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Agentic AI e High-Performance IT: la rotta per i CIO tra opportunità e sfide



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Dall’era delle app a quella degli agenti intelligenti: l’IT entra in una fase di automazione end-to-end. Ecco un framework operativo sviluppato da Forrester e presentato ai Digital 360 Awards e CIOsumm.IT. L’importanza dell’essenzialità 

Pubblicato il 30 set 2025

Vincenzo Zaglio

Direttore ZeroUno



agentic AI Forrester

C’è un’immagine che torna spesso quando si parla di trasformazione digitale: l’onda. O la cavalchi, o ti travolge. Nel suo intervento ai Digital360 Awards e CIOsumm.IT, Stéphane Roger, VicePresident ed Executive Partner di Forrester, ha puntato l’obiettivo sull’onda che sta arrivando: l’Agentic AI, destinata a trasformare in profondità il modo in cui le aziende definiscono processi e organizzazione dell’IT. 

Il messaggio di fondo è nel contempo semplice e impegnativo: «Quando arriva una nuova ondata di innovazione, bisogna capire quale impatto avrà sul proprio business e cercare di cavalcare l’onda», spiega Roger.  

Per riuscirci, servono metodo, lucidità nel prioritizzare e una strategia IT capace di mettere insieme – come vedremo – allineamento (con il business), fiducia (nel ruolo fondamentale dell’IT per il business) e adattabilità (capacità dell’IT a rispondere alle esigenze di business). 

Lezioni dal passato: l’innovazione dei touchpoint

Roger parte da un flashback che molti CIO ricordano bene. Anni ’90: ERP e processi strutturati, telefonia mobile agli albori, email su Nokia Communicator. Poi l’era BlackBerry e, nel 2007–2008, l’arrivo dell’iPhone. Non tutte le aziende ne colsero la portata: «Una grande banca europea lo definì un telefono carino per le mogli», ricorda Roger con ironia. Il resto è storia: oltre due milioni di app, più di un miliardo di utenti attivi, un ecosistema che ha riscritto customer journey, distribuzione, pricing e timetomarket.

La lezione è attuale: ogni svolta di interfaccia – dal click allo spoke con agenti intelligenti – ridefinisce esperienze e modelli di business. «Chi guida l’innovazione dei touchpoint, guida il mercato» commenta Roger.

Dall’ERP al digitale (e oltre): l’IT ha guadagnato centralità

Negli anni ’90 l’IT era soprattutto dati strutturati, backend e sistemi basati su record. Con Internet prima e il mobile poi, l’architettura si è “aperta”: API, cloud, piattaforme, frontend di engagement e journey omnicanale hanno reso l’IT il tessuto connettivo della crescita. «È più costoso, sì, ma perché l’IT è ovunque nel business», nota Roger.

Oggi siamo a un nuovo passaggio: dall’uso di applicazioni al dialogo con agenti AI su molteplici device (smartphone, wearables, smart glasses). È il preludio di un’operatività in cui orchestratori di agenti interagiscono con altri agenti verticali, attingono a knowledge graph e si integrano con suite enterprise (IBM Watsonx, Joule di SAP, Agentforce di Salesforce, Microsoft Copilot e via dicendo). In questa prospettiva «Il valore sarà nei dati e negli agenti».

Che cos’è davvero l’agentic AI (e perché è diversa)

I concetti di RPA (Robot Process Automation per automatizzare task ripetitivi) e DPA (Digital Process Automation per automatizzare processi end-to end) sono ben noti alle aziende. L’AI agentica aggiunge due caratteristiche importanti:

  • Capacità di decidere: non solo eseguire regole, ma prendere decisioni in contesti variabili.
  • Capacità di agire: compiere azioni per raggiungere un obiettivo, anche orchestrando altri servizi.

Esempio classico: la concessione di un credito. Oggi un addetto valuta documenti e score; domani un agente AI potrà decidere e liquidare autonomamente casi standard, sotto vincoli e policy e coinvolgendo l’addetto umano solo in casi sporadici.

È qui che l’AI diventa una potente leva di automazione end-to-end, con implicazioni profonde sul disegno dei processi.

Le opportunità: produttività, scalabilità, velocità

L’adozione dell’AI agentica non è solo una questione di efficienza: è un cambio di paradigma che tocca produttività, capacità di scalare e velocità di esecuzione. Gli esempi concreti non mancano. Roger cita il caso di Westpac, una delle principali banche australiane, che ha introdotto strumenti di sviluppo assistito da AI – i cosiddetti TuringBots – già nel 2022. Il risultato? «Un incremento medio di produttività del 46% su oltre mille sviluppatori, senza alcuna riduzione della qualità. Non si tratta di percezioni, ma di dati misurati sul campo» afferma Roger. E non è un caso isolato: in alcune aziende il guadagno si attesta tra il 10 e il 15%, «in altre – su specifici ambiti – arriva addirittura al 100%». 

Il principio è chiaro: se i modelli vengono addestrati sul codice proprietario e se l’IT fornisce pattern di architettura, sicurezza e accessibilità, non solo si accelera lo sviluppo, ma si migliora anche la qualità del software. È un doppio dividendo che cambia le regole del gioco.

Ma la produttività è solo il primo tassello. Il vero vantaggio competitivo sta nella scalabilità. Come sottolinea Roger: «Il software può scalare, gli esseri umani no». Una frase che sintetizza la portata del fenomeno: un motore AI che funziona si replica con un click, mentre far crescere un team richiede mesi di selezione e formazione. Questo significa che le aziende che sapranno industrializzare l’uso dell’AI potranno crescere a una velocità impensabile con i soli modelli organizzativi tradizionali.

Infine, la velocità. Non parliamo solo di time to market, ma di capacità di reagire in tempo reale ai cambiamenti del business. L’AI agentica consente di automatizzare decisioni e processi complessi, liberando risorse per attività a maggior valore e riducendo drasticamente i colli di bottiglia. È un’accelerazione che non riguarda solo l’IT, ma l’intera catena del valore. 

Le sfide: dati, equilibrio fra CX e produttività, responsabilità

Se le opportunità dell’AI agentica sono enormi, le sfide non sono da meno. E non si tratta di ostacoli teorici: sono problemi concreti che i CIO devono affrontare già oggi per evitare di “automatizzare il caos”.

Primo nodo: i dati. Senza una base informativa solida, l’AI agentica non funziona. Roger è netto: «Un mio cliente ha 25 business unit in Europa, con 25 CIO e 25 sistemi informativi. Ma i clienti sono paneuropei. Come riesci a offrire un’esperienza end-to-end con 25 silos?». La risposta è che non si può, almeno finché non si affronta il problema alla radice: armonizzare i dati, definire standard comuni, garantire qualità e coerenza delle informazioni. È un lavoro che richiede governance, investimenti e, soprattutto, volontà “politica” all’interno dell’organizzazione. Senza questa base, ogni progetto AI rischia di restare confinato a un prototipo. 

Seconda sfida: l’equilibrio tra customer experience e produttività interna. L’AI promette efficienza, ma il rischio è sacrificare la qualità dell’esperienza cliente sull’altare della riduzione dei costi. «I CIO dovranno trovare il giusto equilibrio tra la produttività dei dipendenti e la qualità dell’esperienza. Ci saranno inevitabilmente problemi nei prossimi anni, ma è la direzione giusta», avverte Roger. In altre parole, non basta automatizzare: bisogna farlo in modo che il cliente percepisca un miglioramento, non un peggioramento del servizio. Questo significa progettare journey coerenti, monitorare KPI di soddisfazione e introdurre controlli per evitare che l’automazione diventi “disumanizzazione”.

Terzo punto critico: la responsabilità. Chi risponde delle decisioni prese da un agente AI? Chi ne detiene la proprietà intellettuale? «Se sviluppate agenti, di chi sono? Dell’azienda o dell’individuo?», si domanda Roger. È un terreno ancora poco normato, che apre interrogativi su compliance, audit e gestione del rischio. Servono policy chiare su accountability, sicurezza e privacy, oltre a meccanismi di controllo che garantiscano trasparenza e tracciabilità delle azioni degli agenti.

Budget IT in crescita

Parlare di agentic AI senza affrontare il tema dei budget sarebbe poco realistico. Perché, se è vero che l’innovazione promette efficienza e riduzione dei costi operativi, è altrettanto vero che la fase di adozione richiede investimenti significativi. E i numeri lo confermano: secondo le analisi Forrester, l’85% delle aziende a livello globale prevede di aumentare il budget IT nei prossimi 12 mesi. Una percentuale che racconta bene la consapevolezza diffusa: senza risorse dedicate, la trasformazione non parte.

Ma attenzione: non basta dire “più budget”, bisogna capire dove andranno questi soldi. Roger lo spiega con chiarezza: «Se guardiamo alla ripartizione media della spesa IT, la fetta più grande è ancora rappresentata dalle persone: circa il 35% dei costi è legato al personale. Seguono l’outsourcing, che pesa per il 26% e il software, che si attesta intorno al 23%». È proprio quest’ultima voce a essere destinata a crescere in modo più marcato, perché l’AI – e in particolare gli agenti AI – è software. E non un software qualsiasi: è un software che richiede potenza di calcolo, integrazione con i sistemi esistenti, licenze premium e, spesso, servizi professionali per l’implementazione.

A complicare il quadro c’è un altro fattore: l’aumento dei prezzi. «Nel secondo trimestre 2025, vendor come Adobe e Oracle hanno registrato crescite a doppia cifra rispetto all’anno precedente», sottolinea Roger. Tradotto: non solo spenderemo di più perché compreremo più software, ma lo faremo in un contesto di inflazione tecnologica. E questo apre un tema cruciale per i CIO: come garantire sostenibilità economica senza frenare l’innovazione? 

Le leve possibili sono diverse:

  • la prima è rivedere i contratti di outsourcing: se l’adozione di AI e automazione aumenta la produttività interna, è legittimo chiedersi se il modello “time & material” abbia ancora senso o se non sia il momento di spostarsi verso logiche outcome-based, indicizzando una parte della spesa ai risultati.
  • La seconda è ripensare il make or buy: quali capability conviene sviluppare in casa, magari sfruttando citizen developer sotto governance IT, e quali acquistare “as-a-service”?
  • La terza è misurare il TCO in modo dinamico, includendo non solo il costo delle licenze, ma anche quello dell’infrastruttura, della formazione e della governance.

Infine, serve una consapevolezza: l’AI agentica non è una scorciatoia per tagliare i costi nel breve termine. È un abilitatore di crescita che richiede investimenti iniziali, ma che può generare ritorni importanti in termini di time-to-market, customer experience e efficienza operativa. Chi lo capisce oggi, domani sarà in vantaggio. Chi aspetta, rischia di pagare un prezzo molto più alto: quello dell’irrilevanza competitiva.

L’essenzialità delle cose

il rischio più grande per i CIO non è la mancanza di strumenti, ma la dispersione. È facile farsi sedurre dall’ultima novità, inseguire trend senza una bussola chiara, accumulare progetti che non generano valore. Per questo Stéphane Roger ha insistito su un concetto tanto semplice quanto strategico: «Date priorità, date priorità, date priorità. E concentrate gli sforzi su ciò che porta valore alla vostra azienda»

Ma cosa significa, in concreto, “essenziale”? Significa non investire in tecnologia per la tecnologia, ma in tecnologia per il business. Ogni euro speso deve essere giustificato da un impatto misurabile: crescita dei ricavi, miglioramento della customer experience, riduzione dei costi operativi, accelerazione del time-to-market. È un cambio di mentalità che richiede disciplina e capacità di dire dei “no”, anche quando la pressione interna spinge verso il “fare tutto”.

Roger sintetizza questa filosofia in tre parole chiave che abbiamo accennato all’inizio:

  • Allineamento: l’IT deve essere perfettamente sincronizzato con la strategia aziendale. Non basta conoscere il piano industriale: bisogna tradurlo in roadmap tecnologiche, KPI e metriche condivise con il business.
  • Fiducia: se le business line non si fida dell’IT, cercheranno scorciatoie, acquistando servizi all’esterno. La fiducia si costruisce con affidabilità, trasparenza e capacità di mantenere le promesse.
  • Adattabilità: la rigidità è un lusso che nessuno può permettersi. «A volte fissiamo un punto di arrivo, ma dopo due mesi il CEO cambia tutto. Bisogna essere pronti a riprioritizzare», racconta Roger.

Essere adattivi non significa navigare a vista, ma dotarsi di processi e strumenti che consentano di riposizionare rapidamente risorse e investimenti senza perdere coerenza strategica. In altre parole, serve un’IT capace di reagire con la stessa velocità con cui il business si muove sul mercato.

Il focus sull’essenziale è quindi una questione di governance e cultura, prima ancora che di tecnologia. È la capacità di dire: “Questo progetto non è prioritario, lo posticipiamo”, oppure: “Questa iniziativa è critica per il business, le diamo risorse subito”. È la differenza tra un’IT che subisce il cambiamento e un’IT che lo guida.

Il framework Forrester: HighPerformance IT (HPIT)

Come trasformare i principi di allineamento, fiducia e adattabilità in un modello operativo concreto? Forrester propone un approccio strutturato: il framework HighPerformance IT (HPIT). Non è un esercizio teorico, ma una bussola per capire dove concentrare gli investimenti e quali capability sviluppare in base alle esigenze di business.

«Ogni azienda è diversa, ogni IT è diversa. Non siamo tutti nello stesso punto del percorso. Per questo abbiamo identificato quattro stili di IT, che corrispondono a quattro modi di creare valore»

Ecco quali sono, mappati su due assi (Speed of change e Scale of change): 

  1. Enabling – È la base. Significa stabilizzare, operare e proteggere il business. Qui l’obiettivo è ridurre il debito tecnico, modernizzare i sistemi legacy, migrare al cloud per creare le fondamenta dell’agilità. È lo stile tipico di chi deve ancora completare la transizione digitale e garantire continuità operativa.
  1. Cocreating – Qui l’IT diventa partner del business per creare nuovi prodotti e servizi, entrare in mercati diversi, sperimentare modelli innovativi. Servono competenze di product management, sviluppo agile, continuous delivery e una forte attenzione alla customer experience.
  1. Amplifying – È la fase in cui si punta a scalare ciò che già funziona, sfruttando insight, automazione e AI per estrarre più valore dagli asset esistenti. L’obiettivo è ottimizzare processi, aumentare la produttività e portare innovazione su larga scala.
  1. Transforming – Qui si gioca la partita più ambiziosa: reinventare il business. È il territorio di R&D, innovazione radicale, change management. Pensate ad Amazon quando è passata dall’ecommerce al cloud: questo è “Transforming”.

Questi stili non sono compartimenti stagni: un’azienda può trovarsi in più quadranti contemporaneamente, ma non può investire allo stesso modo in tutti. Ecco perché la parola chiave è prioritizzare: capire quale stile è dominante oggi e quale sarà necessario domani per sostenere la strategia aziendale.

Il framework HPIT non si limita a classificare: indica anche quali tecnologie abilitano ciascuno stile. Cloud, SaaS e Zero Trust sono fondamentali per “Enabling”; lowcode, DevSecOps e API per “Cocreating”; GenAI, automazione e AI agentiva per “Amplifying”; edge computing e advanced analytics per “Transforming”.

Roger propone un percorso in tre passi per passare dalla teoria all’azione:

  1. Valutare il bisogno di business prioritario (per anno, BU o iniziativa).
  1. Fare un “inventario” delle capability IT: dove investiamo, dove eccelliamo, dove siamo in ritardo.
  1. Misurare la readiness organizzativa per eseguire a velocità e scala.

E poi, un consiglio che sembra banale ma non lo è: «Il CIO deve provare a mettere la propria strategia IT su una sola pagina. Se è chiara per lui, sarà chiara per il CEO e per il team». È un esercizio di sintesi che costringe a distinguere l’essenziale dal superfluo, trasformando la strategia in uno strumento operativo. 

Implicazioni pratiche per i CIO: una checklist operativa

  • Disegnare l’architettura dati come prerequisito degli agenti (cataloghi, qualità, lineage, policy di accesso, knowledge graph dove opportuno).
  • Riprogettare processi e journey per l’automazione endtoend: mappare i decision point, definite policy, eccezioni e controlli.
  • Creare il proprio “AI Dev Stack”: linee guida per addestrare i modelli sul codice aziendale, pattern di architettura e sicurezza, guardrail di accessibilità.
  • Stabilire una governance degli agenti: responsabilità, auditing, proprietà intellettuale, change management e formazione.
  • Ribilanciare sourcing e contratti: legare una parte della spesa ai risultati (metriche di produttività, qualità, timetovalue).
  • Sperimentare con criterio: PoC e MVP sugli use case a maggior ritorno (coinvolgimento clienti, produttività front/back office, automazione processi core).
  • Formalizzare lo stile HPIT dominante nei prossimi 1218 mesi (Enabling, Cocreating, Amplifying, Transforming) e costruire una roadmap finanziata con OKR chiari.
  • Investire nelle competenze: sviluppatori con TuringBots, citizen developer sotto governance, prompt/agent engineering, AI ops.
  • Misurare e comunicare: ROI, NPS, tasso di automazione, defect rate, lead time; rendicontate i benefici per alimentare fiducia e budget.

Dal dire al fare

La traiettoria è chiara: più agenti, più dati, più automazione, con l’IT chiamata a guidare il ridisegno di processi e esperienze. Le scelte però non sono generiche, sono guidate: dipendono dallo stile HPIT che oggi serve al business e dalla readiness dell’organizzazione. 

I 3 messaggi da portare al board?

  • Focalizzare (pochi use case ad alto ROI, misurati con rigore).
  • Basarsi sui dati (senza data foundation l’AI agentiva non scala).
  • Industrializzare (governance, sicurezza, compliance, run affidabile).

Il resto è execution, da raccontare in una pagina. Perché, come ricorda Roger, «se la strategia è chiara, potete accelerare». E accelerare, oggi, è fondamentale perché «L’AI non vi sostituirà adesso… ma persone e aziende che usano bene l’AI sostituiranno chi non la sfrutterà».

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