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Video meeting, cuore e cervello: un esperimento sugli impatti “live”

Secondo un team di ricerca austriaco, la stanchezza da videoconferenza esiste. La si rileva a livello di cuore, cervello e umore e ciò suggerirebbe un più prudente utilizzo di questa modalità di lavoro. Lo studio non tiene però conto dello stress che il recarsi a una riunione fisicamente può comportare, tra traffico, spese e inquinamento e tempo gettato

Pubblicato il 25 Gen 2024

Immagine di Chay_Tee su Shutterstock

Tecno Stress, con le maiuscole, non è il fenomeno ma il nome proprio di un programma di ricerca austriaco che ne sta esplorando le caratteristiche. Lo fa in divenire, man mano che la parte “tecno” evolve e che lo stress oscilla. Lo fa attraverso studi di vario genere, ma sempre focalizzati sui potenziali effetti dovuti a un alto livello di interazione con le più diffuse tecnologie ICT tra cui internet, radio, televisione, smartphone, hardware e software di rete e sistemi satellitari.

Per il momento, ha al suo attivo una ventina di documenti che spaziano dalle interazioni sociali nel metaverso e in videoconferenza agli effetti della disintossicazione digitale, fino all’impatto della sorveglianza elettronica sul posto di lavoro. Uno dei più recenti, indaga le reazioni del corpo umano alla sostituzione delle riunioni “live” con i “meeting” on line. Prima del Covid-19 era un’opzione spesso trascurata, oggi è molto più frequente anche quando le distanze sono colmabili senza voli aerei. Se alcune aziende, passata l’emergenza, sono infatti tornate ai vecchi equilibri, molte altre – anche per motivi economici o ambientali – hanno mantenuto la nuova abitudine adottata durante i lockdown pandemici.

Il primo monitoraggio clinico di riunioni

Affrontando questo tema in modo originale e serio, il team ricercatori austriaci di Tecno Stress è riuscito a conquistare una pubblicazione su Scientific Reports, una rivista pubblicata da Nature Reports. Sarebbe riuscito a dimostrare che la fatica da videoconferenza (VCF), che alcuni sostengono di provare, non è un’invenzione o frutto di auto-condizionamento. È la prima volta che si indaga su questo tema non basandosi su racconti e pareri personali, ma attraverso un esperimento scientifico che analizza le conseguenze cliniche di questo fenomeno, più che le cause.

Lo studio si basa infatti sull’analisi dello stato fisico di due gruppi di giovani, uno chiamato ad assistere a una lunga riunione in videoconferenza e l’altro alla stessa, ma dal vivo. Per prima cosa sono stati osservati gli effetti sul cuore, misurando con l’elettrocardiografia (ECG) la frequenza cardiaca di tutti i partecipanti, prima e dopo le sessioni. Per rilevare anche l’impatto sui cervelli causato da ore e ore di videoconferenze, il team ne ha misurato l’attività elettrica durante la riunione, collegandoli a un elettroencefalogramma (EEG). Per completare la raccolta dati, è stata data la possibilità a tutti i partecipanti di raccontare il proprio stato d’animo al termine dell’esperimento, sottoponendoli anche a test di attenzione cognitiva.

Stanchezza “da video”, ma senza traffico

Se si vuol credere a quanto raccontato dai protagonisti, quelli collegati a piattaforme di videoconferenza risulterebbero “usciti” dalla riunione molto più stanchi, sonnolenti e stufi. Gli altri si sarebbero definiti infatti più vivaci, felici e attivi. Se non si vuol credere loro sulla parola, ci sono i risultati dell’EEG che affermano la stessa cosa: l’attività cerebrale si è mostrata più intenso durante il collegamento on line, il che giustificherebbe la stanchezza provata. Anche il cuore si unisce alle precedenti voci: i dati sull’attività cardiaca testimoniano la presenza di un livello di maggior stress in chi era in videoconferenza. Tutto ciò fa sospettare che ci sia stato un impatto anche sul sistema nervoso ma, soprattutto, vuole far riflettere sulla validità dell’opzione “on line”.

Un’affermazione coraggiosa, in tempi di smart working, tagli di trasferte e minimizzazione degli spazi e degli spostamenti. I ricercatori, infatti, restano prudenti e confessano i limiti dello studio realizzato.

Oltre al fatto che le lezioni non sono state svolte in un ambiente d’ufficio, ma accademico, e l’età media dei partecipanti (circa 24 anni) era ben sotto a quella media dei lavoratori. L’aspetto più “sinistro”, però, sta nel fatto che non sono stati considerate tutte le possibili fonti di stress che la partecipazione a una riunione live solitamente prevede. In primis, quella relativa agli spostamenti fisici, spesso da effettuare nel traffico, perdendo tempo e denaro, oltre che la pazienza. E inquinando.

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