Quando il Cloud può dirsi “open”

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Quando il Cloud può dirsi “open”

La scelta del modo in cui realizzare un Cloud ibrido rappresenta forse la decisione più strategica che i leader IT si troveranno a fare nel corso di questo…

Pubblicato il 27 Mar 2012

di Redazione Digital4

La scelta del modo in cui realizzare un Cloud ibrido
rappresenta forse la decisione più strategica che i leader IT si
troveranno a fare nel corso di questo decennio
. Si
tratta di una scelta che determinerà il livello di
competitività, flessibilità e investimenti IT delle loro
aziende per i prossimi 10 anni.

Fra gli osservatori e gli operatori si parla molto dei vantaggi
di un Cloud “aperto”, in grado di abilitare la
portabilità delle applicazioni e sfruttare interamente le
infrastrutture IT esistenti evitando di creare nuovi silos.
Ma quando un Cloud può dirsi open?

L’open Cloud non ha nulla a che fare con una determinata
caratteristica. Bensì significa poter disporre di un’ampia
gamma di funzionalità che spingono l’ago della bilancia da
interamente chiuso a completamente aperto.

Un open Cloud possiede in particolare le seguenti
caratteristiche:

E’ open source

Il concetto di open source permette all’azienda-utente di
controllare la propria specifica implementazione senza essere
obbligato ad utilizzare la roadmap tecnologica e di business di
un vendor specifico. L’open source inoltre, permette agli
utenti di collaborare con altre community e aziende per favorire
l’innovazione nelle aree che ritengono di maggiore
importanza.

Dispone di una community indipendente e
collaborativa 

Quando si parla di open source, non si fa riferimento solo al
codice, alla sua licenza e a come questa possa essere utilizzata
ed estesa. Parimenti importante è, infatti, la comunità
associata al codice che deve essere indipendente e collaborativa.

Si basa su standard aperti, o protocolli e formati che si
muovono verso la standardizzazione 

Il Cloud computing è una tecnologia relativamente emergente. In
quanto tale, la standardizzazione intesa come
“ufficiale” sancita da enti regolatori è ancora agli
albori. Detto questo, approcci all’interoperabilità che
non sono sotto il controllo di un singolo vendor e che non sono
legati a specifiche piattaforme offrono una notevole
flessibilità. Questo consente alla specifica API di evolvere
oltre i limiti dell’implementazione. Di fatto, i protocolli
e i formati open sono indipendenti dalla loro implementazione.

E’ implementabile su qualsiasi
infrastruttura 

La gestione di Cloud ibridi dovrebbe fornire un ulteriore livello
di astrazione a virtualizzazione, server fisici, storage,
networking e provider di Cloud pubblici. Ciò implica — e
di fatto richiede — che la gestione del Cloud non sia
legata a una tecnologia di virtualizzazione specifica. Questa è
la ragione principale per cui la gestione del Cloud è differente
da quella della virtualizzazione, e abilita Cloud ibride che
spaziano dai server fisici, a molteplici piattaforme di
virtualizzazione, a un’ampia gamma di provider di Cloud
pubblici.

E’ espandibile con un’API
aperta 

Con le API aperte gli utenti possono aggiungere feature,
funzionalità e tecnologie da produttori diversi. Obiettivamente,
l’API non può essere controllata da un vendor specifico o
legata a una particolare implementazione, ma deve essere sotto la
protezione di una organizzazione “super partes” che
consenta contributi ed espansioni in modo aperto e trasparente.
Un tipico esempio è DeltaCloud, un’API che astrae le
differenze tra Cloud ed è sotto l’ombrello
dell’Apache Software Foundation.

Consente la portabilità verso altri Cloud 

La portabilità assume una varietà di forme, tra cui,linguaggi e
framework di programmazione, dati e persino applicazioni. Se si
sviluppa un’applicazione per un Cloud, non si dovrebbe
riscriverla in un linguaggio differente o utilizzare un’API
diversa per spostarla da un’altra parte. Inoltre, un
ambiente di runtime coerente tra i Cloud, fa sì che il
re-testing non sia necessario ogni volta che si voglia effettuare
una nuova implementazione.

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