“L’Italia si salva con austerità, crescita e soprattutto rispetto delle regole”

Il Politecnico di Milano ha chiesto a Roger Abravanel, uno dei suoi allievi più illustri, una ‘ricetta’ per far uscire il nostro Paese dall’attuale crisi economica: “Il mito del ‘piccolo è bello’ produce solo danni”.

Pubblicato il 28 Mar 2012

Conciliare austerità e crescita è l’arduo compito dell’Italia, e per approfondire il tema il Politecnico di Milano ha chiesto una ‘lectio magistralis’ a Roger Abravanel, uno dei suoi allievi più illustri: per 35 anni in McKinsey, di cui è stato anche Principal e Director, oggi è advisor di private equity, scrittore ed editorialista del Corriere della Sera.

“È un errore imporre il pareggio di bilancio nel 2013: l’austerità senza crescita non ha senso”, osserva Abravanel. L’Italia però cresce poco da decenni, “per cui la strada migliore sarebbe definire un piano credibile pluriennale per ripagare il debito gradualmente, dando spazio anche a misure per la crescita”.

Questo piano per Abravanel dovrebbe avere tre fasi: ‘terapia shock’, ‘big bang’ per progettare il futuro, e costruzione di una cultura del merito e delle regole. La prima dovrebbe comprendere misure per congelare le pensioni d’anzianità, combattere seriamente l’evasione fiscale, ridurre sussidi alle imprese e costi dello Stato, e una ‘mini-patrimoniale’. “Alzare l’età minima per la pensione a 65 anni farebbe risparmiare 40 miliardi di euro l’anno, e produrrebbe lo 0,5-1% di crescita annua”. Quanto all’evasione fiscale, “solo recuperarne il 20% significherebbe 24 miliardi all’anno: cominciamo per esempio a concentrarci sui 10mila maggiori evasori, anziché sui soliti mille”.

La seconda fase ‘Big Bang’ dovrebbe poi comprendere un nuovo quadro normativo per il mercato del lavoro (“più flessibilità in uscita, ma anche formazione per chi resta disoccupato”) e i servizi pubblici locali, liberalizzazioni di servizi e professioni, grandi progetti per il settore turismo, e una riforma della giustizia civile, “che ne riduca i tempi inaccettabili”.

Un punto di partenza, spiega Abravanel, è la rinuncia al mito del ‘piccolo è bello’, che in Italia produce molti danni, dal gran numero di aziende troppo piccole, spinte dalla bassa produttività a evadere le tasse, ai localismi che fiaccano gli sforzi a livello nazionale e globale. “Abbiamo pochissime grandi imprese, molti settori sono troppo frammentati: nel turismo in Italia solo il 6% degli esercizi fa parte di catene alberghiere, in Usa il 69%. Nelle costruzioni il 64% delle imprese ha meno di 10 addetti. Questo penalizza la competitività creando un circolo vizioso di disprezzo delle regole”.

Disprezzo delle regole che per Abravanel è l’origine dei problemi dell’Italia: “porta all’evasione, ai condoni, alla conflittualità, alla scarsità di investimenti dall’estero, e alla situazione drammatica di fine 2011: rispettare le regole non è solo etico, è conveniente”. Da qui la terza fase di creazione di una cultura del merito e delle regole, tema su cui Abravanel ha scritto due libri: ‘Meritocrazia’ (2008) e ‘Regole’ (2010). “Occorre far emergere scuole e Università d’eccellenza anche per manager pubblici, rendere i media più indipendenti, a partire dalla Rai, imporre un sistema di valori che premi l’eccellenza sempre: oggi il 90% degli studenti italiani pensa che una buona raccomandazione sia più importante del voto di laurea”.

E quando parla di meritocrazia nell’economia italiana, Abravanel non tralascia l’aspetto dell’innovazione tecnologica. “Servirebbe una revisione critica dei fondi che lo Stato oggi spende per stimolare questo tipo di innovazione e che spesso finiscono col sussidiare imprese poco competitive in settori a bassa tecnologia – scrive nel suo sito www.meritocrazia.com – . I fondi andrebbero riallocati alle poche Università pubbliche eccellenti secondo il loro merito e non come avviene oggi “a pioggia” tra un centinaio di “aspiranti Mit” che però non hanno prodotto una sola presenza nella classifica dei 10 atenei di eccellenza”.

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