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Come cambiano i budget ICT 2026 delle imprese italiane



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Il budget ICT salirà dell’1,8% nel 2026, con PMI più dinamiche delle grandi imprese. Cybersecurity e AI guidano le scelte delle grandi imprese, mentre le PMI puntano su sicurezza, Industria 4.0 e cloud. I dati degli Osservatorio Startup Thinking e Digital Transformation Academy del Politecnico di Milano 

Pubblicato il 5 dic 2025



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Nel 2026 gli investimenti ICT delle imprese italiane continueranno a crescere, ma senza ancora quel salto di qualità necessario per sostenere la competitività in un contesto economico che rimane complesso. È quanto emerge dai dati degli Osservatori Startup Thinking e Digital Transformation Academy della School of Management del Politecnico di Milano, presentati al convegno “Digital & Open Innovation 2026: cosa serve alle imprese e startup per un cambio di passo”.

Secondo la rilevazione, il budget ICT crescerà complessivamente dell’1,8% nel 2026 rispetto al 2025, un ritmo che conferma il trend degli ultimi dieci anni, caratterizzato da una crescita costante ma non ancora decisiva per generare un impatto strutturale sul sistema produttivo italiano. Il tutto in un quadro macroeconomico che prevede un PIL in aumento dello 0,6% nel 2025 e dello 0,8% nel 2026. Parallelamente, nelle imprese cresce la consapevolezza del ruolo del digitale come leva strategica per la competitività e lo sviluppo.

Budget ICT, una crescita lenta ma costante

La serie storica degli ultimi 14 anni mostra un percorso di progressiva risalita dal 2012, anno in cui il budget ICT segnava un -1,7%. Dal 2016 in poi il trend è rimasto sempre positivo, fino a raggiungere il +1,8% previsto per il 2026. Questo dato conferma una dinamica ormai consolidata di investimenti digitali, pur entro margini di incremento contenuti.  

Resta però un punto di fragilità rilevante: il 44% delle imprese individua nella mancanza di risorse economiche il principale freno alla trasformazione digitale. Un limite che riduce la capacità di trasformare visioni e priorità in investimenti effettivi, incidendo su organizzazioni di ogni dimensione.

«Tra le imprese e le startup italiane è ormai diffusa la consapevolezza di dover affrontare la trasformazione digitale in modo pervasivo, ma mancano ancora adeguate risorse per sostenere gli investimenti necessari e capacità per mettere a terra questa convinzione», afferma Alessandra Luksch, Direttore degli Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Thinking. «Serve un cambio di passo, con leve concrete affinché imprese e startup possano creare valore per il Paese: sono necessari investimenti, formazione inclusiva, consolidamento degli ecosistemi di innovazione».

Trend dei budget ICT per dimensione aziendale

La crescita del budget ICT non è omogenea. Le imprese di dimensioni minori risultano essere da tre anni il vero motore della crescita degli investimenti digitali.

Nel dettaglio, l’incremento previsto per il 2026 è (490 rispondenti, non si tratta quindi di un campione statistico significativo):

  • +5,2% per le medie imprese,
  • +3,3% per le piccole,
  • +1,8% per le grandi,
  • +1,5% per le grandissime.

La media complessiva è dunque pari al +1,8%. È un quadro che suggerisce come la spinta verso il digitale stia arrivando soprattutto dal tessuto imprenditoriale più dinamico, rafforzato anche dagli incentivi e dagli investimenti previsti dal PNRR.

Per quanto riguarda le dinamiche di variazione del budget, il 48% delle imprese prevede un livello di spesa ICT sostanzialmente invariato nel 2026, mentre il 21% ipotizza una crescita oltre il 10% e il 4% una riduzione superiore al 10%. Un dato che conferma un approccio ancora prudente da parte di molte aziende.

Priorità di investimento: le differenze tra grandi imprese e PMI

Nelle organizzazioni di maggiori dimensioni, le priorità di investimento per il 2026 sono chiaramente definite: 

  1. Cybersecurity, compliance e risk management (65%)
  1. Artificial Intelligence, cognitive computing e machine learning (57%)
  1. Big Data management & business intelligence (49%)
  1. Cloud migration & governance (35%)

Soluzioni come ERP, CRM, digital marketing, software di collaboration e applicazioni IoT seguono con livelli di priorità più variabili, ma rimangono comunque aree di intervento strategiche per la modernizzazione dei processi.

PMI: focus su sicurezza, industria 4.0 e Cloud

Le PMI mostrano una diversa gerarchia di priorità, più orientata al consolidamento delle infrastrutture operative:

  1. Cybersecurity (45%)
  1. Industry 4.0 e robotica (37%)
  1. Cloud (32%)
  1. ERP (30%)

L’intelligenza artificiale, pur presente, si colloca al dodicesimo posto con il 19% degli investimenti come area prioritaria. La distanza rispetto alle grandi imprese indica una maturità ancora limitata nell’adozione di tecnologie avanzate e un orientamento più vicino alle esigenze di efficientamento dei processi interni.

I ruoli dell’innovazione

Dalla ricerca emerge come le grandi e grandissime imprese stiano progressivamente strutturando funzioni organizzative specifiche.

I dati mostrano che:

  • il 45% possiede figure come Chief Innovation Officer o Chief Digital Officer,
  • il 53% ha introdotto un Innovation Manager,
  • il 28% dispone di un Open Innovation Manager,
  • il 32% coinvolge ruoli come Innovation Champion e Ambassador.

Resta tuttavia un tema di governance: solo una grande impresa su tre possiede una strategia di innovazione formalizzata, nonostante il 40% abbia creato una Direzione Innovazione per presidiare il portafoglio progettuale.

«Per adottare un approccio realmente maturo, oltre a ruoli e modelli organizzativi le imprese devono innanzitutto definire budget dedicati, l’elemento ancora di maggiore criticità – afferma Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Digital Transformation Academy -, e poi devono investire sulla trasformazione culturale e sullo sviluppo delle competenze, costruire processi organizzativi flessibili, monitorare e misurare gli impatti».

Open Innovation: una pratica diffusa ma ancora in fase intermedia

I dati della ricerca evidenziano (fra le grandi e grandissime imprese) un’adozione crescente dell’Open Innovation negli ultimi otto anni, passata dal 57% del 2018 all’86% del 2025.

Le iniziative sono prevalentemente inbound — collaborazioni con università, centri di ricerca, scouting di startup, call4ideas — mentre le pratiche outbound risultano meno diffuse. Il top management partecipa ai processi decisionali, ma solo nel 20% dei casi con un approccio realmente proattivo. Inoltre, la misurazione degli impatti rimane limitata e frammentata (non oltre il 17% dei casi).

«Nonostante l’ampia diffusione tra le imprese, l’ecosistema italiano è ancora in una fase intermedia del percorso di Open Innovation che, dopo anni di sperimentazione, deve compiere un salto di qualità – dice Stefano Mainetti, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Startup Thinking -. Le imprese devono integrare queste pratiche nella strategia complessiva di innovazione e di business, dotandosi di strumenti per misurare gli impatti in modo continuativo».

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