Portare il dato a disposizione di tutti

Dare la possibilità, non solo formale, di analizzare i dati pertinenti alla propria funzione, mettendo non solo a disposizione il dato ma anche fornendo strumenti che permettano indipendenza dall’It o dal Data Scientist per tutte le figure aziendali. È quanto afferma Rosagrazia Bombini, Vp & Managing Director per l’Italia di Qlik

Pubblicato il 23 Ott 2014

Uno dei risvolti più significativi della rivoluzione digitale sta nell’opportunità per le aziende di avere una conoscenza più profonda del cliente e di poter comprendere meglio le dinamiche che portano alla scelta del prodotto/servizio. Da questo punto di vista si aprono scenari assolutamente nuovi in termini di competitività creata attraverso la differenziazione e una proposizione d’offerta che indirizzi in maniera puntuale le esigenze di uno o più segmenti di mercato. “Perché ciò avvenga e il valore di queste informazioni venga sfruttato, è necessario che nelle organizzazioni si attui la democratizzazione del dato”, fa notare Rosagrazia Bombini, Vp & Managing Director per l’Italia di Qlik. “A tutti deve essere data la possibilità, non solo formale, di analizzare i dati pertinenti alla propria funzione, il che si traduce non solo nel mettere a disposizione il dato, ma fornire anche strumenti che permettano indipendenza dall’It o dal Data Scientist nella fase di analisi libera. Fino a che sarà necessario fare riferimento a capacità informatiche avanzate per rispondere alle esigenze quotidiane di analisi dei dati, l’It non potrà che risultare il collo di bottiglia in questo processo e il coinvolgimento operativo distoglierà risorse importanti da ambiti strategici”.

Rosagrazia Bombini, Vp & Managing Director per l’Italia di Qlik

Certo è che un tale cambio di approccio richiede revisioni organizzative, strutturali e di competenze non indifferenti. “Dal punto di vista organizzativo sono due le aree piu importanti su cui agire”, afferma Bombini. “In prima battuta è indispensabile restituire all’It quel ruolo strategico che è stato eroso negli anni dalla trasformazione in commodity di gran parte dei servizi offerti. L’avvento del cloud, delle applicazioni in SaaS hanno in alcune occasioni relegato l’It a mero esecutore di processi non ancora standardizzati e strutturati o a semplice gestore delle architetture base. Il Cio dovrebbe elevarsi, tornare nei board e spingere davvero l’innovazione. In quest’ottica gli investimenti It devono essere consistenti, volti a una accelerazione piuttosto che limitati e focalizzati al mantenimento di quanto attualmente disponibile. L’altra area molto coinvolta in questo processo è quella delle Risorse Umane. È importante inquadrare l’innovazione come costante nella cultura aziendale. Serve che l’intera organizzazione sia sempre pronta a ridefinirsi, senza che sia costretta ogni volta ad affrontare una resistenza al cambiamento che sappiamo essere reazione naturale. Un’azienda che sappia mantenersi fluida, pronta ad assumere la forma del mercato piuttosto che cercare di dare al mercato la propria forma, sarà un’azienda vincente nel breve e nel lungo periodo”.
Entrando nel merito dei processi di cambiamento, Bombini sottolinea però come, da un lato, “l’It deve attenersi anche all’idea che non tutti i progetti possono essere affrontati in maniera strutturata perché un tempo di implementazione lungo annulla i vantaggi strategici che il progetto mira a conseguire. Da questo punto di vista anche la parte di infrastrutture e quella delle architetture dati dovrebbero implementare quelle metodologie agili già largamente diffuse nell’ambito dello sviluppo software”.
Indiscutibile, anche nella visione di Qlik, la necessità di intervenire sul piano delle competenze. “L’informazione, nella sua accezione più ampia, rappresenta il collante più forte di collaborazioni, partnership e in alcuni casi integrazioni di successo”, spiega meglio Bombini. “Gli Open Data rappresentano un esempio significativo di come organizzazioni diverse possano trarre mutuo beneficio dalla condivisione di dati. Ciò nonostante, oggi si riscontra ancora troppo spesso una mancanza di competenza nella gestione dell’informazione e si assiste a una sorta di protezione indiscriminata del dato, senza una effettiva valutazione del fatto che questo sia sensibile (e in quale misura) o meno. In questo senso – conclude Bombini – gli elementi chiave per uno sviluppo significativo nella collaborazione tra entità diverse, dentro e fuori l’organizzazione, ruotano attorno all’acquisizione di competenze nel trattamento del dato e a un’auspicata semplificazione dell’apparato normativo a protezione della privacy, che oggi risulta spesso estremamente complesso, senza neppure essere sempre efficace”.

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