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Self service data analytics: le analisi alla portata di tutti?

L’evoluzione degli strumenti di data analytics incontra le necessità degli utenti business, non più solo di analisti ed esperti IT. Con le capacità di self-service analytics diventa possibile superare problemi di competenze e di comunicazione tra team. Lo stato di adozione nelle imprese italiane e le raccomandazioni di Irene Di Deo, ricercatrice dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence

Pubblicato il 17 Set 2019

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Una delle evoluzioni più recenti e significative nel settore della data analytics riguarda l’introduzione delle capacità self-service che aiutano gli utenti nell’analisi dei dati.

Perché usare gli strumenti di self service data analytics

L’adozione di modalità self-service è oggi un trend di mercato che ha radici, oltre che nell’evoluzione tecnologica, nell’esigenza delle aziende di abbattere le barriere nell’utilizzo: “A cominciare da quelle della comunicazione tra gli analisti dei dati e le persone che usano gli insight per il business – spiega Irene Di Deo, ricercatrice dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence del Politecnico di Milano –. Un problema che ostacola chi deve prendere decisioni rapide e motivate, finora affrontato con lo sviluppo della data visualization, ossia degli strumenti che presentando i dati in modo grafico danno modo a un maggior numero di persone di comprendere trend, proporzioni, quantità in gioco per ricavarne insight utili”.

Foto di Irene di Deo.
Irene Di Deo, ricercatrice dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence del Politecnico di Milano

Nei business più moderni in cui i dati sono fondamentali per il supporto dei processi decisionali, la mancanza di competenze nelle operazioni di preparazione e presentazione dei dati non permette alle persone che sono a capo dei processi aziendali di svolgere analisi in autonomia. “Questo è il secondo motivo che muove le aziende verso l’adozione degli approcci self-service – precisa Di Deo -. Nell’ultimo sondaggio dell’Osservatorio, è emerso che il 77% delle grandi aziende stima di aver sottodimensionato le risorse umane dedicate alla data science. Non stupisce quindi che tra i freni allo sviluppo di nuovi progetti nell’ambito della data analytics compaia al primo posto la mancanza di competenze da parte delle figure organizzative interne”.

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L’indagine dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence ha inoltre rilevato nel confronto 2017-2018 una riduzione d’impiego delle business analytics da parte di top e middle management: “Da un lato i dirigenti sono convinti che i dati siano essenziali per guidare processi decisionali, ma dall’altro hanno maturato la consapevolezza di non avere le competenze e le risorse necessarie per analizzare i dati”, puntualizza Di Deo. Questo spiega l’interesse per le soluzioni che abilitano più persone a svolgere in autonomia operazioni di data visualization e reporting: “Rappresentano oggi la prima voce di spesa software e assorbono il 10% dei budget per le data analytics con una crescita anno su anno del 22% – precisa l’analista –. Gli strumenti sul mercato si avvalgono inoltre di nuove capacità di visualizzazione, maggiore interattività anche attraverso l’uso della realtà virtuale e di altre tecniche innovative”.

L’evoluzione degli strumenti ha seguito due direzioni:

  • da una parte puntando sulla self-service data preparation, che mira a dare agli utenti le capacità per fare modifiche sui dati e di prepararli al meglio per le presentazioni;
  • dall’altra permettendo di fare advanced analytics applicando in modo più semplice i modelli predittivi senza che sia necessario scrivere codice.

Sono state reclutate anche le moderne tecniche di machine learning e intelligenza artificiale sia nella parte di preparazione dei dati (per esempio per la pulizia automatica) sia in quella di visualizzazione (per esempio per la generazione di viste automatiche degli insight più rilevanti).

Chi usa gli strumenti di analisi self service in azienda

L’accesso agli strumenti di data visualization e reporting tende oggi a seguire una pluralità di approcci per garantire la maggiore efficacia; solo il 13% delle grandi aziende utilizza un’unica modalità di diffusione delle analisi. Secondo le classificazioni fatte dall’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence gli approcci più comuni sono divisi in quattro categorie (figura):

  • report tradizionali: si tratta di cruscotti statici volti a visualizzare, in maniera sintetica, analisi svolte da Data Scientist o Data Analyst. Tendono a essere condivisi nei formati di office automation più comuni, via e-mail o su portali aziendali di collaborazione (l’86% delle grandi aziende li utilizza, soltanto nel 2% dei casi in via esclusiva);
  • dashboard periodiche: sono cruscotti di visualizzazione dinamici in cui l’utente può interagire con i dati in maniera limitata, per esempio inserendo filtri o compiendo operazioni di drill-down. L’aggiornamento dei dati avviene periodicamente, a intervalli differenti a seconda del contenuto specifico, e non necessariamente nel momento stesso in cui la fonte dati viene aggiornata;
  • dashboard aggiornate in tempo reale: cruscotti di visualizzazione dinamici in cui l’aggiornamento dei dati avviene in tempo reale, quando viene aggiornata la fonte dati;
  • strumenti di visual data discovery : sono quegli strumenti che abilitano, attraverso l’interazione visuale con i dati, l’esplorazione del data model e lo sviluppo di analisi complesse, quali analisi previsionali o di ottimizzazione.
Grafico che rappresenta gli strumenti di Self-service data analytics
Gli strumenti di Self-service data analytics. Fonte: Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence del Politecnico di Milano

“Dai numeri che abbiamo ottenuto nella nostra indagine si vede come la reportistica statica, con le classiche visioni di sintesi predefinite, sia ancora lo strumento più usato per fornire insight alle figure manageriali delle grandi aziende [nel 2018 è pari all’86%, ndr] – spiega Di Deo – benché si sia ridotta anno su anno la percentuale di chi la usa in modo esclusivo. L’81% delle aziende dispone di dashboard preconfigurate che permettono agli utenti di business un maggiore livello d’interazione con i dati, attraverso filtri, capacità di drill down e così via. Solo il 34% di chi usa le dashboard può contare su dati aggiornati in tempo reale, in coerenza con il numero di aziende che ha le capacità tecnologiche per poter fare analisi dati in tempo reale o almeno con tempistiche vicine”.

Per quanto riguarda gli strumenti di visual data discovery, ossia quelli potenzialmente in grado di dare autonomia d’analisi agli utenti business, l’utilizzo risulta limitato al 58% delle grandi aziende. “Questi strumenti possono essere impiegati in modalità differenti – conviene Di Deo -, molto spesso non sono usati dai beneficiari delle informazioni bensì da un gruppo di analisti ed esperti di data visualization che li impiega per creare le dashboard a disposizione degli utenti finali”.

Stando all’indagine dell’Osservatorio, in almeno il 14% delle imprese c’è stato comunque un “cambiamento culturale” e gli strumenti di visual data discovery hanno sostituito report o tool più limitati per un’ampia fetta della popolazione aziendale: “Nella maggioranza dei casi sono usati dal middle management, mentre il top management, forse per le minori esigenze di conoscenza in dettaglio sui dati, continua a preferire i tradizionali report preconfigurati”, precisa Di Deo.

Gli impatti organizzativi e sulle persone del self service data analytics

Oltre a migliorare la velocità con cui il personale può ottenere insight utili per il supporto dei processi decisionali, l’approccio self-service ha impatto sull’evoluzione delle figure professionali aziendali. Nell’ambito delle competenze tipiche dei team di data scientist, la figura del data analyst è quella più soggetta a cambiamento.

“I data analyst hanno l’opportunità di modificare il modo di lavorare – spiega Di Deo -. Dall’impegno attuale nella generazione della reportistica possono passare alle analisi più avanzate e all’implementazione nell’azienda dei modelli predittivi che vengono sviluppati dai data scientist”. Tra le figure professionali emergenti nell’attuale contesto c’è quella del data visualization expert: “È coerente con il trend che oggi ci porta verso l’impiego di strumenti d’analisi self-service, ma è oggi presente solo nel 9% delle grandi aziende – precisa Di Deo –. Ha il ruolo importante di occuparsi della creazione delle dashboard e delle visualizzazioni interattive a cui possono accedere gli utenti interni”. Se da una parte l’adozione di strumenti self-service è utile al potenziamento delle capacità decisionali delle persone, dall’altro mette i dati in mano a persone non specializzate, sollevando nuovi problemi di affidabilità delle analisi. “Perché il nuovo approccio funzioni, serve avere una buona governance dei dati in azienda – spiega Di Deo. Ad oggi solo il 32% delle aziende ha un responsabile della data governance, figura che può sopraintendere anche i processi di data science e i relativi aspetti organizzativi”.

Altra condizione per far funzionare le analisi dati in self-service è la data literacy: “Anche questo è un aspetto di tendenza, il più abilitante e purtroppo il più lontano nel futuro: far si che la platea degli utenti aziendali degli strumenti di analisi abbia un minimo di preparazione culturale per poter comprendere e interpretare correttamente i dati”, conclude Di Deo.

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