Insieme i per l’innovazione del sistema-italia

Per rilanciare la competitività delle piccole e medie imprese, e quindi della nostra economia, occorre saper fondere le peculiarità dei sistemi produttivi locali con le esigenze dei mercati globalizzati.Un compito certamente difficile, MA che si può affrontare ATTIVANDO sinergiE tra industria privata, governo e mondo accademico. Sul processo di unificazione sociale, culturale ed economico in corso, riportiamo inoltre la ‘visione’ emersa dall’intervento dell’ economista jeremy rifkin

Pubblicato il 02 Set 2004

Il calo dell’export italiano, passato dal 5% dell’esportazione mondiale negli anni novanta all’attuale 3,9%, rileva lo stato di difficoltà della nostra economia. Una diminuzione collegata all’abbassamento del grado di competitività dell’Italia, già riscontrabile nel ‘Global Competitiveness Report’, autorevole documento prodotto dal World Economic Forum (www.weforum.org) con la collaborazione di 102 istituti, tra cui la SDA Bocconi. Il rapporto, un riferimento importante per l’economia mondiale, identifica gli impedimenti alla crescita di un Paese e le strategie migliori da adottare in rapporto a tre ‘pilastri’: la stabilità dell’ambiente macroeconomico, il rigore delle Istituzioni pubbliche ed il progresso della tecnologia. In particolare, nell’edizione 2003-2004, il Growth Competitiveness Index, sviluppato dai professori Jeffrey Sachs e John McArthur, ha messo l’Italia al 41° posto nel ranking dei Paesi esaminati, facendola retrocedere di due posizioni rispetto al report dell’anno precedente. A queste problematiche è stato dedicato il convegno della 16° edizione del Premio Philip Morris per il Marketing (vedi riquadro), i cui relatori hanno proposto interessanti interpretazioni delle difficoltà economiche dell’Italia e presentato possibili modalità operative per incrementare lo sviluppo del Paese, applicabili in sinergia con il mondo accademico, l’industria ed il governo. Particolarmente incisiva la relazione di apertura di Riccardo Varaldo, direttore della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, nonché presidente del comitato scientifico del Premio stesso, che ha introdotto l’argomento della competitività del sistema produttivo italiano, focalizzando le piccole realtà imprenditoriali locali. Secondo Varaldo, l’Italia soffre più degli altri Paesi a causa d’inefficienze a lungo celate dalla svalutazione della lira: il processo di globalizzazione, poi, ha fatto emergere difetti strutturali ed organizzativi delle imprese, che ostacolano la valorizzazione delle risorse interne ed impediscono l’inserimento nella catena del valore. Anche la scarsa propensione ad investire nell’innovazione tecnologica è una delle cause del divario di efficienza dinamica e competitiva. Secondo un’indagine Eurostat, in Italia le società attive nell’innovazione sono solo il 36%, contro il 65% dell’Irlanda, frenate soprattutto da scarsità di fondi e carenza di personale qualificato.L’affermarsi di nuovi modelli di concorrenza, come quello dei Paesi emergenti che offrono prodotti a basso costo, ha certamente contribuito al declino produttivo nazionale. Criticità avvertite soprattutto dai sistemi locali delle piccole imprese, le cui risorse non consentono loro d’integrarsi facilmente nei mercati globali ed alimentano l’attuale stato di sofferenza. Per Varaldo questa situazione di crisi è superabile “affermando la specificità italiana su scala mondiale ed inventando un nuovo modo di fare impresa”; ad esempio, attivando nuovi profili organizzativi, come i network di scambio adottati dalle grandi imprese transnazionali, tra loro interconnesse e “senza patria”, in quanto non legate al territorio.

La sfida della ‘glocalization’
L’integrazione tra il localismo produttivo e la globalizzazione dei mercati sembra porsi come l’innovazione più rilevante da attuare, una sfida che impone la gestione di cambiamenti difficili e l’implementazione di nuove strategie. Varaldo ha concluso l’intervento proponendo un articolato programma basato su “innovazione, difesa della proprietà intellettuale, investimenti di marketing”, dove “le economie locali dovranno sempre più caratterizzarsi oltre che come poli di eccellenza produttiva, anche come poli di eccellenza innovativa e di eccellenza di marketing e di presidio dei mercati (…) per fronteggiare non tanto problemi congiunturali, quanto piuttosto ritardi strutturali, a livello delle imprese, del business environment e del sistema Paese”. Importante dunque il ruolo delle Pmi, delle quali diventa necessario valorizzare le iniziative locali con adeguate politiche di sviluppo atte a favorirne l’integrazione nella realtà economica nazionale.
Dalle testimonianze dei rappresentanti aziendali presenti al convegno, è emerso che l’auspicata sinergia tra la visione locale e quella globale è sicuramente possibile quando la produzione è relativa ad un bene materiale, mentre se l’offerta è di un servizio risulta improponibile individuare un “destinatario globale” cui fare riferimento. Inoltre, nel valutare gli effetti seguiti alle innovazioni già effettuate, si è riscontrato un notevole miglioramento nella qualità della produzione e, in alcuni casi, la scoperta di nuove nicchie di mercato che hanno determinato un netto incremento nelle performance economiche. Per rimanere competitive nel mercato globale, però, viene ritenuto fondamentale il supporto dello Stato, soprattutto quando risulta ancora poco sviluppata la cultura di un Sistema Italia, che, come ha affermato Paolo Vitelli, presidente di Azimut-Benetti, uno degli imprenditori intervenuti al convegno, “presto dovrà diventare il Sistema Europa”.
Del processo di unificazione sociale, economico e culturale a livello internazionale, ha poi parlato Jeremy Rifkin, esponendo le teorie esposte nel suo ultimo libro “The age of access”. Grazie alle sue indubbie capacità di comunicatore, il celebre economista e filosofo ha dato agli intervenuti una visione più ampia sul fenomeno del processo di globalizzazione, evidenziando come la tecnologia abbia reso rapidamente obsoleto un sistema economico mondiale ancora inadeguato agli scambi commerciali in tempo reale.

Verso una cultura globalizzata?
L’annullamento delle distanze geografiche dato dalla Rete ha ridotto i costi legati alla vendita di beni materiali. E in una ‘economia di reti iperveloci’, secondo la ‘visione’ di Rifkin gli acquirenti e i venditori saranno sostituiti dagli utenti finali e dai fornitori di accesso. Questo trasforma radicalmente le strutture aziendali: le proprietà immobiliari diventano secondarie, i mezzi di produzione sono in outsourcing e gli unici investimenti da cui trarre profitto riguardano il capitale intellettuale. Rifkin cita il ‘caso Nike’, azienda priva di beni materiali ma dotata di un marchio potente e d’una efficientissima distribuzione commerciale e che ha imparato a vendere più che il prodotto la cultura ad esso associata, per introdurre il concetto di ‘Life Time Value’. Il vero bene di scambio, dice Rifkin, diventa questo ‘valore del tempo vissuto’. L’economia si sposta dal mercato alla Rete, dalla produzione industriale al ‘capitalismo culturale’, e, al di là del nuovo divario digitale tra i connessi e i non-connessi, si prospetta un grave pericolo sul futuro della società: “Nel momento in cui praticamente tutta la vita diventa un’esperienza ‘a pagamento’ – dice Rifkin – la cultura umana si atrofizza, lasciando all’umanità solo i legami commerciali con i quali mantenere unita la civiltà. Questa è la crisi del post-modernismo”.
Per creare una ‘globalizzazione alternativa’, che sia invece foriera di benessere, ha proseguito Rifkin, occorre restituire importanza alla geografia ed alla cultura, difendere l’unicità dell’identità delle società civili a livello locale: “Ristabilire un giusto equilibrio tra la sfera culturale e quella commerciale sarà probabilmente la sfida più impegnativa della futura Età dell’Accesso”. A tal fine, alla carenza dei Governi, impegnati a stabilire alleanze economiche transnazionali, si dovrà contrapporre l’attività delle strutture non governative orientate ad armonizzare la diverse culture locali, proteggendo le caratteristiche di ognuna. “L’arricchimento derivabile dallo scambio sociale affievolirebbe lo scontro tra cultura e commercio – conclude Rifkin – riportando la cultura alla forma più alta di interazione umana; qualcosa da ‘celebrare’ più che da difendere e da ‘condividere’ più che da imporre”.
Ricordiamo che sulla dimensione socioeconomica della globalizzazione è stato recentemente pubblicato il rapporto ‘A fair globalization: creating opportunities for all’, stilato dalla International Labour Organization (www.ilo.org),che evidenzia, appunto, l’importanza di rafforzare le comunità con poteri e risorse a livello locale e di stabilire regole, a livello globale, idonee a governare le nuove esigenze commerciali e sociali.
Tra un anno, potremmo sapere se le iniziative che ci auguriamo potranno nascere dalle proposte ascoltate durante il convegno, avranno contribuito a far guadagnare all’Italia posizioni nel Country ranking del Global Competitiveness Report 2004-2005.


Un premio per i futuri marketing manager
Il Premio Philip Morris per il Marketing, patrocinato da Philip Morris Italia, è un’iniziativa indetta per favorire lo sviluppo e la successiva presentazione di progetti e studi che, in ambito commerciale o industriale, approfondiscano problematiche legate al marketing. Il Premio intende riconoscere il merito personale degli autori dei migliori elaborati e rappresentare un titolo d’incoraggiamento affinché continuino ad approfondire i propri studi. Per questo motivo, ai vincitori del Premio è data l’opportunità di effettuare studi di marketing negli Usa, nonché di accedere all’Advanced Marketing Course organizzato dalla multinazionale del tabacco. Dal 1989, anno di costituzione del progetto, il numero degli studenti che partecipano è costantemente cresciuto: un totale di 835 studenti ha partecipato all’edizione 2003 e 7.165 studenti hanno assistito alle discussioni in aula dei 72 migliori elaborati. Questo successo si è rapidamente esteso anche ad attività collaterali avviate negli ultimi anni, tra cui: convegni su tematiche emergenti legate al marketing, le pubblicazioni della collana ‘Biblioteca Premio Philip Morris per il Marketing’, il quadrimestrale New Marketing, l’Advanced Marketing Course e l’Alumni Association.

Lavoro e tecnologia: parliamone insieme
Sempre più spesso i vendor Ict si interrogano sui grandi temi dell’economia e cercano di fornire un contributo affinché l’uso dell’innovazione serva a rilanciare la competitività del Paese. Così, capita che Byte promuova una ‘giornata di riflessione’, che si svolgerà il 14 ottobre alla Borsa di Milano (Palazzo Mezzanotte), sul contributo che può venire dalla tecnologia impiegata come strumento per aumentare l’efficienza.
“Ci troviamo in una delicatissima fase dell’economia a livello mondiale, dove la ripresa tanto attesa non accade e dove accade non crea occupazione. – ricorda Armando Mantovani, Direttore Marketing Strategico e Alleanze del Gruppo Byte nell’annunciare l’evento – Abbiamo notato che i temi che ricorrono ogni volta che si cerca di capire come uscire da questa situazione ruotano tutti attorno all’uomo: che produce, che consuma, che lavora, impiegando tecnologie”.
Nel corso del convegno ci si occuperà quindi non solo dell’uso di strumenti avanzati per gestire le risorse umane (ambito di specializzazione delle soluzioni Byte), ma anche delle modalità che permettono al nostro sistema di operare in modo più efficiente, a partire dalla rivisitazione e aggiornamento di forme organizzative tipiche del modello italiano come i distretti industriali, che hanno consentito la crescita di tante Pmi. Per discutere di questi temi Byte intendere mettere a confronto imprenditori, sindacati, uomini politici e opinion leader, a partire da un’indagine sul tema della competitività realizzata da Ispo. Ulteriori informazioni sull’evento al sito www.byte.comday.com. (E.B.)

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