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Pubblicato il 15 Mag 2008

Medie imprese: il vero “tesoretto”

Medie imprese: il vero “tesoretto”

Medie imprese: il vero “tesoretto”

Medie imprese: il vero “tesoretto”Dai numerosi incontri, casi utente, confronti che un giornale come ZeroUno ha quotidianamente con la comunità IT delle imprese, si può affermare con certezza che un passaggio importante è stato compiuto nell’evoluzione della figura del CIO. Stefano Uberti Foppa, direttore della rivista, illustra tendenze e criticità di questo percorso. In collaborazione con il Mit Sloan Center for Information Systems Research e l’Harvard Business School, giunge da parte del Center for CIO Leadership (un’organizzazione che raggruppa executive ed esperti a livello mondiale per promuovere l’utilizzo dell’IT come strumento di creazione di valore di business – tra i partner fondatori anche Ibm) una ricerca effettuata tra 175 CIO di primarie società internazionali. Non preoccupatevi! Non vogliamo riproporvi l’ennesima analisi di tendenza di ciò che deve fare il CIO per essere un contributore di valore per il business. Ma da alcuni segnali di cambiamento del suo ruolo nelle aziende presso cui lavora, cercheremo di fotografare la strada che è riuscito a percorrere in questi anni e focalizzeremo almeno un paio di macro-sfide che gli si stanno parando dinnanzi.

In molte occasioni ci chiedono, dalla prospettiva di osservazione di un giornale come ZeroUno che, in Italia, è indubbiamente il punto di riferimento per la figura del CIO, come stia cambiando l’informatica nell’impresa e qual è il ruolo che le persone che compongono l’IT si trovano a giocare oggi. Senza ombra di dubbio, dai numerosi incontri, casi utente, confronti che abbiamo giornalmente con la comunità IT delle imprese, si può affermare con certezza che un passaggio importante è stato compiuto. Tre-quattro anni fa l’evoluzione del CIO verso una sua maggiore capacità di incidere, attraverso servizi e applicazioni, sull’organizzazione aziendale in un’ottica di miglioramento del business, era, per i più, un esercizio culturale, una cosa di cui, a livello di dibattito, era il caso di conoscere. Ma certamente il focus era soprattutto di governance del sistema informativo fine a se stessa; in pratica l’attenzione alle caratteristiche prestazionali, funzionali dei sistemi e delle architetture assorbivano interamente gli sforzi (finanziari, professionali e culturali) dei CIO che dietro la necessità di governare la complessità e far funzionare tutto bene, trovavano certezze e risposte alla loro “forma mentis” di tipo tecnologico. Anzi: che il rapporto, per tempo e investimenti dedicati, tra progetti di mantenimento dell’IT e nuovi sviluppi fosse 80%-20% non li preoccupava più di tanto. Anche perché il 20% spesso era finalizzato a migliorare la capacità di governo e semplificazione della complessità, con una quasi sconosciuta sensibilità verso quella che, negli ultimi tre ani, è stata invece una vera e propria rivoluzione: dare all’IT quella capacità di offrire risposte allineate alle esigenze operative degli utenti aziendali; sapere dialogare con loro per capirne le necessità ed erogare servizi che dessero efficienza ed efficacia; bussare alle porte del top management per riuscire, attraverso una misurabilità di risultati, a garantire quell’attuazione di strategie di business che il CIO deve conoscere per investire in modo efficace soldi e competenze sul fronte delle architetture e delle persone. Bene tutto questo, nel giro di pochi anni è diventato patrimonio culturale acquisito dei CIO italiani. Che poi nelle diverse realtà aziendali sia già oggi possibile attuarlo, è un altro discorso. Ma certo questa modalità operativa è il riferimento professionale primario. L’IT governance diventa finalmente una disciplina non più in larga parte fine a se stessa ma attuata allo scopo di rendere flessibile e più semplice la capacità di risposta di servizi e applicazioni davvero utili a reggere il modello competitivo aziendale, e se possibile a svilupparlo ulteriormente. Ci sembra una grande conquista. Tornando all’inchiesta accennata in apertura, troviamo una conferma a quanto diciamo. Due anni fa, nel 2006, la ricerca rilevava come i CIO segnalassero una incomprensione da parte del management a cogliere le potenzialità di trasformazione della tecnologia sul piano del business; lo scorso anno, invece, la ricerca rileva, dalle risposte dei CIO, un cambiamento forte sotto questo profilo. Il management riconosce ormai la centralità tecnologica come strumento di innovazione e trasformazione sul piano del vantaggio competitivo aziendale. Sempre più CIO, continua la ricerca, si  stano sedendo al tavolo degli executive di impresa. Già, e ora?
Sedersi all’“executive table” è evidentemente per il CIO un punto di partenza, non di arrivo. Segnaliamo sempre dalla ricerca, sfrondando una serie di dati percentuali a conferma, alcuni fenomeni che derivano da questa assunzione di responsabilità, nonché un paio di impegnativi scenari di cambiamento sui quali il CIO dovrà seriamente “metterci la testa”.
Il primo punto riguarda la difficoltà di poter diffondere adeguatamente l’innovazione It nelle Lob (line of business). L’interazione, i modelli di relazione, gli impatti sulla struttura IT che deve diventare pronta a recepire le diverse istanze e trasformarle, all’interno della propria organizzazione, in risposte/servizi che siano efficaci (e utilizzati) dagli utenti, non è davvero cosa facile, rileva il Rapporto. Inoltre, altra sfida da sostenere, l’azienda non è una cattedrale nel deserto, ma è integrata in un sistema di relazioni che vede i partner esterni come elementi strategici della capacità competitiva dell’azienda stessa. In questo senso il lavoro da svolgere è ancora notevole. Solo il 10% delle risposte afferma infatti di applicare l’IT in modo esteso per migliorare il livello di integrazione tra azienda e partner. Fermiamoci subito per focalizzare queste criticità.
Nel primo caso, quello cioè in cui il CIO deve saper interagire con le Line of Business e poi con il top management, uno dei punti più delicati risiede nella difficoltà di dimostrare (di misurare) l’effettivo contributo che l’IT può dare a iniziative di crescita e a innovazioni sui modelli, prodotti e servizi, diventando effettivamente un‘infrastruttura centralizzata e condivisa di servizi utili all’impresa. Questo ruolo strategico, bisogna ricordare, passa necessariamente dalla capacità del CIO e delle sue persone di saper diventare “profondi conoscitori” dei processi di business, individuando i processi core dell’azienda e aggiungendovi valore attraverso l’erogazione di servizi IT pensati in funzione di una reale dialettica con gli utenti delle lob.
Non è un lavoro semplice. Ci vuole organizzazione, strumenti e cultura che non si costruiscono in poco tempo.
Nel secondo caso, quello che riguarda la capacità di rendere pervasiva ai partner l’IT aziendale, in modo da disegnare un ambiente sempre più integrato, il CIO…deve leggere la nostra Storia di Copertina. Stiamo infatti parlando della grande sfida che si sta parando dinanzi alle imprese e che va sotto il nome di Enterprise 2.0. Crediamo che estendere l’IT ai partner non sia sufficiente. È l’impresa che deve diventare permeabile ai partner, ai consumatori, agli stessi propri dipendenti nell’offrire utilizzi e interazioni che la nuova Internet sta già offrendo. Il confronto con le community, tanto sbandierato soltanto un paio di anni fa, sta diventando per molte imprese, un’estensione dei propri processi di Scm o di Crm. Gli impatti sono notevoli nel marketing, nella ricerca, nella possibilità di rendere “partecipative” (consumatori, partner, fornitori) quelle entità che pochi anni fa era molto più complesso integrare nell’organizzazione e nei processi aziendali. Nascondersi dietro questioni di sicurezza o di difficoltà di integrazione tecnologica, significa rifuggire il problema. Significa non dare il giusto peso ad un cambiamento nei modelli di fruibilità della tecnologia che deriva dall’emergere di forti esigenze di relazione, confronto, collaborazione provenienti dalla società e che inevitabilmente “esonderanno” in forma massiccia nella sfera lavorativa nei prossimi anni, andando a modificare (complementare, evolvere) i modelli organizzativi e di lavoro delle imprese e delle persone che le compongono. Sempre più rapidamente Enterprise 2.0 sta diventando da oggetto di dibattito a sperimentazione, ad attuazione anche presso le aziende. Forrester Research, in un suo recentissimo report prevede che gli investimenti delle grandi aziende europee, americane e dell’area Asia-Pacific in tecnologie Web 2.0 (social networking, RSS, blog, wiki, mashup, podcasting e widget) aumenteranno, nei prossimi cinque anni, del 43% l’anno, per raggiungere i 4.6 miliardi di dollari a livello globale nel 2013. E come sempre avvenuto in passato, chi proverà, pur con qualche rischio, ad innovare avrà più carte per vincere la sfida o quantomeno restare nel gruppo dei leader.
Tanti auguri CIO. Tocca a te.

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