Analisi

I pro e i contro del cloud “chiavi in mano”

Per le imprese che non hanno il tempo o le capacità per costruire un cloud privato, la soluzione “in a box” può rappresentare una valida opportunità. Ma occhio alle funzioni e ai costi.

Pubblicato il 28 Mar 2011

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Il cloud-in-a-box è un concetto interessante e che merita una particolare attenzione da parte dei CIO. Di cosa si tratta?

In sostanza si tratta di prodotti modulari (una sorta di building block) che si basano su hardware virtualizzato dotato di funzionalità simil cloud come l’orchestrazione delle risorse, il provisioning self-service, il monitoring dell’utilizzo e la fatturazione.

Assicurano inoltre che varie parti delle infrastrutture del cloud computing privato e del software siano ottimizzate per lavorare assieme e fornisono un unico punto di contatto per il supporto. Soprattutto, le soluzioni cloud-in-a-box permettono alle aziende di aggiungere funzioni di cloud privato rapidamente.

Secondo James Staten, analista di Forrester Research, tra le proposte più interessanti troviamo BladeSystem Matrix di HP, CloudBurst 1.2 di IBM (costruito sulla piattaforma IBM System x BladeCenter), i prodotti per le infrastrutture cloud di Dell e i pacchetti Vblock di Computing Virtual Environment (VCE), coalizione formata congiuntamente da Cisco ed EMC con VMware.

L’idea è la modularità” ha dichiarato Greg Shields, senior partner e di Concentrated Technology LLC, società di formazione e consulenza IT. Ed il concetto è interessante soprattutto per l’ottimizzazione che caratterizza un prodotto destinato a uno scopo specifico, come lo storage.

“Cloud-in-a-box” per lo storage e l’ottimizzazione

Infatti, “in questo momento è principalmente lo storage” che spinge le imprese ad adottarlo, ha sentenziato Rob Enderle, presidente di Enderle Group. “E si presta ottimamente a una soluzione on-demand“, ha aggiunto. Altri usi includono lo sviluppo di applicazioni, un nuovo data center o una graduale sostituzione dei sylos di sistemi obsoleti.

L’altra funzione fondamentale del “cloud-in-a-box” è l’ottimizzazione. Il vero problema del data center, è la sua inefficienza: si hanno quattro o cinque sistemi operativi e decine e decine di applicazioni. Con il cloud-in-a-box si può ottenere una sorta di utility per le informazioni aziendali, con configurazioni di server pre-stabilite: si possono aggiungere capacità quando necessario, e soprattutto si possono fatturare queste risorse in base all’effettivo utilizzo.

Ma allora, dove sta il trucco del “cloud-in-a-box”?

Alcuni analisti sostengono che un cloud privato “in a box” non sia in grado in realtà di fornire tutte le funzionalità cloud richieste normalmente dalle aziende. In altre parole è seducente l’idea del cloud “chiavi in mano”, ma poi alla prova dei fatti vanno analizzate cone attenzione tutte le caratteristiche offerte dai vendor.

Quello che spesso manca è l’orchestrazione di tutti i servizi: mettiamo sul cloud infrastruttura, configurazioni, software, dati ma manca l’interfaccia che consente di gestire tutti questi oggetti. In questo senso possono essere di utilità le soluzioni di CA (3Tera) o di BMC Software: sono piuttosto complesse, ma una volta implementate forniscono il servizio richesto.

Va però sottolineato che il prezzo rappresenta un deterrente per la maggior parte dei CIO. I sistemi cloud privati, come Vblock e CloudBurst, variano in genere tra i 250.000 dollari e 1 milione di dollari, un costo decisamente elevato.

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