L’innovazione ICT e il ruolo “ever changing” del CIO: le indicazioni della community Finaki

La rivoluzione digitale è il tema sul quale la Community Finaki si è focalizzata nel 2014: una sfida a tutti i livelli che chiama in gioco, oltre alla capacità e alla volontà di innovazione proprie o meno del dna aziendale, anche i livelli di conoscenza e la relazione fra persone che, molto di più che in passato, sono singolarmente al centro di questa rivoluzione. Nell’editoriale del 1° Quaderno CIO Conversations 2014, realizzato nell’ambito del Progetto Finaki-ZeroUno-NetConsulting che da tre anni supporta la Community, una sintesi delle principali indicazioni emerse durante i lavori del tradizionale evento di giugno

Pubblicato il 08 Ott 2014

Da sinistra: Giorgio Bongiorno, Delegato Finaki in Italia, Giancarlo Capitani, Presidente e Amministratore Delegato NetCosulting, Stefano Uberti Foppa, Direttore di ZeroUno

La rivoluzione digitale è il tema sul quale la Community Finaki si è focalizzata quest’anno nel corso del tradizionale incontro di Taormina (26-29 giugno) e nell’ambito del Progetto Finaki-ZeroUno-NetConsulting che da tre anni supporta la Community nel confronto sui temi identificati. Anche quest’anno, quindi, pubblichiamo 3 Quaderni Cio Conversations (allegati a questo numero di ZeroUno e a quelli di novembre e dicembre) nei quali diamo un resoconto di quanto emerso nelle survey, nelle Tavole Rotonde organizzate prima e dopo l’evento di Taormina, nonché dei Workshop che hanno visto Cio ed esponenti dell’offerta confrontarsi sul tema della digitalizzazione pervasiva della società. Siamo tutti coinvolti nel pieno di questo fenomeno che, alla maniera dello tsunami, travolge la realtà socio-economica del Paese e insieme va a contaminare (positivamente o meno) il contesto di mercato in cui si muove l’azienda, pubblica o privata che sia e, all’interno dell’azienda, l’equilibrio dei ruoli tradizionali.
Si tratta di una sfida a tutti i livelli che chiama in gioco, oltre alla capacità e alla volontà di innovazione proprie o meno del dna aziendale, anche i livelli di conoscenza e la relazione fra persone che, molto di più che in passato, sono singolarmente al centro di questa rivoluzione. La conoscenza, prima collocata nei contenitori tradizionali aziendali, è stata oggetto di una espansione abnorme che da una parte ne ha ampliato le frontiere creando una serie di nuove opportunità di mercato e di crescita e dall’altra ovviamente notevoli squilibri strutturali, sconvolgendo il contesto organizzativo secondo cui le strategie competitive venivano in passato concepite. Secondo l’Ocse l’innovazione viene definita come la capacità di gestire le conoscenze al fine di generare vantaggi competitivi attraverso la produzione di nuovi beni, processi, sistemi organizzativi e servizi. Il mondo si trova di fronte a un certo numero (sempre crescente) di forze convergenti, il cui controllo e la cui “manovrabilità” e agibilità rappresentano la sfida fondamentale che oggi i Cio si trovano a fronteggiare: mobilità diffusa, IoT, cloud computing, Social Networks, crowdsourcing, Byod ecc. Una decentralizzazione talmente spinta a tutti i livelli che crea una giungla artificiale per coloro che poi devono raggiungere precisi obiettivi che per forza di cose devono condividere e riassumere tutti questi contributi per operare scelte, decisioni e azioni.
Questa moda e smania di connessione, che indubbiamente spesso facilita e snellisce molte delle procedure tradizionali, diviene a poco a poco uno stile di vita e si trasforma in un’abitudine oltre che in una necessità sociale. Prescindere quindi dai nuovi driver imposti dal contesto di mercato diventa anche controproducente e alla fine rischia di isolare l’azienda.
Sono necessarie quindi misure di standardizzazione e nuovi skill che possano aiutare l’azienda a dominare il fenomeno e trarne tutti gli aspetti positivi e i vantaggi senza dovere andare incontro a rischi infrastrutturali e a complessità di varia natura, oltre a problemi di sicurezza e integrità dei dati sempre maggiori e spesso imprevedibili. Il fatto di aumentare i gradi di libertà nell’utilizzo di App da parte del personale, se da una parte può portare un arricchimento e una facilitazione allo svolgimento del lavoro, dall’altra può essere veicolo di squilibrio nelle reti aziendali oltre che possibile sorgente di infezioni sicuramente dannose.
Qual è la soluzione che dovrebbe essere adottata? Evidente il pericolo di perdita di dati, di violazioni della privacy, di inefficienze operative nei processi aziendali, di impatti negativi sui rapporti fra divisioni e reparti di una stessa azienda, e di impatti altrettanto negativi sulla produttività aziendale. Solo attraverso una continua analisi e un attento monitoraggio delle applicazioni utilizzate dal personale è possibile per l’azienda operare un adeguato controllo di tutti quei rischi che un impiego troppo libero di queste applicazioni potrebbe causare.
La sfida intrinseca alla realtà aziendale è poi quella di una estensione forzata del mondo digitale e delle sue prorompenti problematiche a tutte le strutture di business. Giocoforza, quindi, una osmosi quasi di tipo sociale della tradizionale struttura informatica con tutte le implicazioni che questa trasformazione sottende. Occorre che ciascuno non solo comprenda, ma interpreti in tutte le sue valenze e soprattutto professionalmente il senso di questa connessione sia interna sia esterna che giunge a “sconvolgere” tutte le certezze del passato.
Necessarie quindi nuove professionalità dal lato business, più orientate allo strumento digitale e dal lato Ict più orientate a quello che tradizionalmente veniva indicato come “allineamento al business”.
Il nuovo ecosistema risulterà così composto (inevitabilmente) da una serie di stakeholder, ciascuno funzione e risultato della comunicazione e della integrazione interna all’azienda ed esterna alla stessa, fino all’utente finale che diviene ufficialmente, e non più solo come esigenza di marketing, parte non insignificante della connected community.
Diventa quindi necessario valutare a livello aziendale il modello organizzativo più efficace per:

  • attribuire la corretta responsabilità progettuale e decisionale tra Responsabile Digital Business e Cio;
  • valutare l’orizzonte temporale dei progetti digital: sia di quelli grandi a medio/lungo termine sia dei piccoli progetti tattici a veloce realizzazione;
  • valorizzare competenze e skill digitali presenti in azienda e aprire alla contaminazione con l’ecosistema esterno.

Come sempre, la Community Finaki ha concluso i lavori individando i prossimi step per una attuazione breve ed efficace, nei vari settori, della rivoluzione digitale:

  1. posizionare correttamente organizzazione e skill in modo che il Cio diventi sempre di più un uomo del Business;
  2. favorire la contaminazione delle competenze (cross fertilization) anche da startup, idea generation (esterne) e idea management (interne), crowdsourcing;
  3. ripensare a organizzazione e modello distributivo per prepararsi a scenari indotti da normative presenti e future europee;
  4. ridisegnare le architetture mediando tra un approccio innovativo e un approccio conservativo rispetto ai vincoli del legacy;
  5. investire in una governance dell’innovazione pubblica (Agid, Tavolo permanente sull’innovazione, tavoli europei di evoluzione strategica, indicatori e metriche);
  6. definire un codice degli Appalti per l’Ict: vendor rating, dialogo competitivo, criteri di valorizzazione delle “best practice” e di attrazione degli investimenti, supporto/centri di competenza in UE;
  7. definire livelli di servizio come strumenti per la misura della qualità erogata;
  8. attuare delle verifiche “ex post“ sulla qualità valutata in fase di aggiudicazione dell’offerta tramite indicatori misurabili;
  9. puntare a una qualificazione delle competenze digitali nella Pa in linea con le direttive europee;
  10. far partire quanto prima il servizio di Agid di emanazione dei pareri di interpretazione della normativa Ict;
  11. creare un efficiente ecosistema per l’Innovazione;
  12. costruire un nuovo rapporto It e Business;
  13. definire insieme al business una roadmap di sviluppo di prodotti e servizi che comprenda e privilegi il Digital;
  14. introdurre nuove competenze secondo un mix bilanciato: Strategiche, Creative (Agenzie Digitali), di Comunicazione, di Digital Marketing;
  15. creare e valorizzare profili quali: Digital Business Architect, Data Scientist, User Experience expert;
  16. adottare scelte architetturali per preparare l’environment tecnologico Ict in modo che possa più facilmente supportare e integrare la digitalizzazione;
  17. dedicare tempo alla relazione personale con i propri peers / decision makers in azienda in modo da rendere efficace la contaminazione;
  18. definire a livello preventivo come riservare risorse all’innovazione;
  19. portare a bordo nuovi skill e ruoli necessari alla diversa impostazione del comparto It;
  20. abolire i “progettini” e concentrarsi sui progetti di alta visibilità;
  21. avere un approccio agli investimenti digitali decisamente meno Risk Adverse;
  22. distaccare una “scialuppa”, dall’interno della propria struttura organizzativa, per accelerare l’acquisizione delle nuove competenze che il Digital richiede e per contaminare poi il resto del team;
  23. investire nelle relazioni interaziendali, recuperando tempo e risorse dalla gestione operativa dell’It che deve essere delegata (“industrializzata”) a un team autonomo ed efficiente;
  24. acquisire maggiore sensibilità e capacità di ascolto del cliente finale (dell’azienda) e del business in generale;
  25. incentivare la cooperazione fra istituzioni e imprese nazionali;
  26. definire normative mirate alla defiscalizzazione e incentivazione degli investimenti nella sicurezza Ict;
  27. cooperazione degli operatori di Tlc e diffusione di una reale identità digitale unica fra Pubblico e Privato;
  28. investimento nella formazione agli addetti ai lavori It;
  29. diffusione della conoscenza delle opportunità e dei rischi su cittadini e imprese;
  30. rafforzare la cooperazione internazionale;
  31. investire in proprio per sopperire alla carenza di funding per startup;
  32. cambiare le modalità di accredito delle startup presso grandi aziende e fornitori interessati ai loro servizi/prodotti;
  33. favorire sempre più l’incontro tra l’industria e le startup;
  34. identificare un numero limitato di persone da dedicare all’innovazione senza necessariamente essere sostenute da un preventivo business case;
  35. attivare canali virtuosi con Istituti e strutture formativi per creare una catena di valore;
  36. creare valore sul capitale umano, preservando gli skill e sviluppandone di nuovi sull’IoT.

Sono 36 punti, sui quali vi invitiamo a riflettere per capire in quali vi riconoscete, su quali ritenete di poter agire, quali vi sembrano irraggiungibili!

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