Professionalità Ict tra innovazione e nuovi paradigmi

Gli skill tecnologici stanno cambiando; alcune figure diventano super specializzate, altre hanno competenze business oriented, altre, invece, devono rimanere su un piano "generalista". Ecco come cambia il mondo del lavoro e della formazione riferito alle professionalità Ict

Pubblicato il 30 Giu 2009

Formazione e professionalità in ambito Ict è stato un argomento dibattuto durante un meeting organizzato dal Dipartimento dell’Informatica dell’Università di Milano-Bicocca da esponenti accademici, rappresentanti di Aica, Assinform, Confindustria, Assintel, Fondazione Tronchetti-Provera, Ibm e Microsoft. Non senza numerosi spunti di interesse. L’incontro è nato da due eventi concomitanti: la presentazione della Quarta edizione del Master in Ict management con lo schema di classificazione Eucip (European Certification of Informatics Professionals – vedi riquadro) e la mappatura dei contenuti dei corsi di Laurea in Informatica di Bicocca sempre nel rispetto dello schema Eucip, il sistema europeo di riferimento per le competenze ed i profili professionali informatici.

LA “SERVICES SCIENCE” DI IBM
La qualità del servizio diventa fondamentale in un momento di profonda trasformazione delle imprese, tese al miglioramento delle prestazioni aziendali in una fase di elevate difficoltà congiunturali. Per essere in grado di innovarsi in modo sistematico, i servizi devono oggi esprimere la loro intrinseca natura interdisciplinare e per affrontare tale sfida occorrono competenze tecnologiche, scientifiche, ingegneristiche, economiche, di management e anche di scienze sociali spesso integrate tra loro.
Ibm, proprio al fine di promuovere in modo sistematico l’introduzione di miglioramenti e innovazioni nell’erogazione dei servizi, ha da qualche tempo avviato studi e ricerche in una nuova area emergente, chiamata “Services Science, Management and Engineering”, che, facendo leva sulla interdisciplinarietà dei servizi, si propone di studiare nuove metodologie e professionalità che permettano di realizzare una innovazione sistematica e continua in questo settore.
A proposito di professioni: è vero che gli “specialisti” sono in disuso, usiamo questo termine, e i “generalisti” in fase di rivalutazione? Lo abbiamo chiesto a Lattanzio Coletti Client Technical Advisor Ibm Italia. “Non si tratta di una diatriba ma solo di un modo di classificare i professionisti del settore Ict. I professionisti I-shaped sono coloro che hanno una spiccata tendenza alla specializzazione: su un argomento, un prodotto o una soluzione. Sono quelli più esposti alla concorrenza perché chi oggi, per esempio, è un prezioso Subject Matter Expert rischia di diventare domani una commodity. I professionisti T-shaped, o deep generalist o versatilist (come li chiama Gartner) hanno, oltre a eventuali aree di specializzazione, una solida base di conoscenze tecniche, spiccate capacità di comunicazione e relazionali e conoscenze anche di industry che consentono loro di interfacciarsi con i livelli manageriali alti (i C-level executives) delle aziende. Questi professionisti sono preziosi ma la loro formazione non è semplice: le nuove discipline afferenti alla Scienza dei Servizi hanno proprio l’obiettivo di aiutare a creare figure professionali con tali caratteristiche”.

LAUREE TRIENNALI SCADENTI?
Giorgio De Michelis insegna Informatica Teorica e Interaction Design alla Bicocca. È insegnante e imprenditore, in quanto promotore di una società con 16 dipendenti, la Itsme, che sta sviluppando un computer sulla base di nuovi paradigmi. È quindi in una condizione privilegiata per rispondere a due quesiti molto frequenti di questi tempi. Primo: è vero che la laurea triennale in informatica è ambita solamente da studenti con bassi livelli di preparazione ma allo stesso tempo la limitatezza dei budget aziendali apre comunque più le porte a questi giovani che a quelli in possesso di una elevata specializzazione? “Sostanzialmente è cosi, risponde De Michelis. Sono infatti sempre meno gli studenti che si iscrivono a questi corsi. Solo che all’estero alla domanda delle aziende si supplisce con personale proveniente da India, Cina e Corea che da noi ha invece problemi ad inserirsi per questioni non solo linguistiche ma anche sociali: spesso sono trattati come clandestini. Inoltre la laurea triennale in informatica gode oggi di un’immagine di bassa qualità e questo tiene lontano dalle iscrizioni, stimolando la ricerca di altri percorsi accademici. Il fenomeno però è mondiale: in Gran Bretagna, per esempio, le iscrizioni rispetto a inizio 2000 si sono dimezzate”. Secondo quesito: fenomeni come il web 2.0 potranno modificare la richiesta di figure professionali? “Si e no – è la risposta di De Michelis -. Non più di tanto perché al momento il web 2.0 e le social network sono prodotti di bassa complessità e innovazione. La risposta è affermativa se ci fosse una maggiore attività di innovazione e si capisse cosa le aziende hanno veramente bisogno per competere”.

PUNTARE SUL SEMANTIC COMPUTING?
Se l’innovazione racchiusa nel concetto di web 2.0 è modesta, non altrettanto si può dire per il Semantic Computing, sinonimo di comportamento flessibile e intelligente.
Per Stefano Pinardi consulente Ict e ricercatore presso il Laboratorio Nomadis (del dipartimento It della Bicocca), “Il Semantic Computing significa non solo trattare dati (programmi, applicativi, etc), confrontarli sintatticamente (database, datamining) o spostarli (Web, Html, protocolli), ma capire e comprendere le informazioni ad alto livello, che siano testo, immagini, servizi, voce, segnali di sensori. Non è fantascienza, capita già oggi: pensiamo a quello che chiediamo a Google ogni giorno, più volte al giorno, quando usiamo il suo motore di ricerca o quello che ci aspettiamo dal Social Networking e dagli Healtcare Service ogni volta che li usiamo, o ai servizi di sorveglianza con telecamere. Semantic Computing significa parlare di tecniche di Reasoning e tecniche di Machine Learning, metodologie e filosofie che sono note in Università e nei settori di ricerca e che sono usate per prassi, tanto quanto nelle aziende si usano i programmi, e l’hardware. Tecniche che non danno certezze assolute e che richiedono competenze scientifiche adeguate. Il professionista di oggi non dovrebbe quindi limitarsi ad imparare linguaggi, protocolli, sistemi, tecniche aziendali, ma dovrebbe cercare di apprendere in modo operativo e concettuale le parti più pregiate e avanzate dell’informatica”. E poi sperare di trovare aziende illuminate e disposte ad investire, che fortunatamente non mancano.

LA PADRONANZA TECNOLOGICA NON BASTA

A parte gli specialisti in semantica, quali sono dunque i profili professionali oggi più richiesti dal mercato? “Secondo me – ci dice Carlo Iantorno, direttore Innovazione e responsabilità sociale Microsoft Italia – le caratteristiche professionali di cui c’è e ci sarà sempre più bisogno sono comprensive di due profili principali. Il primo è quello tecnologico avanzato, con competenze globali che comprendono problematiche di sviluppo e di operazioni e con un solido background sui principi di funzionamento dei computer, del software e dei sistemi informativi complessi. Professionisti, in altri termini, che ‘respirino’ tecnologia e abbiano la passione dell’informatica ma anche una solida preparazione di base. Il secondo è un profilo di tipo funzionale, in grado di conciliare le problematiche organizzative e di processo con le corrispondenti soluzioni architetturali e tecnologiche, in grado di valutare costi e benefici e di facilitare il collegamento fra It e business nelle aziende”.

UNIVERSITÀ-INDUSTRIA: ANNOSA QUESTIONE
Dal convegno è altresì emerso che l’Italia è molto scarsa in termini di collaborazione tra industria e ricerca universitaria. Le aziende italiane forniscono principalmente servizi al cliente e non sentono la necessità di creare prodotti informativi nuovi. Nelle Università e nel mondo della ricerca esistono le idee, il know how e una competenza realmente elevata. Non va dimenticato che la ricerca scientifica è fatta a livello globale oggi e l’Università italiana nei settori scientifici compete a livello mondiale: siamo settimi in termini di competenza scientifica, secondo gli indicatori internazionali.
“Stando così le cose – conclude Iantorno – occorrerebbe fare due cose: primo, dare crediti alle Università che lanciano o incoraggiano iniziative imprenditoriali; secondo, incentivare l’uso delle risorse universitarie da parte delle aziende, finanziando parte dei costi dei contratti, specialmente nelle situazioni di condivisione dell’impegno da parte di più aziende”.


EUCIP, PROFESSIONISTI CERTIFICATI

La diffusione di Eucip (European Certification of Informatics Professionals) in Italia ha potuto contare sull’aiuto di diversi enti istituzionali, come Assinform e Assintel. Cnipa ha anche pubblicato i profili Eucip per le classi di fornitura alla Pa. In ambito universitario, cinque atenei hanno iniziato a mappare gli insegnamenti rispetto allo standard Eucip, in modo da indirizzare gli studenti sia nello sviluppo delle conoscenze e capacità più generali, sia delle competenze che emergono dai profili professionali riconosciuti nel mercato del lavoro. A livello applicativo, sia enti pubblici (Ragioneria Generale dello Stato) che imprese (Finmeccanica, Vittoria Assicurazioni) hanno già adottato con soddisfazione Eucip. Chiediamo allora a Roberto Bellini, Presidente Sezione Aica Milano (www.aicanet.it) e Responsabile del Cantiere dei Mestieri Ict perchè è veramente utile e cosa offre in più rispetto agli standard attuali?
“Una delle leve del sistema Eucip è la misurabilità delle competenze possedute dal singolo rispetto all’obiettivo, che permette l’individuazione di un programma formativo mirato, unito alla riconoscibilità delle certificazioni rilasciate dai principali fornitori di tecnologia, come Microsoft e Cisco”, dice Bellini. “Ma il vero punto di forza che ha permesso ad Eucip di essere adottato su larga scala è la garanzia che viene fornita da Cepis e Aica riguardo al continuo aggiornamento del sistema di conoscenze, fondamentale in un settore dinamico come quello Ict”.
A Bellini chiediamo anche se, a suo avviso, ci sono o non ci sono in questo momento le competenze tecniche di cui il mondo del lavoro avrebbe bisogno.
“Gli studi Ue sottolineano la grande importanza delle certificazioni nel settore Ict, ancora di più in questo periodo di crisi. Se da un lato si prevede un ricorso più marcato alla delocalizzazione nei paesi emergenti per le mansioni operative, dall’altro le competenze più preziose, quelle di carattere strategico, resteranno nei paesi occidentali”, conclude Bellini.

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