Vita da CIO

Il digitale non è solo efficienza: serve comprendere il cambiamento

Chi guida la digital transformation deve interiorizzare l’idea che tale processo ha impatti molto più profondi di quanto si tende a immaginare. Una conversazione con Massimo Rosso, Chief Procurement Officer (Direttore Acquisti) di Rai – Radiotelevisione Italiana

Pubblicato il 21 Apr 2023

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In un mondo sempre più imprevedibile, la trasformazione digitale ha assunto un ruolo “cardine”. Dalla gestione della pandemia da Covid-19 alla necessità di affrontare gli “scossoni” a livello geopolitico, il digitale viene visto come una leva per districarsi in situazioni complesse. Allo stesso tempo, però, la digitalizzazione porta con sé processi trasformativi che impattano, a loro volta, sul nostro modo di vivere e di lavorare. Abbiamo affrontato il tema con Massimo Rosso.

ZeroUno: Gli avvenimenti degli ultimi anni hanno messo in luce il ruolo di primo piano della digitalizzazione e di chi “governa” questo processo. Si tratta di un fenomeno di carattere squisitamente quantitativo o c’è qualcosa di più?

Massimo Rosso: Il tradizionale approccio alla digitalizzazione si è dimostrato inadeguato a leggerne la vera natura. All’inizio di questo processo, l’attenzione si è concentrata sul concetto di efficienza. In altre parole, si pensava che la digitalizzazione permettesse di fare le cose meglio e più velocemente, ma senza che l’elemento di innovazione ne modificasse la natura. Nulla di più sbagliato.

Questa chiave di lettura ha portato, per esempio, a immaginare che l’uso di strumenti digitali potesse impattare sul fattore tempo, consentendo a tutti di “lavorare con più calma”. Mi sembra evidente che questo non è accaduto. Anzi: se consideriamo i ritmi frenetici che abbiamo ormai introiettato come “normali”, è successo esattamente l’opposto.

Dove puntare lo sguardo?

ZeroUno: Una semplice previsione sbagliata o un approccio da correggere?

Massimo Rosso: Credo che, per evitare equivoci nella lettura del processo di digitalizzazione, serva passare da un approccio in cui si considera il “modo”, a uno in cui ci si focalizza sul “senso” di quello che stiamo facendo. Quando si parla di sostenibilità, per esempio, è indispensabile cercare di fare tesoro degli insegnamenti del passato. Il fulcro è ancora il concetto di tempo: siamo da sempre abituati a ragionare secondo uno schema per cui è possibile considerare il futuro come una dimensione dalla quale si può attingere indiscriminatamente per risolvere i problemi del presente.

In altre parole, tendiamo a “ipotecare” il futuro per gestire la quotidianità. Ragionare in termini di sostenibilità, oggi, significa sviluppare progetti che prendono dal presente e portano nel futuro. Se continueremo a prendere dal futuro per portare nel presente, saremo destinati a perdere la scommessa della sostenibilità.

ZeroUno: Questo per quanto riguarda il metodo. Parlando di obiettivi?

Massimo Rosso: Ho l’impressione che si tenda troppo spesso a banalizzare i problemi. Faccio un esempio legato a un classico della letteratura come “Guida galattica per gli autostoppisti” in cui al supercomputer viene chiesto di fornire la risposta alla “domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto”. Quando, dopo milioni di anni di elaborazione, il supercomputer risponde “42”, in pratica sta dicendo “che diavolo di domanda mi avete fatto?”. Ecco: noi stiamo correndo il rischio di farci le domande sbagliate e ottenere, di conseguenza, risposte che non hanno alcuna utilità.

Quando diciamo che dobbiamo adottare tecnologie sostenibili per costruire un “mondo migliore” che cosa intendiamo? Se non mettiamo a fuoco questo elemento, corriamo il rischio di perdere completamente la bussola. L’idea che tutti noi sappiamo cosa sia un “mondo migliore”, senza specificare cosa significhi, è pericolosissima.

La fatica di anticipare le trasformazioni

ZeroUno: In quest’ottica, stiamo assistendo ad alcuni cambiamenti che nessuno aveva visto arrivare. Un esempio è la spinta delle persone a ricavarsi maggiori spazi per la vita privata. Dopo l’esperienza della pandemia, in cui hanno sperimentato i vantaggi dello smart working, ora cercano di costruirsi un “mondo migliore”, sfruttando gli strumenti digitali di collaborazione in remoto. Può essere considerato un indizio dell’imprevedibilità della trasformazione digitale?

Massimo Rosso: L’imprevedibilità, nel processo che stiamo attraversando, pesa tantissimo. Nessuno aveva pianificato un passaggio simile, è semplicemente accaduto. Si tratta di uno schema ormai sedimentato nel nostro “new normal”: la lettura dei fenomeni avviene ormai a posteriori. Qualcosa che un tempo si tendeva a governare in anticipo e che oggi invece si insegue. Il digitale ha impresso un’accelerazione in questo senso, attraverso percorsi che diventano evidenti soltanto quando ormai si sono concretizzati.

L’attenzione per il tema dell’intelligenza artificiale a cui stiamo assistendo in questi mesi è paradigmatica di quello che succede nel nostro settore. Fino a novembre dell’anno scorso, ChatGPT era conosciuto da pochissimi. Adesso è diventato un tema di discussione che coinvolge tutta l’opinione pubblica, la politica e gli stessi player che hanno spinto sullo sviluppo dell’AI. D’altra parte, il tema dell’intelligenza artificiale è effettivamente ciò che può cambiare radicalmente il nostro modo di vivere e lavorare.

Sostituzione o potenziamento?

ZeroUno: Il rapporto tra essere umano e tecnologia, di conseguenza, non è necessariamente neutrale…

Massimo Rosso: La tecnologia digitale è un modello di conoscenza e, in quanto tale, è uno strumento per controllare la realtà. Pensiamo all’impatto che hanno avuto i social network su ambiti che, almeno apparentemente, non avevano nulla a che fare con il web. Nel mio settore (la comunicazione radiotelevisiva – ndr) le piattaforme social hanno cambiato completamente il modo stesso di lavorare.

Nel giro di pochissimo tempo sono diventati un “canale parallelo” che gli operatori del settore non potevano ignorare. Quando le persone hanno cominciato a usare Internet per interagire con le trasmissioni televisive, si è aperta una nuova dimensione di relazione che oggi è diventata un fattore di normalità. Anche in questo caso, nessuno aveva “visto” arrivare il cambiamento.

Se vogliamo mettere a sistema tutti questi elementi, possiamo dire che il corretto modo di interpretare il cambiamento passa dalla prospettiva con cui lo guardiamo. Piuttosto che considerare la digitalizzazione come uno strumento in grado di efficientare i processi o sostituire alcuni ruoli, dovremmo interpretarla come un fattore di potenziamento a disposizione delle persone. Questo approccio ci mette al riparo, da una parte, dal rischio di demonizzare la digitalizzazione, dall’altro di affrontarla in maniera eccessivamente fideistica.

La tentazione di muoversi su una dicotomia “bianco o nero” è fortissima. Oggi la sfida è quella di muoversi sulle sfumature di grigio. Per poterlo fare, tenendo anche il passo con gli sviluppi dell’intelligenza artificiale è necessario un piano di educazione e formazione a ogni livello, dovendo tutti noi acquisire nuove forme mentis e modus operandi.

In gioco c’è la nostra libertà di scelta ma, per poter scegliere, è necessario conoscere. Adorno diceva che la libertà non sta nello scegliere tra il bianco e il nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta.

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