisizioni Digital-Compaq-Tandem-HP. La mia esperienza è che spesso non si tratta di amalgamare culture ma di ridisegnarle. E questo compito deve essere fatto da una persona esterna che non ha eredità o posizioni da difendere.

ZeroUno: Cosa vuol dire essere leader oggi?

Ciniero: Oggi per me un leader deve avere 3 caratteristiche: 1) deve saper fare le cose 2) deve saperle far accadere nei tempi previsti 3) deve essere aperto e disponibile al confronto bi-direzionale. L’ultimo punto è molto importante perché il leader deve vivere insieme alla squadra, deve respirare il mood dell’organizzazione: capire i mal di pancia e risolverli. Fare da cassetta delle lamentele e non risolverne neanche una è fare storytelling. Non è essere leader. Il valore di una azienda è dato dalle persone, il prodotto è una variabile indipendente.

ZeroUno: Un errore che non rifaresti?

Ciniero: Di errori ne ho fatti nella mia vita lavorativa, sono umano. L’errore più grosso è stato quello di avere sacrificato troppo la vita personale per quella professionale.

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