CIO: il cambiamento c’è ma siamo solo all’inizio

Il ruolo del chief information officer dalla voce di quattro protagonisti. Il cambiamento c’è e si basa sicuramente su un avvicinemento dell’It al business; perché l’It sia realmente efficace è però necessario anche un impegno degli uomini del business che devono meglio comprendere le opportunità dell’It. Questa settimana risponde PAOLO SASSI, CIO di OSRAM.

Pubblicato il 05 Giu 2005

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Più vicino al business, ma nel contempo con adeguate competenze tecnologiche, capacità organizzative e di gestione dei processi, responsabilità diretta negli investimenti It o responsabilizzazione degli uomini del business verso questi investimenti: il ruolo del Cio sta cambiando, ma si tratta solo di una dichiarazione di intenti o di un processo realmente in atto? Come si declina, nella realtà, questo cambiamento? ZeroUno, al di là delle teorie, ha cercato di comprenderlo intervistando quattro Cio di altrettante realtà particolarmente significative del panorama economico italiano: Paolo Sassi di Osram (www.osram.it), azienda oggi inserita in un contesto internazionale grazie all’appartenenza al Gruppo con sede a Monaco di Baviera, ma che vanta una lunga storia italiana nel mondo dell’illuminotecnica che risale al 1897; Alberto Bartolini di AstraZeneca (www.astrazeneca.com), azienda che, nata nell’aprile 1999 dalla fusione di Astra AB e Zeneca Group PLC, è oggi una delle principali rrealtà farmaceutiche nel mondo, presente in Italia con un’organizzazione commerciale e uno stabilimento produttivo riconosciuto centro produttivo di eccellenza che rientra nel ristretto numero di siti abilitati a fornire prodotti a tutte le società del Gruppo sparse nel mondo (USA e Giappone inclusi); Clive Whincup della Banca Popolare di Milano (www.bpm.it) che non ha bisogno di molte presentazioni trattandosi di uno dei gruppi bancari italiani più importanti; Gianfranco Lorusso di Bpu Banca (www.bpubanca.it), anch’essa realtà primaria del panorama bancario italiano, nata nel 2003 dalla fusione di Banca Popolare di Bergamo – Credito Varesino e di Banca Popolare Commercio e Industria, compresa la controllata di quest’ultima, la Banca Popolare di Luino e di Varese.


DOMANDE

1– Secondo lei, il ruolo del cio sta cambiando? quali sono le caratteristiche del “nuovo” cio e come si concretizzano sulla base della sua esperienza diretta?

2– coniugare strategie di business e it è considerato ormai elemento imprescindibile perché l’innovazione possa rappresentare un vero abilitatore dello sviluppo dell’impresa e della sua competitività. In quale modo, sulla base della sua esperienza, è possibile perseguire questo obiettivo? come cambiano le competenze?

3– la governance dell’it è uno degli aspetti cruciali dell’innovazione tecnologica e investe, oltre che gli aspetti di sistema, anche tematiche organizzative e metodologiche. chi sono gli attori coinvolti nella definizione di questi aspetti? qual è la relazione tra questi attori e, in particolare, tra cio e top management e tra cio e gli altri manager dell’azienda?

4– in base alla sua esperienza è cambiato il ruolo del cio nel processo decisionale relativo agli investimenti it? l’it è sempre percepito come un centro di costo? in quale modo il cio può esplicitare con chiarezza il ritorno in valore degli investimenti effettuati?


QUESTA SETTIMANA RISPONDE:
PAOLO SASSI – CHIEF INFORMATION & PROJECT MANAGEMENT OFFICER DI OSRAM

1 – Il ruolo del Cio sta cambiando molto. Sicuramente si sta allontanando da noi tutta quella parte di gestione dell’infrastruttura, del data center, a vantaggio della parte più vicina al business, ai processi, all’interpretazione del bisogno. Stiamo sviluppando, o almeno dovremmo, più empatia verso i processi di business, a discapito dell’area più tecnologica e infrastrutturale. Questa è l’opportunità che abbiamo, ma non è detto che tutti la colgano. Per quel che mi riguarda, avendo la fortuna di essere proiettato in un ambiente internazionale, sicuramente posso avere una prospettiva più aperta e ampia. Comunque l’evoluzione naturale del ruolo è di essere “tirato” dal business, sarà il business a “tirarci” e se noi resistiamo, la corda si rompe. Un elemento importante di questa evoluzione è l’outsourcing; vedo questa, infatti, come una grande opportunità per noi, perché quando ci sposteremo sempre più sui processi, sul business, l’outsourcing ci consentirà di farlo permettendoci di “dimenticarci” delle attività più strettamente legate all’hardware, al data center. Infine, il nuovo ruolo, sarà più interessante? È difficile dirlo, ma se guardo all’attività dei miei colleghi più anziani, vedo che il lavoro che facevano anni fa era molto diverso da quello di oggi: se nella loro vita lavorativa hanno vissuto queste trasformazioni, perché non dovrei essere disponibile a farlo anch’io?
2 – Nell’azienda in cui opero questo obiettivo si è in parte concretizzato. Anche con il cambiamento della mia qualifica, da Chief Information Officer a Chief Information & Project Management Officer, l’azienda ha riconosciuto la necessità di dover dare a noi dell’IT un ruolo sostanzialmente diverso, che è quello del coordinare i progetti. E questo significa riconoscere che l’It deve fare altre cose rispetto al passato, deve essere più presente nei progetti, nelle trasformazioni. Si può dire che in Osram, questo avvicinamento verso i processi, verso il business, si interpreta in questo modo: più gente che sta nei progetti. Naturalmente questo non significa dimenticarsi della tecnologia e del fatto che questa in alcuni casi, in alcuni frangenti e in più occasioni rappresenta un’opportunità da cogliere; però oggi noi siamo forse più utili verso il business che verso la tecnologia.
Ne consegue che è anche necessario sviluppare competenze diverse. Una volta, le persone che lavoravano nello sviluppo si chiamavano sviluppatori, oggi chi fa questo mestiere, nella mia struttura, si chiama IT business analyst; al di là della definizione, l’elemento di novità è che si tratta di persone che quotidianamente, o sempre di più rispetto al passato, lavorano con le aree di riferimento: chi sviluppa software per l’area vendita, lavora e si confronta con i key account e gli user account dell’area vendita e deve necessariamente parlare il loro linguaggio. È una competenza che si costruisce per buona parte sul campo perché ogni business ha le sue peculiarità ed è necessario conoscerle, ma che in parte si deve costruire come knowledge, con il training. Tutto ciò è molto positivo; attenzione però a non perdere il legame con la tecnologia, che ci vuole comunque, altrimenti si perde la capacità di capire cosa c’è di nuovo, la capacità di portare nei progetti il nuovo.
3 – Io credo che la governance abbia un significato estremamente relativo all’organizzazione in cui si applica; non può esistere un concetto di governance valido per tutti. In Osram applichiamo un principio di sostanziale accentramento delle decisioni It: va bene da noi, ma non è detto che vada bene in altre organizzazioni; ci può essere un’It governance molto distribuita; dipende dall’organizzazione dell’azienda.
Per quanto riguarda la relazione con gli altri “attori”, quella con il top management è strategica, mentre con le fasce intermedie è più tattica. È indispensabile che gli investimenti It siano sostenuti dal top management dell’azienda e quindi le decisioni vengono prese insieme al comitato di direzione. Questo è un aspetto fondamentale, posso essere io che interpreto le necessità e faccio delle proposte, ma è essenziale che le decisioni siano condivise con la direzione. Le trasformazioni si progettano e si governano lì. Per quel che riguarda la relazione con le prime linee delle direzioni, poi, cerchiamo di collaborare attivamente; da parte mia c’è molta attenzione a individuare certe aree privilegiate rispetto ad altre. In questo momento crediamo che vendite e produzione siano aree importanti e periodicamente, con cadenza mensile, io incontro i principali responsabili delle vendite e cerco di definire sia il catalogo dei progetti sia i cataloghi delle richieste in corso per stabilire i livelli di priorità.
4 – In Osram l’It è sicuramente determinante nella scelta dell’investimento tecnologico, ma, come dicevo prima, è indispensabile che il business dia un sostanziale appoggio a queste scelte. L’It è certamente tenuto in considerazione, in alcuni ambiti di più, in altri di meno, ed è mio compito farne capire l’importanza laddove questa non viene chiaramente percepita. In ogni caso tutti i progetti più importanti in Osram hanno nell’It un elemento strategico e tattico molto importante. Qui, però, vorrei fare una considerazione. Molto sinceramente anche noi siamo percepiti come un costo, ma questo non mi scandalizza perché in fondo l’azienda deve far profitto e noi questo profitto lo riduciamo nel senso che andiamo a spendere i soldi che andrebbero a tradursi in un profitto. Il problema è quindi che dobbiamo far capire all’azienda che noi, con i nostri costi, siamo in grado di far fare più profitto, ma dobbiamo farlo capire in modo tangibile. Questa è sempre stata la grande debolezza di noi It manager: non siamo capaci di far vedere in modo tangibile, in modo evidente quali sono i benefici che riusciamo a produrre. E farlo vedere in modo tangibile significa che dobbiamo essere in grado, a fronte di un determinato investimento It, di dimostrare, per esempio alla forza vendita, che uno specifico deal è stato possibile proprio grazie a quell’investimento. Noi su questo siamo molto deboli perché a volte promettiamo senza di fatto avere ben compreso qual è il problema di business, quali sono i parametri con i quali un risultato viene misurato: non è detto, per esempio, che l’aumento delle vendite sia, in sé, un elemento completamente positivo; certo, è importante, ma deve essere messo in relazione con i costi perché l’obiettivo è generare profitto, non vendere di più.

Nelle prossime settimane pubblicheremo le risposte degli altri Cio intervistati

Leggi sul ruolo del Cio L'Opinione di Alberto Bartolini, Cio di AstraZeneca

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