Quale tecnologia per la nostra evoluzione? L’apporto della filosofia a un dibattito apertissimo

È il mondo intero, in questi anni, ad interrogarsi sul proprio futuro. L’obiettivo tanto ambito del raggiungimento di ricchezza e benessere ottenuto attraverso modelli di sfruttamento intensivo umano (di pochi su molti) e di risorse naturali è al centro di una inevitabile rivisitazione sia da parte delle economie occidentali più evolute sia, in forme meno diffuse ma comunque presenti nelle diverse politiche economiche, negli stessi paesi che stanno vivendo oggi una fase di forte crescita e sviluppo.

Pubblicato il 17 Mag 2013

È il mondo intero, in questi anni, ad interrogarsi sul proprio futuro. L’obiettivo tanto ambito del raggiungimento di ricchezza e benessere ottenuto attraverso modelli di sfruttamento intensivo umano (di pochi su molti) e di risorse naturali è al centro di una inevitabile rivisitazione sia da parte delle economie occidentali più evolute sia, in forme meno diffuse ma comunque presenti nelle diverse politiche economiche, negli stessi paesi che stanno vivendo oggi una fase di forte crescita e sviluppo.
I costi da sostenere, a fronte di un’eccessiva crescita non più facilmente sopportabile per gli equilibri di persone e natura, stanno infatti spingendo anche gli organismi economici più consolidati e oltranzisti rispetto al modello di accumulazione di capitale, a rivedere forme organizzative e di produzione che siano più allineate a una crescita sostenibile.
In questo periodo le principali discipline – politica, economia, scienze, cultura, arte –  si interrogano, attraverso le differenti forme espressive, su quale potrà essere un modello di crescita non più guidato esclusivamente da rigidi parametri economici e di profitto ma considerando anche criteri di benessere diffuso, di carattere psicologico e relazionale che hanno in sé un grande valore economico e di stabilità politica e sociale. In questo periodo di trasformazione, si diceva, anche la filosofia interviene con il suo prezioso contributo sul ruolo e il futuro dell’uomo. Ne parliamo perché vorremmo proporre alla vostra riflessione la tesi sostenuta nel suo ultimo libro, “Capitalismo senza futuro” (Edizioni Rizzoli), dal filosofo italiano Emanuele Severino, che abbiamo avuto occasione di ascoltare pochi giorni fa invitato, come “guest star”, ad una serata organizzata poco distante da Milano dall’Associazione AlboVersorio in occasione della Festa della Filosofia che, nella sua IV edizione, ha avuto per titolo: “Pensare il pianeta”.
Riportiamo, in pillole, il pensiero di Severino, uno dei grandi filosofi italiani conosciuti in tutto il mondo, perché la sua tesi si basa su un’interessante analisi circa il dualismo esistente tra sistema di accumulazione del capitale e sviluppo tecnologico, questione che ai lettori di ZeroUno potrebbe interessare. E perché, dalla prospettiva anche della filosofia, è una chiave di lettura per comprendere questi nostri tempi “digitali” e complicati, pervasi da una presenza tecnologico-scientifica importantissima ma, talvolta, prevaricatrice e opprimente.
Semplificando al massimo, anche se il pensiero di un filosofo è davvero difficile da sintetizzare senza scadere nel banale, Severino sostiene che esiste una contraddizione/conflitto tra il modello capitalista, spinto ormai fino ad una dimensione economica globale, e la tecnica/tecnologia, diffusa ormai anch’essa a livello mondiale.
La tecnologia, sostiene Severino, ha in sé un obiettivo di miglioramento continuo di prestazioni e di creazione di benessere e diffusione di condizioni migliori (anche di ricchezza) tra le persone. Il modello capitalista ricerca invece il profitto attraverso uno sfruttamento intensivo e un’oculata gestione della diffusione delle merci, cioè esso si afferma soltanto se queste sono mediamente diffuse sul mercato, regolando così il delicato equilibrio esistente nel rapporto tra domanda e offerta. Il modello capitalista utilizza appieno, come altre forze, la tecnologia per raggiungere il proprio scopo di accumulazione di capitale. Ma se la tecnologia ha in sé lo scopo di diffusione di benessere e miglioramento delle condizioni umane, ecco che esistono due scopi differenti. Lo scopo del mezzo (la tecnologia) usato dal capitalismo per raggiungere il proprio scopo di accumulazione di capitale è in contrapposizione con lo scopo finale del capitalismo stesso e quindi quest’ultimo è destinato a fallire.
La sintesi finale è che quando la tecnologia, proprio perché usata massicciamente, riesce a imporre al capitalismo di ridurre/cambiare il proprio scopo, la tecnologia invade e modifica lo scopo originario del capitalismo (accumulazione di capitale contro una tecnologia che ha uno scopo differente, di benessere e ricchezza diffusa). Questo può però accadere, sostiene Severino, soltanto se appare la non-verità di quello scopo (cioè la non sostenibilità dello scopo del capitalismo).
E qui, diciamocelo, stiamo per partire per sviluppi di pensiero a noi sconosciuti ma interessanti per capire il contributo filosofico al dibattito esistente tra sviluppo sociale e ruolo della tecnologia. Infatti, afferma sempre il filosofo, la non verità dello scopo del capitalismo è una non verità più ampia, che si può estendere alla tradizione del pensiero occidentale nel suo complesso (o meglio la crisi della verità della tradizione occidentale), la crisi del concetto di verità assoluta: quindi si prende in considerazione la morte di Dio, fatto inconcepibile, insostenibile e deflagrante per la nostra cultura. Il vero nemico dei nostri tempi non è il relativismo, come sostiene la Chiesa, ma il fatto che si creda in una verità eterna il cui fondamento è oggi entrato in crisi nelle coscienze di molti. Si aprono così le porte al nichilismo che con Nietzsche diventa la misura della civiltà occidentale, segno della nostra decadenza, con l’abbandono dei falsi idoli (con “i piedi d’argilla”) che hanno dominato la nostra cultura, ma anche con la speranza che una nuova era sorgerà dalla morte dell’uomo e del Dio che egli ha costruito a sua dimensione (da qui la disperazione dei nostri tempi moderni. Già Leopardi scriveva: “Essendo tutto il reale un nulla, non vi è nulla di reale né altro di sostanza al mondo che le illusioni”).
Proprio la tecnologia, o meglio quello che Severino afferma essere “il paradiso della tecnica” (la tecnologia finalizzata all’innalzamento del livello della condizione umana – la “nuova aurora” auspicata da Nietzsche?), destabilizzerà tutte quelle forze che sempre più si servono della tecnologia per affermare il proprio ruolo che vuole essere soverchiante, ma che invece hanno perso di vista il proprio scopo originario: il capitalismo, la democrazia, il cristianesimo e le altre religioni, il concetto di Stato controllore e opprimente. Potrebbe significare che avremo una forma di tecnologia pura (nella sua dimensione più nobile, non meccanicistica o tecnocratica) la quale, sostituendosi alle varie sovrastrutture e fedi, potrà essa stessa garantire equità, benessere, ricchezza, sostenibilità del pianeta? La questione è aperta.
Ehi, calma: adesso riscendiamo sulla terra! Era solo per darvi un’idea di come una disciplina conturbante ma al contempo complessa e destabilizzante come la filosofia stia diffondendo alcune riflessioni sul cambiamento dei nostri tempi.
Noi, mortali del pensiero semplice, ci leghiamo a questa analisi filosofica attraverso una considerazione che prende spunto proprio dal “paradiso della tecnica”, ben lontano, va rimarcato con chiarezza, dal volere attribuire alla tecnologia la soluzione di tutti i problemi. Al centro esiste, come sempre, l’uomo, la persona nella sua complessità di trasformazione individuale e nel suo rapporto con la società. Guardiamo oggi allo sviluppo (culturale, politico, economico, ambientale, sociale) che soltanto una semplice tecnologia di comunicazione, relazione, creazione collettiva come Internet, sta portando al nostro pianeta. È un’infrastruttura tecnologica, il Web, trasversale a innumerevoli ambiti professionali e privati delle persone, trasversale alle varie discipline e persino base di lavoro e sviluppo di molti altri ambiti scientifici e tecnologici (medicina, ricerca spaziale, fisica, economia, scienze naturali, ecc). Cosa sta accadendo? Credo che il punto che sta emergendo con forza nel dibattito globale, sia quello di saper trovare un giusto equilibrio tra una dimensione che privilegi la relazione, la condivisione e la specificità del pensiero umano, con le enormi opportunità che la tecnologia offre senza però essere noi stessi, le persone, elementi più o meno consapevolmente al servizio della tecnologia, individui che stanno lentamente diventando, per nuove abitudini di utilizzo (sempre connessi, sviluppando nuovi linguaggi di relazione, nuove forme di pensiero “digital oriented”, approcciando una costruzione del sapere e della conoscenza mediata principalmente dal mezzo tecnologico) strumenti al servizio di un disegno tecnologico che si autoalimenta e che rischia di sfuggirci di mano (un paio di esempi? Sistemi di analisi del traffico sul Web che sulla base del sentiment analizzato attraverso incroci di flussi di navigazione e di ricerca attivano automaticamente procedure di trading on line che si riversano, se non adeguatamente controllate, su meccanismi di penalizzazione o di arricchimento di persone, aziende, nazioni. O ancora: sistemi di analisi di sentiment sociale – umore, rabbia, felicità – per consentire di proporre tasse, strategie politiche, accordi commerciali in rapporto al livello di accoglienza sociale ipotizzato, ecc.). Questo è il rischio e questo è il dibattito, più o meno oggi esplicito, che dovremmo riuscire ad affrontare con decisione. Senza rinnegare e anzi utilizzando, da un lato, le enormi opportunità e occasioni che la tecnologia offre (verso quel “paradiso tecnologico” nel quale si migliora la condizione materiale e intellettuale delle persone) ma dall’altro con la consapevolezza di poter guidare verso una dimensione “human centric” questa pervasività tecnologica. Una dimensione umana, intellettuale, relazionale e di benessere, che potrà diventare anche una nuova modalità di essere impresa e di creare nuove forme competitive, con un profitto che si misurerà non più solo nell’accumulazione indiscriminata del capitale bensì anche nella creazione di benessere diffuso e di nuovi valori etici. Assecondando ciò che la tecnologia, quella buona, ha in sé come scopo finale.

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