Le tecnologie e le soluzioni ci sono, system integrator e società di consulenza possono supportare le imprese in ogni fase, ma certo è che ripensare un’azienda manifatturiera in logica Industria 4.0, con tutta la pervasività del digitale che questo implica, non è cosa banale e i vertici aziendali sentono il bisogno di un confronto con altre realtà che abbiano già intrapreso questo percorso.
È partita da questa esigenza, direttamente manifestata da alcuni clienti, l’iniziativa EY Manufacturing Lab che ha toccato alcuni territori del nostro paese a maggior vocazione manifatturiera per abilitare un confronto tra imprenditori, responsabili operation, direttori di produzione e CIO di aziende molto diverse tra loro per dimensione e ambito produttivo. Il percorso ha visto EY assumere il ruolo di abilitatore del confronto durante i 4 workshop che si sono tenuti a Bergamo, Padova, Bari, Bologna e di padrone di casa nell’evento milanese di chiusura.
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Le piccole non investono
In apertura dell’evento milanese, Donato Iacovone, Amministratore Delegato di EY, ha riportato alcune evidenze sull’approccio delle aziende italiane a Industria 4.0 emerse da diversi studi e ricerche condotte sul nostro territorio negli ultimi mesi sottolineando i due aspetti più critici: la scarsa presenza di PMI, soprattutto di piccole aziende, tra quelle che hanno usufruito dei benefici del Piano Industria 4.0 e il problema delle competenze.
Who's Who
Donato Iacovone

“C’è sicuramente grande fermento sul tema della digitalizzazione del manifatturiero e la prima domanda da porsi è quanto il decreto Calenda abbia influenzato tutto ciò. Possiamo senz’altro dire che questo è stato il punto di partenza, l’innesco, ma poi l’interesse è aumentato quando le aziende hanno realmente visto cosa si poteva fare con un sensore posizionato su una macchina, quanti dati utili vengono forniti, e non solo in tema di manutenzione preventiva, ma anche per aumentare la produttività, per avere un migliore allineamento tra le diverse fabbriche o con i terzisti ecc.”, ha esordito Iacovone.
E allora, se l’entusiasmo c’è vediamo, nella pratica, come stanno andando le cose: “In realtà le aziende che si sono poste nell’ottica di utilizzare realmente i benefici del decreto Industria 4.0 sono ancora poche e soprattutto non sono per niente coinvolte le piccole, quelle con una media di unità sotto le 25 persone”. Questa considerazione porta a riflettere su un tema molto importante che, a volte, rischia di non essere guardato con la necessaria attenzione: “In Italia abbiamo un manifatturiero che produce per il consumatore finale ma abbiamo anche una parte molto vasta di aziende che producono per altri produttori: in questo ambito la qualità è sicuramente importante, ma il prezzo è ancora fondamentale, quindi la produttività è vitale. Su 100 auto che girano Italia, 1 sola è prodotta in Italia, ma su 100 auto che girano nel mondo moltissime hanno componenti italiani: se non investiamo in produttività, la posta in gioco che rischiamo di perdere è molto alta”, ha affermato l’AD di EY mostrando un grafico (figura 1) tratto da un recente studio di Cassa Depositi e Prestiti (Il sistema produttivo italiano. Tra modernizzazione e Industria 4.0) che mostra una clusterizzazione delle aziende sulla base del loro grado di modernizzazione dove questa affermazione è concretizzata dal fatto che è solo l’11,9% delle imprese a essere nella fase più avanzata, ma con il 31,2% degli addetti, mentre al polo opposto (Non innovativi, ossia che non hanno effettuato alcun investimento e non mostrano alcuno sforzo diretto all’innovazione) c’è quasi il 60% delle imprese (con un totale di addetti intorno al 27%, quindi parliamo di realtà piccole o molto piccole). “Come paese abbiamo bisogno di elevare rapidamente le dimensioni più a sinistra del grafico”, ha detto Iacovone.

A conferma di tutto ciò, dal Primo rapporto Industria 4.0 delle PMI italiane dell’Università di Padova vediamo che l’81% delle PMI del Nord del paese non ha adottato alcuna tre le tecnologie abilitanti 4.0: “È un dato preoccupante e dovrebbe essere al primo punto dell’agenda politica perché se non portiamo queste aziende a competere nel mondo, il problema che avremo sarà ancora più grande”.