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Design Thinking, una modalità per fare innovazione

Il convegno “Design Thinking for Business: which kind of Design Thinking is right for you?” lanciava qualche tempo fa il primo Osservatorio Design Thinking della School of Management del Politecnico di Milano. Si registrava il crescente interesse per un approccio alternativo all’innovazione che integrasse capacità analitiche ad attitudini creative e, attraverso l’analisi di 60 aziende che adottavano il Design Thinking, è emersa un’interpretazione originale di questo paradigma.

Pubblicato il 29 Giu 2022

Design Thinking

Nell’introdurre il convegno Design Thinking for Business: which kind of Design Thinking is right for you? evento del primo Osservatorio Design Thinking della School of Management del Politecnico di Milano, Roberto Verganti, professore di Gestione dell’Innovazione nel Corso di studi in Design e in quello in Ingegneria Gestionale, oltreché membro dello scientific commitee dell’Osservatorio, spiega perché il Design Thinking (DT) stia diventando fondamentale per qualunque settore e qualunque organizzazione.

Che cos’è il design thinking e perché utilizzarlo

La definizione di Design Thinking è un modello progettuale utilizzato per risolvere problemi complessi impiegando una visione e una gestione creative, codificato attorno agli anni 2000 in California dall’Università di Stanford. È considerato un approccio democratico capace di mobilitare tutte le risorse aziendali, visto che consente ai membri di contribuire alle soluzioni. È centrato sulla persona e sulla sua capacità di sviluppare un pensiero sia come soggetto ideatore sia come destinatario del progetto.

Mind set e prospettiva del design thinking

Il DT può essere definito, in modo semplificato, attraverso gli strumenti che lo caratterizzano, suddivisi in tre categorie, utili per:

  • avvicinarsi al cliente, ad esempio quelli etnografici (per definire il contesto d’uso) o le tecniche di empatia (per mettersi nei panni del cliente e sperimentare il customer journey).
  • Favorire la creatività e generare idee, grazie, ad esempio a tecniche di brain storming, mappe mentali,…
  • Sperimentare rapidamente le idee attraverso la realizzazione di prototipi, grazie a strumenti come minimum viable product, fast prototyping,…

“Tuttavia ridurre il DT all’elenco dei tool che lo caratterizzano è limitante. È invece molto più efficace comprenderne il mind set e la prospettiva” ha precisato Verganti.

Si tratta di ribaltare il classico triangolo, tipico delle business school, che pone nel vertice in alto il business e alla base people e technology, a indicare come l’obiettivo dell’impresa sia l’uso dell’innovazione per creare business value a favore degli stakeholder, grazie a prodotti che soddisfino i bisogni delle persone attraverso l’uso delle tecnologie.

L’approccio DT pone nel vertice in alto people

“Partiamo dai sogni e dai problemi delle persone e creiamo prodotti che li soddisfino. Se ci riusciremo lo sviluppo del business ne sarà la naturale conseguenza” ha spiegato Verganti.

Questo diverso approccio assegna al termine design un significato nuovo, evidenziato del teorico del design Klaus Krippendorf che riporta il termine all’etimologia latina “de-signare”, far sì che qualcosa si distingua attraverso un segno, dandogli un significato.

Design thinking: una metodologia per un processo di progettazione in 5 fasi

Il DT è una metodologia che promuove un processo di progettazione (schematizzato nella figura 1) che, pur con diverse varianti, prevede cinque fasi fondamentali.

Le fasi del design thinking ProcessoDTS
Figura 1 – Il DTFonte: Stanford
  1. La prima fase consiste nell’identificazione del problema e quindi dell’obiettivo.
  2. La seconda nell’identificazione del contesto, definendo dati e attori chiave.
  3. La terza nell’analisi e ricerca delle opportunità.
  4. La quarta nell’ideazione, prototipazione, test e validazione.
  5. La quinta nella realizzazione del prodotto/servizio.

I vari passi prevedono la generazione di molte idee (fra cui selezionare le migliori) in sessioni di brainstorming (che possono coinvolgere, oltre ai progettisti, i clienti e altre persone dell’azienda) con il focus sulle esigenze “umane”. Il processo non è lineare ma ricorsivo: si prevede l’eventuale ritorno ai passi precedenti sulla base degli esiti delle fasi di prototipazione e di test.

Le necessità aziendali

La prima ragione dell’attualità del DT è la velocità, mai vista in precedenza, con cui le opportunità abilitate dalle tecnologie stanno investendo la nostra società, con una grande quantità di dati che la inondano. “Abbiamo a disposizione molta più tecnologia di quanta riusciamo a utilizzare. La vera trasformazione innovativa consiste dunque nel portarla nelle mani delle persone – sottolinea Verganti – La tecnologia è digitale, ma il modo in cui questa cambia la nostra vita viene dal design che va a ripensare l’interazione fra uomo e tecnologia abilitandone la fruizione”.

Le organizzazioni hanno bisogno di rendere questa ricchezza di tecnologia e di informazione accessibile alle persone. Il DT è dunque indispensabile per navigare nelle opportunità e per “dare senso” alla tecnologia e agli oggetti che la utilizzano.
La seconda ragione è che il DT svolge il ruolo di catalizzatore per il cambiamento delle organizzazioni, favorisce una nuova mentalità, coinvolge le persone, all’interno e all’esterno, che diventano attori e creatori del nuovo processo di innovazione, troppo spesso identificata con la tecnologia.

Il DT è pensato per il business

Il DT, trainato dalla trasformazione digitale, è intrinsecamente ‘for business’ visto che chi fa business “si occupa delle cose non come sono, ma come potrebbero essere”. Così ricorda Vergani citando Herbet Simon, uno dei molti padri della disciplina. E dunque chi fa business progetta: “Il DT è un modo per fare innovazione, difficilmente distinguibile dal management”.
Come si vedrà di seguito, ci sono diversi modelli di DT che enfatizzano i differenti aspetti.

Ciò che li accomuna è una visione del valore e del cambiamento dalla prospettiva delle persone, combinando tre fattori: le tecnologie (come vengono fatte le cose e come migliorare la loro performance). Le persone (come le cose fatte hanno valore per i clienti) e come l’organizzazione può trarre profitto offrendole. Questi diversi aspetti devono essere presenti contemporaneamente, ma c’è una considerazione aggiuntiva di Verganti: “Progettare con la persona al centro, fa bene anche agli azionisti di un’impresa. Se si creano prodotti fantastici che le persone amano, si crea valore”. (figura 2)

Figura 2 – Business, persone e innovazione – Fonte: Rapporto 2018 dell’Osservatorio Design Thinking for business

Design thinking e business innovation: i 4 modelli che emergono dalla ricerca

L’italian design è un intero sistema che crea successo. Successo non tanto per i singoli designer (che spesso neppure sono italiani) ma grazie a un sistema manifatturiero che sembra pensato per il DT for Business. Con queste premesse è del tutto opportuna l’indagine svolta dagli Osservatori che coinvolge l’ecosistema italiano evidenziandone interpretazioni originali e innovative del paradigma DT for Business.

Sono state esaminate oltre 60 aziende che adottano il DT per risolvere problemi complessi, realizzare e testare prodotti o servizi pilota e coinvolgere i lavoratori nel processo creativo.
La ricerca conferma che non esiste un’unica interpretazione del Design Thinking. Non vi è una definizione capace di affrontare tutti i problemi posti dai processi di innovazione, ma che è possibile riconoscere quattro modelli principali (figure 3 e 4).

Design thinking, 4 modelli

Figure 3 e 4 – Modelli di Design ThinkingFonte: Rapporto 2018 dell’Osservatorio Design Thinking for business

Creative Problem Solving

Il più adottato (dall’81% delle imprese analizzate) è il Creative Problem Solving, che prevede la comprensione dei bisogni dell’utente. E questo ipotizza un gran numero di possibili soluzioni per soddisfarle, per poi individuare la soluzione più efficace. Questo approccio è diffuso soprattutto (94%) presso gli studi di design, le aziende di sviluppo tecnologico (82%), i consulenti strategici (69%) e le agenzie digitali (67%). Dai servizi basati su questo modello deriva il 65,5% del fatturato annuale di queste imprese, suddiviso per oltre il 72,7% in ambito Solution (somma di servizi, prodotti, comunicazione, retail, esperienza). Oltre il 18,6% è destinato all’ambito Direction (business model e vision e brand) e l’8,7% l’ambito People (che comprende organizzazione, processi e cultura aziendale).

Sprint Execution

Il secondo modello più adottato (dal 49%) è la Sprint Execution, che ha come obiettivo la realizzazione di un prodotto da lanciare sul mercato, potenzialmente capace di rispondere alle esigenze degli utenti, ma soggetto ad essere migliorato dopo aver analizzato la reazione dei consumatori. È utilizzato soprattutto dalle agenzie digitali (100%), ma anche dai consulenti strategici (46%), dagli sviluppatori tecnologici (45%) e dagli studi di design (35%). Quasi metà del fatturato annuale di queste aziende (47,6%) proviene da servizi basati su questo approccio, in ambito Solution (85,6%). Soltanto quote marginali riguardano gli ambiti Direction (9,7%) e People (4,7%).

Creative Confidence

Un terzo delle imprese (34%) utilizza anche il modello Creative Confidence. Esso a differenza dei precedenti, punta direttamente sul coinvolgimento delle persone per creare e alimentare una cultura organizzativa e una mentalità adatte ad affrontare con fiducia i processi di innovazione. Questo approccio è adottato soprattutto dai consulenti strategici (54%), dagli studi di design (35%) e dagli sviluppatori tecnologici (27%). Non è presente fra le agenzie digitali. Minore è anche il peso in termini di fatturato (35%), concentrato per oltre metà nell’ambito People (54%), per il 26,3% nell’ambito Solution e il 19,4% nell’ambito Direction.

Innovation of Meaning

L’Innovation of Meaning, infine, è l’approccio col quale le imprese ridefiniscono la visione aziendale, i messaggi e i valori legati ai prodotti e ai servizi che offrono.

Questo modello è adottato dal 34% del campione, con i consulenti strategici (46%) e gli studi di design (41%) che si mostrano più avanti nell’adozione. Appaiono invece meno interessate le agenzie digitali (33%) e gli sviluppatori tecnologici (9%). Minore è di conseguenza l’impatto sul fatturato che vale il 34,7% del totale annuale delle imprese che la adottano. Un fatturato concentrato soprattutto nell’ambito Direction (41,7%) e Solution (36,7%), con una quota marginale che deriva dall’ambito People (21,6%).

Le nuove tecnologie per promuovere la metodologia design thinking

Realtà virtuale e aumentata, nuovi modi di interazione e collaborare sono tutte occasioni per cambiare e innovare il processo di progettazione basato sul design thinking. È quanto è emerso da un workshop organizzato nella giornata di presentazione dell’edizione 2019 dell’Osservatorio Design Thinking del Politecnico di Milano. In tale contesto, per esempio, Fabrizio Lo Presti, Design & Innovation Senior Manager di Accenture Digital, ha sottolineato l’efficacia di alcune rappresentazioni generate attraverso le tecnologie digitali, come per esempio le personas (personaggi fittizi che rappresentano specifiche categorie di utenti) create attraverso advanced analytics.

Che cosa indicano le start up rispetto all’adozione di questo modello e quali strumenti suggeriscono?

Le start up che operano in questo settore possono rappresentare un prezioso aiuto in quanto offrono strumenti che aiutano il percorso di utilizzo di questo modello nelle imprese.

In occasione della presentazione del Report 2019 dell’Osservatorio Design Thinking che ha esaminato le specializzazioni delle start up rispetto ai 4 approcci tipici del design thinking precedentemente illustrati è emerso che nella distribuzione dei finanziamenti per approccio prevale Sprint execution. E questo a conferma della tendenza che va incontro alla necessità di portare velocemente i prodotti/servizi sul mercato. Anche sperimentando la collaborazione con il cliente finale. D’altra parte si sta anche consolidando l’approccio Innovation of meaning.

Guardando invece agli strumenti messi a disposizione quest’anno è risultato particolarmente importante il ruolo dell’intelligenza artificiale.

Circa la metà del campione di start up individuato dagli uomini del Politecnico offre soluzioni di artificial intelligence (che tra l’altro attraggono elevate risorse economiche). Le fasi più supportate sono quelle relative alla raccolta di informazioni e alla interpretazione dei comportamenti dei clienti per rispondere alle loro esigenze. È invece minore il supporto dell’AI sul fronte di creatività e innovazione.

3 logiche creative che supportano i processi di Design Thinking

La situazione globale attuale è complicata, richiede nuovi approcci organizzativi e la capacità di far fronte a situazioni critiche.

Il Design Thinking aiuta a ridefinire i problemi, in particolare (secondo quanto riportato dall’edizione 2021-2022 dell’Osservatorio Design Thinking for business) sono 3 le logiche creative che supportano nel far fronte alle sfide dell’innovazione e, più nello specifico, i processi di Design Thinking.

Si tratta del ragionamento analogico (Analogical reasoning), del pensiero associativo (Associative Thinking) e dell’Abductive reasoning (ragionamento abduttivo).

Nel primo caso si estrae conoscenza da una fonte e la si trasferisce a un obiettivo; ma il ragionamento analogico risulta meno efficace di quelli seguenti nelle sfide dell’innovazione non ben definite.

Il pensiero associativo, che cioè trova link tra conoscenze differenti, permette una trasformazione delle informazioni che è particolarmente utile.

Infine, il ragionamento abduttivo è prezioso perché promuove scenari what-if presentando più spiegazioni possibili.

“Nei progetti innovativi – afferma Claudio Dell’Era, Direttore dell’Osservatorio Design Thinking for Business – la sfida da affrontare non è mai ben definita. È necessaria una maggiore comprensione. Lo scopo del Design Thinking è proprio quella di accompagnare per mano aziende e manager nel processo di innovazione. Ridefinisce il reale e dandogli una nuova cornice. Tutto ciò nella consapevolezza che nel definire e ridefinire il problema, non si sta perdendo tempo, anzi si sta già approcciando la risoluzione delle sfide stesse”.

Il modo più produttivo di far innovazione: porre il cliente al centro, ecco le esperienze

Alcune testimonianze di impiego del DT for Business evidenziano il ruolo svolto nella trasformazione delle organizzazioni grazie alla capacità di mettere al centro persone e clienti.

3M

Monica Dalla Riva, Head of Design – Europe di 3M, ricorda il cambio di prospettiva al suo ingresso in 3M, circa 7 anni fa, rispetto alle precedenti esperienze dove il business o il marketing chiedevano progetti innovativi a partire dalle richieste del mercato.

“In 3M, una grande azienda da 30 miliardi di dollari, dove sono presenti oltre 8mila ricercatori e inventori, quando visitavo i laboratori, mi presentavano invece tante tecnologie innovative e soluzioni alla ‘ricerca’ di un problema da risolvere”. Ricorda Riva, intendendo evidenziare un approccio che parte dalla disponibilità della tecnologia. E questo anziché partire dalla comprensione dei problemi dei potenziali clienti, che la tecnologia può aiutare a risolvere. “Il DT, definizione che non amo ma con la quale gli americani hanno codificato il modo italiano di fare progettazione, mi ha molto aiutato nel cambiare il mindset dell’azienda. Un mindset verso un approccio al prodotto non più in logica technology push ma basato sul customer insight. Ossia sulla conoscenza del cliente e dei suoi bisogni”.

Tetra Pak

Alexandre de Souza Carvalho, Global Director Marketing Services di Tetra Pak, sottolinea l’utilità del modello DT per capire i problemi dei propri clienti. Clienti di un certo calibro quali grandi aziende di bevande e alimentari nel mondo. “Una volta capito il problema del cliente possiamo offrire la soluzione giusta. Il DT ci ha aiutato ad evolvere da product centric a consumer centric. E permette di coinvolgere nella co-creazione i top manager delle aziende e gli stessi consumatori”.

MSC Cruises

In un settore del tutto diverso come quello delle crociere, MSC Cruises ha adottato il DT per progettare esperienze digitali innovative per clienti estremamente eterogenei. Basti pensare che capita che a volte ci siano anche 170 nazionalità ospitate a bordo delle sue navi.

“Il DT ci ha aiutato a pensare in modo differente all’innovazione e progettare un’esperienza innovativa sulle navi, semplificandola”. Così spiega il Chief Business Innovation Officer Luca Pronzati che aggiunge. “L’obiettivo era promuovere nuove esperienze per i nostri clienti a fronte di una grande crescita. E di un piano di investimenti ambizioso che prevede la costruzione di tre nuove navi”.

Grazie all’ascolto dell’equipaggio e degli stessi clienti si è partiti con un’esperienza digitale innovativa dal giugno 2017 a partire dalla Meraviglia, la prima smart ship. Son stati implementati 16.000 punti di connettività, 700 punti di accesso digitali, 358 schermi informativi e interattivi e 2.244 cabine dotate di tecnologia RFID/NFC. I clienti possono così ricevere informazioni personalizzate. Volendo scelgono fra servizi e offerte disponibili e prenotarli, pianificare le attività. Oppure visualizzano in anteprima le escursioni attraverso la realtà virtuale. Possono proiettare il proprio diario di viaggio e molto ancora per personalizzare e rendere ideale la propria esperienza di viaggio.

Sisal

In Sisal la cultura DT è di casa, ma all’inizio doveva rispondere alla seguente domanda. Di quale gioco ha bisogno al cliente, come renderlo felice? “In passato siamo stati capaci di interpretare le esigenze dei giocatori e soddisfare le loro richieste – sostiene Antonio Iannitti, Strategy Manager di Sisal –. Oggi che metà del giro d’affari è legato ai servizi di pagamento, stiamo lavorando con user experience e designer per migliorare questa esperienza”.


Gianpiero Di Gianvittorio, Experience Centre Lead di PwC Italy, sostiene infine che il DT può aiutare a spiegare perché le persone devono essere al centro. Anche in caso di un’innovazione technology driven.

“Va superato l’atteggiamento dell’IT che spesso trova la soluzione senza conoscere il problema, senza porsi la domanda: cosa serve ai clienti?”. I CIO sono avvisati. Il DT for business deve essere al centro della loro attenzione.

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