Piano d’azione alla prova dei fatti

Pubblicato il 02 Apr 2005

A salutare il tanto sospirato "Piano d’azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale", approvato dal Governo lo scorso 11 marzo, "sulla soglia di casa" si è presentata Bankitalia, la quale, pur plaudendo alle misure nel suo complesso messe a punto dall’esecutivo e finalizzate a dare maggiore competitività al Paese, ha rimarcato impietosamente un dato: dal 2000 ad oggi il nostro Paese ha perso il 25% di competitività. Si tratta di una percentuale che emerge dai diversi indicatori usati da Banca d’Italia per misurare la competitività italiana in rapporto allo stato di evoluzione economico-competitiva di altre nazioni.

L’economia nazionale e le imprese che di essa fanno parte si trovano oggi quindi fortemente penalizzate, se è vero che ci si attende ancora per l’Italia, a fine 2005, un Pil tra l’1,1 e l’1,3%, inferiore all’1,6% stimato dalla Bce per l’area euro. E anche il made in Italy si trova ormai stabilmente sotto pressione e al centro di un profondo ripensamento nei propri modelli produttivi e di efficacia di proposta sui mercati internazionali. Lo si rileva guardando a un contesto estero che lo scorso anno è stato molto dinamico (l’apertura decisa di nuovi mercati di sbocco ha portato l’economia mondiale ai maggiori tassi di crescita degli ultimi 20 anni), mentre la quota delle merci italiane sullo scenario globale è scesa dal 3,1% al 2,9%.

E si potrebbe proseguire ancora se non fosse giunto sulla complicata scena economica italiana il tanto auspicato (soprattutto da Confindustria) Piano per lo sviluppo della competitività.

L’abbiamo ovviamente letto e, come vedremo tra breve, certo ci sono accenni interessanti in termini di priorità di investimenti in aree cruciali per un rilancio della capacità competitiva italiana. Partiamo però da una considerazione generale. Tutti noi, che viviamo in Italia, abbiamo assistito, letto, sentito di questo Piano. La prima domanda che facciamo è la seguente: tra dibattiti politici, tentazioni di introduzione di dazi, illustrazioni di prospettive di intervento, quante volte avete sentito affrontare il tema della competitività di impresa anche attraverso un utilizzo delle tecnologie Ict?

Certo ci sono differenti punti di intervento per il rilancio economico e competitivo nazionale. Ciò che dalla nostra prospettiva da sempre ci sforziamo però di immaginare è una piattaforma, una visione infrastrutturale e politica del rilancio che non passi soltanto da defiscalizzazioni, risanamenti strutturali o politiche di risparmio, ma si possa costruire un disegno competitivo per il Paese sul ruolo trainante della tecnologia Ict, e quindi che questa possa essere fattivamente introdotta e facilitata nel suo utilizzo presso l’intera società, imprese, istruzione, trasporti, sanità, amministrazioni, banche. Questo disegno generale, orientato ad una digital society (così come nelle indicazioni Ue formulate qualche anno fa a Lisbona) non l’abbiamo colto in questo "Action Plan".

Ma vogliamo essere costruttivi e non emettere giudizi "tranchant" anche a fronte di una lettura del Piano che necessariamente richiederà ulteriori approfondimenti.

Tra le pieghe del Piano si focalizzano azioni di intervento interessanti attraverso l’individuazione di quote da destinare al "sostegno di attività, programmi e progetti strategici di ricerca e sviluppo delle imprese, da realizzare anche congiuntamente a soggetti della ricerca pubblica", mentre ai fini dell’individuazione degli interventi ammessi al finanziamento sono considerati ad alta priorità "interventi finalizzati ad innovazioni, attraverso le tecnologie digitali, di prodotti, servizi e processi aziendali su proposta del Ministro per l’innovazione e le tecnologie, di concerto con il Ministro delle attività produttive".

Ancora in priorità elevata troviamo la realizzazione di "programmi strategici di ricerca, che devono coinvolgere imprese, università ed enti pubblici di ricerca a sostegno sia della produttività di settori industriali a maggiore capacità di esportazione o ad alto contenuto tecnologico, sia della attrazione di investimenti dall’estero". Bisognerà "favorire la realizzazione o il potenziamento dei distretti tecnologici, da sostenere congiuntamente con le Regioni e gli altri enti nazionali e territoriali; stimolare la ricerca delle imprese, nello specifico le Pmi, per il sostegno di progetti di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo proposti dalle imprese stesse". Infine, si continua a leggere nel Piano, "riservare quote ad iniziative imprenditoriali ad alto contenuto tecnologico" e, sempre previsto dal decreto, "favorire il trasferimento tecnologico e l’innovazione nei distretti produttivi e tecnologici".

Non c’era da dubitarne. L’oggettiva complessità della materia (stiamo parlando di misure per ridare slancio e competitività ad un paese!) ha partorito un Piano che necessariamente deve occuparsi di tutto: dal sostegno all’internazionalizzazione del sistema produttivo, attraverso un rafforzamento del sistema doganale, a snellimenti nelle forme di costituzione di impresa, a incentivazioni per la Pmi, a interventi di sostegno all’attività produttiva. Non poteva essere escluso un ruolo anche delle tecnologie. Il nostro convincimento, che ribadiamo con forza, è che soltanto diffusi investimenti e utilizzi delle tecnologie Ict rappresenterebbero la base indispensabile per una piena attuazione di molte di queste azioni individuate come prioritarie per il rilancio. Inoltre, in termini molto più disincantati e prosaici, attendiamo di sapere quanto segue, per evitare che il suddetto Piano sia un’incompiuta, un insieme di belle intenzioni, semplici enunciazioni o peggio ancora desideri: quanti soldi ci sono da spendere? Come fare a rendere operativo tutto questo? Attraverso quali sistemi di coordinamento Governo-Regioni-Comuni? Come si integra il Piano con quanto definito a livello comunitario?

Il Governo sa bene che con le prossime regionali (quando leggerete questo editoriale saranno già passate) si dà ufficialmente il via alla campagna elettorale per le politiche 2006. E proprio di un periodo "ad elevato rischio-demagogia" è ciò di cui ha più timore Confindustria, giustamente se si pensa ai cambiamenti in atto nell’economia mondiale e alla perdita di opportunità che la mancanza di una visione integrata ed efficace, sul piano del supporto infrastrutturale a livello di Paese, può causare alle imprese. Se si saprà trasformare questo Piano davvero in un "Action Plan", un piano di azione che venga attuato nel merito e che porti risultati concreti e misurabili in termini di crescita economica, innovazione e competitività del Paese, allora sarà un formidabile biglietto di presentazione per la corsa elettorale. Se le speranze saranno invece deluse, prima ancora che un problema di governo, avremo il problema di un Paese in piena crisi di identità, piccola nazione tra giganti che corrono. La sfida, quindi, non è solo politica, ma sociale, economica e di prospettiva.

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