Un brusco risveglio. È quanto hanno vissuto molte aziende europee tra la fine del primo decennio e l’inizio dei 2020. Non si trattava di crisi finanziarie o tecnologiche, ma di una scoperta sorprendente: i loro “giardini” digitali erano diventati giungle inestricabili. Software obsoleti, bug e falle di sicurezza, licenze dimenticate e un’esplosione di Shadow IT post espansione del cloud hanno rivelato un problema ben più profondo della semplice manutenzione ERP: un caos applicativo fuori controllo.
Ma come si governa un landscape così? La risposta risiede nel Software Asset Management (SAM), una disciplina fondamentale ma sorprendentemente sottovalutata nel panorama aziendale europeo.
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SAM: Il custode silenzioso del budget IT
Il costo del software va ben oltre il prezzo di acquisto delle licenze. I costi indiretti – manutenzione, integrazione, gestione degli incident, gestione del rischio, gestione delle change, e audit – rappresentano un vero e proprio incubo per architetti d’impresa, finance manager e vendor manager ed ovviamente per i CIO.
Il Software Asset Management (SAM) non è un semplice strumento, ma un ecosistema strategico di processi, servizi e software. Il suo scopo? Mettere ordine nel caos delle licenze:
- Discovery e tracciamento: identificare e monitorare ogni singolo software installato in azienda, ovunque risieda.
- Gestione del rischio: mitigare le esposizioni legali e finanziarie derivanti dalla non conformità delle licenze.
- Monitoraggio: ottimizzare l’allocazione e l’utilizzo delle licenze, assicurando che ogni euro speso generi valore.
Europa e USA: un gap da colmare
Sfortunatamente, l’Europa è ancora in ritardo nell’adozione sistematica delle metodologie SAM rispetto ai nostri cugini oltreoceano. Perché questa differenza?
- Maturità della trasformazione digitale: Negli Stati Uniti, la trasformazione digitale ha avuto i suoi primi early adopter già negli anni ’80, raggiungendo una scala di adozione massiva. In Europa, l’ondata è arrivata con quasi due decenni di ritardo. Questa anticipazione ha permesso alle aziende statunitensi di sviluppare pratiche di gestione software più robuste e mature.
- Cultura finanziaria: L’orientamento del mercato statunitense verso un uso intensivo del finanziamento tramite equity impone una disciplina ferrea sui costi operativi, compresi quelli IT. La maggiore regolamentazione europea e una storica dipendenza dal debito bancario hanno, forse involontariamente, contribuito a creare un divario che persiste. Non è un caso se una rapida ricerca su Google per “Software Asset Management” restituisce prevalentemente documenti di governo e difesa statunitensi.
Il busillis dell’ottimizzazione: licenze sotto la lente
La chiave per l’ottimizzazione dei costi risiede nella gestione meticolosa di tre metriche fondamentali:
- Licenze acquistate. Il cash out è solo la punta dell’iceberg. Una gestione contrattuale impeccabile è il risultato finale di buone pratiche.
- Licenze allocate. La sovrastima delle necessità è un classico. Una de-allocazione basata sulle richieste del capo è spesso fallimentare. La soluzione è un’allocazione basata sui ruoli, mutuando l’efficienza dai sistemi di sicurezza (RBAC, Role Based Access Control).
- Licenze attive. Quante licenze assegnate sono realmente utilizzate? Con quale frequenza si verifica l’aderenza tra assegnazione ed effettivo utilizzo? Le licenze “flottanti” sono correttamente dimensionate? Le revisioni contrattuali sono allineate con le scadenze effettive? Rispondere a queste domande innesca un circolo virtuoso di best practice.
Il CMDB: la mappa della giungla digitale
Il CMDB (Configuration Management Database) è il punto di partenza strategico. Avere un sistema che cataloga e monitora gli asset aziendali – dai server ai PC, dai chioschi alle sonde IoT, con i loro livelli di patch e software residente – è la mossa vincente.
Le connessioni all’interno del CMDB non solo permettono una facile allocazione dei costi diretti (licenze, server IaaS e PaaS), ma, se ben integrate con il sistema di ticketing, consentono anche di allocare con precisione i costi indiretti di gestione incident e change.
Il labirinto dello Shadow IT
La sfida si estende oltre il perimetro LAN. La “nuvola” esterna e i servizi erogati da terze parti introducono complessità. I costi operativi diretti sono spesso facili da monitorare, ma i costi indiretti (come quelli legati al FinOps in un ambiente multi-cloud) si disperdono in un perimetro nebuloso e labirintico.
Ancora più problematico è quando il business acquista soluzioni autonomamente, bypassando l’IT. A quel punto, costi di integrazione, incident, change e add-on si trasformano in un calderone ingestibile, generando inefficienze e sprechi.
L’importanza del lavoro di squadra
Siamo lontani dall’ottimizzazione del landscape applicativo? Evidentemente la base culturale, la storia e la regolamentazione legislativa giocano contro; non di meno un Activity Based Costing ben strutturato, supportato da buone pratiche e da una connessione intelligente con incident e change (attraverso cataloghi di servizio ben strutturati), può ancora offrire risultati sorprendenti e duraturi.
Tuttavia, il successo dipende da uno sforzo costante di manutenzione del CMDB e del software SAM, compreso e trasmesso partendo dalle figure apicali e dai manager agli operatori. Spiegare l’importanza di una gestione puntuale è una sfida in un contesto RUPT (Rapid, Unpredictable, Paradoxical, and Tangled) che l’informatica europea e mondiale vivono da due decenni.
In conclusione, il SAM non è un semplice tool, ma il frutto di una diligente applicazione delle best practice di ITIL 4: Portfolio Management e Financial Service Management. Combinate con software all’altezza, queste pratiche abbattono drasticamente il rischio finanziario di “audit difficili” e liberano preziose risorse del reparto IT, trasformando un costo in un investimento strategico al servizio del business. Siamo pronti a trasformare la giungla digitale in un giardino fiorito?