Disegnare l’organizzazione digitale dell’azienda

Nell’economia industriale digitalizzata, ogni Business Unit diventa una StartUp (e ne seguirà l’approccio); il Cio può supportarla creando un Dipartimento It bimodale che riempia il gap tra ciò che eroga e ciò che serve alla Bu digitale. È quanto afferma Peter Sondergaard, Senior Vp e Global Head of Research, Gartner.

Pubblicato il 08 Gen 2015

BARCELLONA – “Sono in piena azione nel creare cambiamenti strutturali permanenti forze capaci di ridefinire le dimensioni degli attori in campo”, è quanto afferma Peter Sondergaard, Senior Vp e Global Head of Research di Gartner nella keynote di apertura dei lavori del Symposium Gartner Emea, svoltosi in Spagna poche settimane fa. L’Internet delle cose (IoT) ha raccolto 1 miliardo di dollari in Venture Capital; a fine 2015 gli oggetti in rete saranno 4,9 miliardi (650 milioni di oggetti sono andati online solo nel 2014); le stampanti 3D sono un mercato da oltre 1 miliardo di dollari. L’IoT è la rete di oggetti fisici abilitati da tecnologia incorporata a “sentire e interagire” (comunicando, analizzando, agendo) sia con il loro stato interno, che con l’ambiente circostante (definizione Gartner). Attenzione, è una definizione comprendente i robot: durante la keynote, un drone è volato sul palco, con disturbo ad effetto dalla regia.

Peter Sondergaard – Senior Vp e Global Head of Research, Gartner

Prima è venuto il “Nesso delle forze”: cloud, mobile, social e analytics (l’insieme di trend che, proprio in quanto insieme, era stato identificato da Gartner come un grande elemento disruptive): sta stravolgendo il mercato per tecnologie e piattaforme su cui si basa il business; generando il business digitale; disseminando i diversi settori di mercato di disegni di business che fondono il virtuale e il fisico. L’integrazione dell’IoT e dei sistemi di ingaggio del cliente cambia i processi in interi settori: secondo Gartner, 32 miliardi di euro sono stati destinati nel 2014 a ridisegnare i processi per farli operare in modo da sfruttare l’Iot.

“Qualsiasi cosa sia strumentabile, lo sarà” scandisce Sondergaard; lo sarà al di sopra di un valore di soglia che Sondergaard ipotizza attorno ai 100 dollari. Converrà dotare di chip e di sensori anche oggetti in produzione da cui non si è ancora previsto quale tipo di informazione converrà estrarre o quali istruzioni fornir loro: sopra una certa soglia di valore, la strumentazione, o almeno la strumentabilità, diventeranno cruciali perché il valore dell’oggetto si mantenga. Ciò varrà per dispositivi, oggetti, indumenti (wearable), ai fini più disparati. Una singola impresa di un settore asset intensive, come minerario, oil&gas, energia, utilities, logistica (stiamo parlando di realtà del calibro di Exxon o Ge), nel 2020 avrà mezzo milione di oggetti indirizzabili Ip: un salto di scala micidiale (e lo scenario per l’emergere di una popolazione di robot).

L’economia industriale digitalizzata appiattisce i margini ai business di settori maturi; è inevitabile che l’innovazione digitale di un concorrente acceleri il declino di un’azienda matura, salvo che questa si trasformi in senso digitale. I Business leader tradizionali comunque resistono, anche se la battaglia con nuovi competitor è dura; il digitale ha margini iniziali bassi: una NewCo, pronta a fallire, imparare, riprovare (velocemente) parte per forza con minori profitti rispetto agli alti margini dei business leader tradizionali (che però cadranno). Sondergaard consiglia un focus su costi, efficienza ed esperienza utente; la sopravvivenza e l’efficienza dimostrate danno credibilità per convincere il board e gli investitori che la crescita seguirà.

Ma oltre all’economia industriale digitalizzata, cambia il comportamento umano, tutti diventano “digital first”: ubiquo il posto di lavoro (tablet, smartphone, laptop), pervasive le attività digitali con dozzine di momenti di business che ci bombardano al giorno, nulla riceve più attenzione del nostro schermo portatile. E siamo proprio noi digital first a catalizzare la sharing economy in cui imprese e Pa devono disegnare, realizzare e dispiegare i loro servizi, per servire i “momenti di business”, opportunità critiche e transitorie che si verificano dinamicamente.

Potere, investimenti, persone: le tre leve di cambiamento

“In un’economia industriale digitalizzata e shared, l’organizzazione aziendale di un business digitale deve far fronte a tre leve di cambiamento: Potere, Investimenti e Persone”, scandisce di nuovo Sondergaard: ai leader It spetta almeno influenzare, o controllarle se posti al vertice, ognuna di queste leve. Cruciale è poi veder giusto su talenti digitali e loro organizzazione.

Il 1° dei tre cambiamenti è quello del potere (il “potere” del budget). Non ha dubbi Peter Sondergaard: Domanda e Controllo di tecnologia migrano dal dipartimento It verso le Bu digitali, vicine al cliente, che tendono a comportarsi sempre più da startup digitali: prive di vera base installata sono facilitate a pensare senza paradigmi e limitazioni a sfruttare il “Nesso delle 4 forze” disruptive. Così la spesa It in Business Technology, fuori dal dipartimento It, oggi già al 38%, sarà il 50% nel 2017: i vendor Ict già oggi raggiungono i loro obiettivi di business al 50% con le Bu; sanno che i budget It crescono di un magro 1%, quindi trovano flussi di denaro nelle Bu digitali, piene di acquirenti affamati di tecnologia.

Figura 1 – le 7 aree del budget It – fonte: Gartner

La 2° leva di cambiamento riguarda, all’interno dei budget, lo spostamento delle voci di investimento. Oggi, una tipica allocazione di budget in un Dipartimento It mostra le classiche 7 torri, (figura 1) che ad alto livello sono aggregabili in 4 categorie di costo: servizi, software, hardware e personale. Con il budget digitale (per la Bu che lavora da startup) arrivano cambiamenti pesanti: si contraggono gli investimenti hardware, cadono quelli in personale, dilagano i servizi (combinati sempre più tra loro o con servizi altrui tipicamente in cloud). Altro effetto macroscopico, l’accorciamento vistoso delle durate dei contratti di servizio e della vita media del software: “Non una startup digitale poggia oggi su un Erp”, porta come esempio Sondergaard che fa notare come gli Erp scontino in media Tco per 10 anni; quindi, pur rimanendo soluzioni indispensabili per la gestione aziendale non sono alla base di un approccio innovativo, da “startup”. Con l’affitto preferito al possesso (quando non rappresenta un differenziante), infine, il personale assunto in pianta stabile presso i sistemi informativi si riduce a quello core.

Il Cio chiamato a riflettere sulla 3° leva, le Persone da allocare e l’Organizzazione da disegnare, può guardare alle startup digitali e al loro approccio al Talento: vanno leggère sul Personale per l’infrastruttura, ma hanno in compenso un portafoglio di fornitori con contratti di breve termine, gestiti da un Supplier Management. “Le startup digitali mettono al centro l’informazione (ingaggiando Data Scientist ed esperti Big Data), assumono talenti di leadership digitale, puntano su DevOps per soluzioni di Customer Experience adattative [la metodologia che assicura la collaborazione tra team di sviluppo e team delle operation garantisce la realizzazione di soluzioni basate sulla customer experience – ndr], consapevoli che il cliente digital first è sempre a un “business moment” di distanza dalla concorrenza”, afferma Sondergaard.

È sulle scelte organizzative che il Cio si gioca la propria credibilità: non può trasformare il dipartimento It in una startup, ma può incubarne una: può creare un Dipartimento It bimodale che riempia il gap tra ciò che eroga e ciò che serve alla Bu digitale. In Modo 1 (tradizionale) offre sistemi affidabili, predicibili, sicuri, da organizzazione It efficiente. Metafora la roccia. Il Modo 2 (non sequenziale), enfatizza agilità e velocità; cattura e inizialmente sfrutta il flusso di eventi dirompenti o tecnologie rivoluzionarie. Metafora il torrente impetuoso.

Un piano dei talenti

“L’organizzazione di un’azienda digitale si fonda dunque su Talenti e bimodalità: deve catturare talenti (e crowdsourcing), chiave per la leadership digitale; l’Hr deve andare a caccia di digital first non più solo per il Dipartimento It; soprattutto serve un Piano dei talenti da assumere o da ingaggiare in sourcing. Per l’oggi (mobile, user experience e Data Scientist), il 2017 (esperti di Smart machine, Iot, robotica, Automazione del decision support, Etica nella relazione con cliente, data l’invasività dell’intelligence) e il 2020 (specialisti in integrazione, architetti, analisti di normative, professional del rischio, avvocati), ma da costruire fin da adesso.

La crisi di Talenti Digitali riguarda il Board stesso: metà aziende li assumono per il c-level stesso (fenomeno del Chief Digital Officer). Il Board deve poi partorire chi mettere alla testa delle tre leve. Clamorosa la discrepanza di aspettative tra Cio che si pensa leader nella transizione al digitale (50%) e solo il 15% di Ceo che lo riconoscono come tale (secondo la Gartner Survey 2013, citata da Sondergaard). “Non resta al Cio che mettersi alla prova, adesso: o in partnership con le Bu digitali, o incubando la propria startup, o con entrambe le mosse”, conclude il vp Gartner. L’azienda che va verso il digitale deve riflettere anche su altre sfide: Rischio Business Digitale, Privacy by Design e, a monte, cultura delle Bu digitali che a partire dal “brodo primordiale” dell’IoT si metteranno a sfornare ondate di Smart Machine. Servirà loro un approccio umanistico centrato sull’utente, che resta persona umana. Ma questa è un’altra storia.

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