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Smart working: viene da lontano ed è destinato ad andare lontano nel futuro

Due grandi pubbliche amministrazioni, INPS e ISTAT, e una grande realtà privata, Maire Tecnimont, raccontano la propria esperienza di lavoro agile e si confrontano su quale sarà il futuro di questa modalità di lavoro

Pubblicato il 31 Dic 2021

Smart working

Cosa hanno imparato dall’emergenza Covid tre grandi organizzazioni, pubbliche e private, come INPS, ISTAT e Maire Tecnimont? E cosa possono insegnarci? Quale sarà il futuro dello smart working? Di seguito l’esperienza raccontata dai protagonisti in occasione del convegno di presentazione del report 2021 dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano

INPS, il lavoro a distanza non ha inciso sulla produttività

Come testimonia la circolare sullo smart working, a luglio 2019, in tempi non ancora a rischio Covid, INPS aveva già avviato il percorso che avrebbe portato a febbraio 2020 una sperimentazione rivolta a circa mille persone. “Con l’emergenza abbiamo raggiunto picchi del 90% dei dipendenti a distanza che hanno dovuto sostenere l’elevata mole di lavoro derivante dai provvedimenti di emergenza – ricorda Pasquale Tridico, Presidente di INPS – Siamo riusciti a trasformare lo smart working in una forma di lavoro ordinario grazie alla capacità di valutare le performance e il lavoro dei dipendenti anche da remoto”, precisa il presidente.
Grazie alla distribuzione 17mila laptop e alla disponibilità di connessione (asdl e fibra per l’80%) il 78% dei dipendenti ha potuto eseguire tutte le tutte le attività svolte normalmente in sede, come risulta da un’indagine interna. Le attività cosiddette “non smartabili”, sono continuate, con le necessarie precauzioni dalle sedi e centralmente, introducendo una pratica di accoglienza allo sportello, tuttora in uso, che prevede video-chiamata e prenotazione obbligatoria.

Nel 2020 l’attività si è svolta per l’83% da casa o con rientri sporadici che ha consentito di gestire 15 milioni utenti (per prestazioni Covid) oltre ai 42 milioni ordinari.

L’indagine interna ha evidenziato che l’efficacia soggettiva del lavoro per il 45% dei rispondenti è restata agli stessi livelli del periodo precedente e al 41% migliorata. La produttività oggettiva (anche se non è direttamente correlabile allo smart working) non solo non si è ridotta, anzi è aumentata del 13%.

Positivo anche il giudizio degli utenti dei servizi INPS, che emergono da un’indagine effettuata annualmente e rivolta agli utenti (un campione 170mila persone)

ISTAT, costruire una nuova organizzazione del lavoro pubblico

“ISTAT vive di dati, indagini, survey, censimenti – sottolinea Michele Camisasca Direttore Generale dell’Istituto – Non potevano non fare una survey interna, che ha avuto il 60% di risposte, già da giugno 2020 in collaborazione con il Politecnico”. Sono così emersi fin dall’inizio benefici e criticità in una situazione ancora emergenziale. Da un lato la migliore organizzazione del tempo di lavoro e la sperimentazione di innovazioni tecnologiche e organizzative, dall’altro la difficoltà di mantenere i confini fra lavoro e vita privata, l’eccessivo prolungamento dell’orario di lavoro, lo stress da mancata disconnessione, le scarse occasioni di confronto con colleghi e capi.

Va ricordato che già nel 2019, Istat aveva previsto, a seguito di un accordo sindacale di far partire una sperimentazione che immaginava un massimo di 4 giorni al mese di lavoro agile, estendibile per fatti eccezionali. I fatti eccezionali sono arrivati nel marzo 2020, con la collocazione emergenziale di tutto il personale in lavoro agile.
L’esperienza è confluita nella formulazione del Pola, che le amministrazioni erano chiamate a presentare entro gennaio 2021, poi trasformato nel Piano integrato dell’attività e organizzazione (PIAO), grazie al lavoro di una task force, con l’impegno di far partire la sperimentazione per diffusione del “vero lavoro agile”. “Crediamo che il lavoro agile sia una rivoluzione che si costruisce nel tempo, creando a poco a poco le condizioni per arrivare a un nuovo modello di organizzazione del lavoro pubblico, con la comunicazione e la diffusione di una nuova sensibilità organizzativa”, dichiara il DG.
La condizione per introdurre un modello di lavoro flessibile passa dall’impegno di mantenere gli attuali livelli di prestazione che per ISTAT consiste nel rispettare un preciso calendario di quanto restituire al paese in termini di statistiche ufficiali, come accaduto nel 2020 e nel 2021.
“La sfida è costruire nel tempo una nuova organizzazione del lavoro pubblico che tenga conto della presenza e della distanza dove il ruolo chiave strategico è nella dirigenza – conclude Camisasca – Non si deve tornare alla situazione pre-Covid, ma portare nuove idee sia nei contratti collettivi sia nelle norme che devono sapere leggere il cambiamento della realtà”.

Maire Tecnimont, lavorare nel posto giusto per raggiungere l’obiettivo

L’azienda fin dal 2017 ha avviato un percorso di smart working che prevedeva fino a 4 giorni a casa e 1 in ufficio su un business molto particolare: la progettazione di grandi impianti, la loro suddivisione in sottoinsiemi, poi ordinati e trasportati nel sito dove vengono realizzati. “Il nostro lavoro termina quando l’impianto è avviato”, precisa Pierroberto Folgiero, CEO di Maire Tecnimont. L’attività coinvolge alcune migliaia di ingegneri e 50 società che operano in 45 paesi.
A febbraio del 2020, 2mila dipendenti italiani era già abituati al lavoro agile. “In un contesto aziendale con logiche produttive molto orientate all’efficacia, la nostra visione prevedeva il superamento del concetto di luogo lavoro, per focalizzarsi sul risultato e sul posto giusto per raggiungerlo – aggiunge il CEO – Il vero problema è rappresentato soprattutto dai capi che devono imparare a scomporre gli obiettivi in sotto-obiettivi, imparare a organizzare il lavoro delle proprie persone a monitorare i risultati”.

L’avvento del Covid che ha da un lato comportato non pochi problemi per un’attività internazionale ha dall’altro accelerato lo smart working. In fase di lock down erano coinvolte 5mila persone per cinque giorni su cinque, risultato consentito una piattaforma informatica capace di gestire lo shock. Con la stessa agilità, finita la fase di emergenza, è stato organizzato il rientro negli uffici.
“Nel frattempo abbiamo imparato a monitorare la produttività attraverso la misura dei deliverable (che rappresenta il prodotto dell’azienda), verificando che al diminuire della presenza in ufficio non si è ridotta”, sottolinea Folgiero.

La lezione che viene dai casi di successo

Dalle esperienze presentate emergono alcune indicazioni utili per lo smart working futuro.

  • L’evoluzione verso lo smart working è stata accelerata dalla pandemia ma in tutte le esperienze esposte il processo era già avviato.
  • È fondamentale la capacità di monitorare i nuovi fenomeni, misurarne l’efficienza e la produttività innovare gli stessi strumenti di monitoraggio, differenti per ogni realtà.
  • Per raggiungere gli obiettivi va cambiata la mentalità, a partire dai responsabili, per legare le modalità di lavoro agli obiettivi stessi da raggiungere e non al luogo dove viene svolto.
  • La digitalizzazione è la precondizione senza la quale non solo non è realizzabile lo smart working ma neppure la gestione di realtà complesse.

Per concludere con le parole di Folgiero: “Lo smart working si basa sulla virtualizzazione e la smaterializzazione delle attività, sulla base di una leva informatica sempre più potente”.

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