Capitale umano: i professionisti Ict riuniti in associazione

Competenze informatiche di livello specialistico, concorrenziali, certificati e regolamentati. Sono i professionisti ict riuniti nell’Aip. Ne parliamo con il presidente Andrea Violetti

Pubblicato il 28 Lug 2008

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MILANO – Andrea Violetti è presidente dell’Associazione Informatici Professionisti (Aip, www.aipnet.it) che “in qualità di dipendenti, imprenditori o liberi professionisti dimostrano competenze informatiche di livello specialistico”, dice Violetti. ZeroUno lo ha intervistato in occasione del World Computer Congress 2008, evento della Comunità Europea che si è tenuto per la prima volta in Italia.

ZeroUno: Come si può “inquadrare” l’Aip? È il “rappresentante” del capitale umano nell’Ict?
Violetti: Si, in sostanza. La nostra missione è consentire agli associati di operare nel mercato con autorevolezza, competenza e professionalità, in modo da contribuire allo sviluppo socio-economico e della società della conoscenza e della comunicazione. Siamo membri del Council of European Professional Informatic Society (Cepis, www.cepis.org), la maggiore associazione del settore, anche se non l’unica. Nello spazio Ict se ne contano 25 con scopi analoghi ma noi crediamo che la concorrenza faccia bene a un ordine professionale, perché permette di offrire al mercato garanzie secondo una deontologia definita.

ZeroUno: Quali sono gli obiettivi dell’Associazione?
Violetti: In estrema sintesi sono quattro: presidiare la centralità strategica dei servizi professionali per lo sviluppo del paese, così come ribadito dalla Commissione Europea; promuovere recepimento ed attuazione dei principi Ue di concorrenza e libera circolazione di professionisti e professioni intellettuali, nella salvaguardia dei codici della professione; regolamentare le delibere Aip in conformità alle direttive europee, con capacità di certificare i requisiti professionali degli iscritti (“fregiati” del marchio di qualità); garantire l’operatività degli associati senza alcuna esclusiva ed in regime di piena concorrenza. Partecipiamo anche a tutte le riforme di legge (nel Coordinamento delle Libere Associazioni per la riforma delle professioni).

ZeroUno: La vostra certificazione è in grado di seguire un mercato Ict specifico ai settori?
Violetti: Si, assolutamente. Aip deve poter certificare la competenza di un informatico in un determinato contesto industriale: ad esempio gli informatici Finance, Pa, Telecomunicazioni sono da certificare rispetto a un benchmark di settore, secondo una metrica fruibile dall’azienda che li ingaggia. Poiché la competenza Ict è ormai “embedded in un’industry”; un informatico certificato Pa non potrà essere fruibile da una banca su un trading. L’informatico parla ormai un metalinguaggio specialistico, ma è anche il professionista di settore “col metalinguaggio più sviluppato”, per scelte poi strategiche. Fanno assai prima molti informatici a raggiungere competenze di settore piuttosto che esperti di settore a dominarne l’automazione-innovazione di processo.

ZeroUno: Un suo giudizio “politico” (trasversale ai settori) sulla professione Ict in Italia?
Violetti: È drastico. Siamo spiacenti che quella dell’informatico, professione determinante per lo sviluppo del sistema paese, sia da sempre ignorata. E insoddisfatti di quanto i nostri politici hanno realizzato riguardo ad innovazione, ricerca e Ict. Riteniamo che la disattenzione all’Ict sia una causa della nostra mancata crescita. Vogliamo contribuire a cambiare questo stato di cose. La professione che intendiamo è quella di un manager innovativo che abbia competenze tecnologiche ed economiche e che sappia condurre un’impresa affiancando i progetti sin dalle fasi ideative e progettuali: un facilitatore del business e un innovatore dei processi. Serve a tal fine una maggior consapevolezza anche da parte del Senior Management.
Il business ormai incorpora l’Ict e non può coinvolgerla solo al momento di implementare una soluzione o comprare un sistema. Deve capire che l’Ict ha ormai un ruolo abilitante fin dalle fasi iniziali, pena l’incapacità del business stesso di definire correttamente i suoi stessi obiettivi.

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