E’ ormai nota la sentenza della Corte di Giustizia
Europea del novembre 2007, che ha stabilito la non
applicabilità ai privati dell’obbligo di apporre il
contrassegno Siae su supporti non cartacei contenenti opere di
diritto d’autore. Come avevamo evidenziato nel primo
articolo dedicato a tale argomento, la Corte di Cassazione
penale ha applicato il principio espresso dalla Corte di
Giustizia in tre sentenze rese pubbliche lo scorso mese di
aprile, confermando l’obbligo per i giudici
italiani di disapplicare – sino a quando non
sarà perfezionata con esito positivo la procedura di notifica
attivata tardivamente – le norme che prevedono
l’obbligo di apporre sui supporti non cartacei il
contrassegno Siae per la loro
commercializzazione.
Tra il mese di maggio e il mese di settembre la Corte di
Cassazione penale è tornata sull’argomento con tre
sentenze che, su un punto in particolare, offrono
interpretazioni non conformi tra loro. Con sentenza del 6 marzo
2008 n. 21579 (depositata il 29 maggio 2008) la VII sezione
penale della Cassazione ribadisce in modo piuttosto chiaro e
netto quale debba essere la conseguenza diretta della sentenza
della Corte di Giustizia, ossia la non applicabilità ai
privati dell’obbligo di apporre il contrassegno Siae sui
CD contenenti opere di diritto d’autore e la
disapplicazione di tale obbligo da parte dei giudici italiani
(sino al pronunciamento della Commissione all’esito della
procedura di informazione). Conseguentemente, la mera
detenzione, commercializzazione, noleggio ecc. ecc. di supporti
privi del contrassegno Siae (art. 171
ter, lett. d LDA) non può ritenersi
prevista dalla legge come reato.
Ma i giudici si spingono oltre. Pur precisando che il
pronunciamento della Corte di Giustizia non incide direttamente
sulla diversa ipotesi di reato relativa alla detenzione per la
vendita di supporti illecitamente duplicati o riprodotti (art.
171 ter lett. c) LDA),
tuttavia essi attribuiscono a tale sentenza un effetto
indiretto, che consisterebbe nel far perdere al contrassegno
Siae anche la valenza di mero indizio della illecita
duplicazione o riproduzione. Su tale punto, i giudici si
discostano apertamente dall’orientamento espresso nelle
tre sentenze pubblicate nel mese di aprile 2008, nella quali,
ancorché fosse confermato che la mancanza del contrassegno
Siae non poteva costituire mezzo di prova dell’illecita
duplicazione o riproduzione, tuttavia si evidenziava che tale
mancanza poteva essere valutata come mero indizio della
condotta illecita. Ebbene, la VII sezione della Cassazione
disconosce tale valenza indiziaria sul presupposto che
l’obbligo di apporre il contrassegno Siae debba essere
considerato come se non fosse mai stato applicato ai privati e
pertanto non può esplicare alcun effetto, neppure indiretto.
Di diverso avviso è, invece, la III sezione della
Cassazione penale che è tornata su tale tema con la sentenza
del 24 giugno 2008 n. 32054 (pubblicata in data 31 luglio
2008).
Ritenendo non condivisibili le conclusioni sopra
riportate, i Giudici della III sezione penale confermano la
valenza almeno indiziaria della mancata apposizione del
contrassegno Siae, circa l’illecita duplicazione o
riproduzione. Il ragionamento – forse un po’ ardito
– alla base di tale conclusione è il seguente: per la
legislazione italiana il contrassegno Siae non avrebbe solo
“lo scopo di
condizionare la libera circolazione del prodotto, ma anche
quello di favorire una rapida identificazione dei prodotti
abusivi, assicurando così una tutela più incisiva e pronta
alle violazioni del diritto
d’autore”. A tale
contrassegno verrebbe attribuito uno scopo
“più generale che è quello di
facilitare la repressione dei reati in materia di violazione
dei diritti d’autore e tale scopo non contrasta con il
diritto comunitario perché non ostacola la legittima
circolazione dei beni”. In
ultima analisi, per i giudici della III sezione della
Cassazione penale, la sentenza della Corte di Giustizia
esplicherebbe il suo effetto solo quando il contrassegno è
utilizzato per “discriminare la libera
circolazione del prodotto, ma non quando lo si valuti come
indizio per sostenere, in concorso con altri elementi, la
illegittima duplicazione”.
Indipendentemente dal tema piuttosto tecnico
dell’attribuzione o meno, alla mancanza del contrassegno
Siae, della valenza di indizio circa l’illecita
duplicazione, ciò che può essere confermato
dall’esame di queste ultime sentenze, alle quali se ne
aggiunge una terza pubblicata in data 3 settembre 2008
(Cassazione penale SEZ III del 24 giugno 2008 n. 35562), la
specifica condotta prevista dall’art. 171 ter, lett. d)
della LDA, ossia la mera detenzione per la vendita o la
distribuzione, la vendita, il noleggio ecc. ecc. di supporti
non cartacei privi del contrassegno Siae, non può più essere
considerata fattispecie di reato, almeno sino a quando la
Commissione europea non si sarà pronunciata sulla
compatibilità o meno dell’apposizione del contrassegno
Siae con il principio della libera circolazione delle
merci.
Sino a qui abbiamo esaminato le conseguenze che la
sentenza della Corte di Giustizia sta avendo sulle
norme penali a difesa del diritto d’autore. Ma qualcosa
sembra muoversi anche sul piano del diritto civile, in tema di
diritto al rimborso di quanto pagato in passato per
l’apposizione del contrassegno Siae. È, infatti,
piuttosto recente la notizia che il Tribunale di Roma,
accogliendo il ricorso di un editore italiano, avrebbe emesso
nei confronti di Siae un decreto ingiuntivo per il rimborso dei
contrassegni Siae pagati negli anni passati. La situazione è
ancora in divenire, ma non vi è dubbio che vi sono fortissime
avvisaglie su un prossimo nuovo assetto giuridico del regime
dell’”odiato bollino Siae”, che potrebbe
condurre, nella fattispecie, ad una netta riduzione di
“potere” della stessa Siae.