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Le cripto rallentano la corsa degli USA verso il Net Zero. Nuove misure in arrivo

L’estrazione di criptovalute minaccia di far fallire gli Stati Uniti nel loro obiettivo ambientale dichiarato urbi et orbi: net zero entro il 2050. I numeri del nuovo rapporto stilato dall’OSTP sui consumi energetici e la carbon footprint del settore mettono in guardia la Casa Bianca. In arrivo nuove misure e la chiara richiesta di trasparenza sui dati per comprendere ancora meglio responsabili, contributi e limitazioni da imporre.

Pubblicato il 20 Set 2022

cryptovalute

I costi energetici del mining di criptovalute negli USA sono troppo elevati. Troppo per la crisi energetica, ma anche per gli ambiziosi obiettivi che la Casa Bianca si è posta in termini di cambiamento climatico: azzerare le emissioni di carbonio entro il 2050 e dimezzarle rispetto al 2005 entro il 2030. Ad affermarlo non sono gruppi di attivisti ambientali, ma il rapporto “Climate and Energy Implications of Crypto-assets in USA” stilato dall’Office of Science and Technology Policy (OSTP) consultabile liberamente qui. Il documento, richiesto dal presidente Biden a marzo dopo la richiesta di un nuovo quadro normativo sulle criptovalute, contiene anche l’esplicita richiesta di “rapide azioni politiche”.

Mining cripto: stesso consumo energetico di tutti i data center del mondo

Secondo gli autori, l’estrazione di cripto produce emissioni principalmente bruciando carbone, gas naturale e altri combustibili fossili per generare elettricità. A livello globale il contributo di questo settore si assesta tra lo 0,4% e lo 0,9% delle emissioni totali, per i soli Stati Uniti si sale tra lo 0,9% e l’1,7%. L’inquinamento da carbonio prodotto quest’anno potrebbe raggiungere le 170 milioni di tonnellate, di cui circa 50 sarebbero “made in USA”. A questo vanno aggiunti anche i rifiuti elettronici: i computer e le infrastrutture da smaltire una volta fuori uso o poco performanti.

Per rendere meglio l’idea del ruolo che il mondo delle criptovalute gioca nella sfida contro il climate change, il rapporto si sbizzarrisce con paragoni di diverso genere che aprono la strada degli amministratori locali e nazionali a numerosi ragionamenti. Secondo l’OSTP, il settore emette la stessa quantità di CO2 delle operazioni ferroviarie alimentate a gasolio in tutti gli Stati Uniti e consuma la stessa energia di tutti i computer di casa o tutta l’illuminazione residenziale, o – paragone più che mai pungente – di tutti i data center del mondo.

Precisando che si tratta di numeri relativi solo a Bitcoin ed Ethereum (che coprono oltre il 60% della quota di mercato) il rapporto ricorda anche altri tipi di impatto ambientale da essi attualmente influenzati. Inquinamento acustico, disturbo degli ecosistemi naturali e problemi di giustizia ambientale in quelle comunità vicine a chi svolge tale tipo di attività.

Nuove regole in arrivo ma servono dati e trasparenza

Negli ultimi anni il mining è diventato più efficiente, ma l’aumento continuo dei blocchi di blockchain non lo rende ancora sostenibile. Per fare le dovute differenze tra meccanismi e logiche di estrazione di cripto e di approvvigionamento di energia, servono però più dati e più trasparenza. Oggi l’OSTP si è trovato infatti a dover fare in molti casi delle stime. Oltre ad escludere tutto il mercato dei più piccoli, ha dovuto immaginare il consumo energetico del Bitcoin considerando un aumento annuo di circa 52.560 blocchi a cui attribuire circa 1,7-2,7 milioni di kWh. Un calcolo non preciso, anche perché non considera le transazioni off-chain, spesso invece utilizzate nel settore.

Dopo l’appello sui dati energetici per una loro trasparente e tempestiva condivisione, l’OSTP ha spronato le agenzie governative a collaborare con stati e funzionari locali alla definizione di standard di prestazione ambientale da rivedere annualmente. L’idea sarebbe quella di misurare in modo regolare l’impatto sull’ambiente comprendendo l’intensità e la fonte dell’energia utilizzata, ma anche il contributo all’inquinamento acustico e allo spreco di acqua per poi capire come ottenere energia verde e controbilanciare.

Sconfina in ambito sicurezza il secondo alert che indaga l’impatto sull’affidabilità e sull’adeguatezza della rete energetica nazionale, potenzialmente in grado di provocare un aumento dei prezzi per i consumatori. Emergono diversi punti di vista. Gli estrattori ritengono di contribuire positivamente come consumatori di base in grado di spegnersi nei momenti di picco. Secondo la Casa Bianca, l’aumento del picco è invece spesso il motivo per cui la risposta alla domanda è necessaria e stabilirebbe incentivi disallineati tra minatori di cripto-asset e operatori di rete.

Affrontate questa e altre simili situazioni critiche, se le misure previste si riveleranno inefficaci si riserverà di “considerare una legislazione per limitare o eliminare l’uso di meccanismi di consenso ad alta intensità energetica per l’estrazione di cripto-asset”.

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