La digital transformation in 4 passi più uno, il percorso indicato da Bcg

Customer experience, innovazione di prodotti e servizi, processi agili e tecnologie abilitanti. Sono i quattro livelli sui quali si snodano i percorsi di Digital Transformation delle aziende cui trasversalmente si sovrappone il tema dell’accelerazione.

Pubblicato il 16 Feb 2016

La Digital Transformation è diventata ormai un ‘mantra’ planetario, ma perché se ne possano comprendere opportunità, vantaggi, ripercussioni/impatti, criticità e sfide è indispensabile darne una connotazione chiara e precisa. Lo facciamo con l’aiuto di Fabrizio Pessina, responsabile Technology Advantage Practice di The Boston Consulting Group per Italia, Grecia e Turchia. “Dalla nostra prospettiva, il mondo digitale e la trasformazione che le aziende stanno compiendo per farne parte si snodano prevalentemente su quattro livelli entro i quali si possono ‘immaginare’ percorsi trasformativi in senso lato”, esordisce Pessina nell’intento di delineare il macro scenario della Digital Transformation. Vediamo in dettaglio di che si tratta.

1) La customer experience

Fabrizio Pessina, responsabile Technology Advantage Practice di The Boston Consulting Group per Italia, Grecia e Turchia

Il primo livello è quello che ruota attorno alla customer experience (come sta cambiando l’esperienza del cliente nei confronti del brand aziendale e nell’interazione con le imprese attraverso i servizi digitali) “che ha a che fare con il front-end di un servizio digitale non tanto dalla prospettiva tecnologica ma dal suo ‘look and feel’ percepito dall’utente che ne usufruisce”, fa notare Pessina. “Per altro, anche dalla prospettiva tecnologica, questo aspetto della digitalizzazione ha ripercussioni ‘a cascata’ sull’intero asset It perché porta le operations a rivedere i processi di monitoring e di service quality, non più gestibili ‘a blocchi’ (silos tecnologici o progettuali) ma in una logica end-to-end: la focalizzazione non è solo su ‘come appare l’app’ all’utente, ma come questo usufruisce del servizio ad essa collegato”. Per una banca, porta come esempio l’analista, la customer experience non si esaurisce sul ‘quanto e come’ sia facile ed intuitivo accedere via mobile all’online banking ma ‘cosa’ l’utente riesce a fare con il servizio, per esempio accedere ad un finanziamento in pochi giorni anziché settimane.

2) L’innovazione di prodotti e servizi

“Se la customer experience rappresenta il ‘primo livello’ più evidente della digitalizzazione, i suoi effetti diretti ed indiretti influenzano i livelli sottostanti, a partire dall’offerta dei servizi/prodotti”, prosegue Pessina. “Le aziende devono prima di tutto capire quali prodotti e servizi digitalizzare e come poterlo fare”. Generalmente l’approccio è di tipo incrementale, “la maggior parte delle aziende inizia ad offrire servizi digitalizzati come opzione aggiuntiva rispetto a qualcosa che già offrono”, evidenzia ancora Pessina. “Tuttavia, anche in Italia, stanno prendendo piede fenomeni di digital disruption: alcune aziende ‘inventano’ dei business paralleli rispetto all’azienda core e li gestiscono in maniera totalmente nuova rispetto al passato, facendo in questi casi dell’innovazione digitale il core”. Tipicamente questi percorsi si sviluppano in modo parallelo ma non integrato (il nuovo business digitale è gestito separatamente dal resto dell’azienda) con logiche di organizzazione, processi, competenze e tecnologie completamente diversi e separati dalla ‘compagnia principale’: “l’obiettivo è proporre prodotti e servizi innovativi in modo agile e veloce, quindi senza i vincoli dell’impresa tradizionale”, fa notare Pessina.

3) Processi più agili

E veniamo dunque al terzo livello su cui si gioca la partita della Digital Transformation, quella dei processi. “Sia che si tratti di servizi incrementali sia di vera innovazione dirompente, l’impatto sui processi aziendali è inevitabile”, conferma Pessina. “In questo caso le conseguenze si diramano su più fronti: da un lato c’è una evidente necessità di revisione dei processi di vendita, che si concretizza sia nella capacità di proposta dell’azienda (vendere attraverso l’utilizzo di nuovi canali digitali), sia nella sua ‘propensione’ all’innovazione (saper vendere ‘il nuovo’). Nel primo caso, gli impatti sono sulla produttività, nel secondo sulle competenze (servono competenze ‘nuove’ per riuscire a proporre ‘il nuovo’). Dall’altro lato, vi è un’altrettanta palese ‘urgenza’ di intervento sul piano dei processi interni di back office”. In quest’ultimo caso, il tema di fondo è “non si può fare innovazione ragionando ed operando in modo tradizionale – dice un po’ provocatoriamente Pessina -. I processi interni devono diventare molto più agili, non solo quelli It, gestiti, monitorati e automatizzati lungo tutta la catena del valore di business”.

4) Le tecnologie abilitanti

L’ultimo, ma non certo meno importante livello, riguarda le soluzioni tecnologiche sia lato front-end (cosa mettere a disposizione degli utenti) sia lato back-end (cosa utilizzare per la digitalizzazione del business). Senza entrare nel merito delle singole soluzioni, che ovviamente dipendono dal tipo di azienda, dal progetto e dagli obiettivi che si intende raggiungere, Pessina punta i riflettori sui nuovi paradigmi tecnologici che di fatto oggi abilitano quei percorsi di innovazione dirompente che un tempo richiedevano lunghi passaggi ed investimenti costosi: uno su tutti, il cloud computing e tutta la filiera dell’It as-a-service.

“Creare business paralleli per la proposta di soluzioni e servizi innovativi agili, non vincolati al core business tradizionale, come accennato, è un percorso che non può certo trovare ostacolo nell’accesso alle tecnologie”, fa notare Pessina. “Anche senza ragionare come startup, molte aziende che scelgono questo tipo di percorsi di digitalizzazione volutamente tengono separati anche i sistemi It scegliendo il cloud come risposta tecnologica primaria”. Il cloud rappresenta comunque il motore abilitante anche di percorsi evolutivi ‘più miti’, soprattutto laddove la digitalizzazione implica business sempre più basati e guidati dal software (per l’analisi dei dati, lo sviluppo interno di applicazioni e servizi It, l’evoluzione della fabbrica digitale, solo per fare alcuni esempi…).

+1: gli acceleratori

Vi è poi un livello aggiuntivo che, in realtà, ‘gioca’ un ruolo un po’ trasversale nei percorsi di trasformazione delle aziende: quello degli acceleratori. “Le vie per riuscire a muoversi efficacemente lungo tutti i quattro livelli della Digital Transformation, considerando i requisiti di velocità oggi richiesti per risultare competitivi sul mercato, sono sostanzialmente due – esprime come opinione Pessina in chiusura -: 1) sfruttare ‘ecosistemi aperti’, da intendersi sia come approccio tecnologico per poter integrare all’interno dei propri sistemi servizi più innovativi (quello che sempre più denoterà l’hybrid It), sia come strategia di business lavorando con partner e community ‘più avanti’ nel percorso di digitalizzazione dalle quali ‘prendere spunto’ e con le quali collaborare; 2) comprare competenze, tipicamente attraverso startup ed incubatori universitari”.

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