Berlusconi, Montezemolo e la server consolidation

Pubblicato il 02 Ago 2004

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Cosa c’entrano i due illustri personaggi con la revisione in atto nei sistemi informativi delle imprese verso una loro maggiore efficienza? Intanto abbiamo catturato la vostra attenzione e poi, più in là, lo capirete.
Permetteteci di cominciare con una frase autocelebrativa: “ZeroUno l’aveva detto”. Vi ricordate 6-7 mesi fa, ancora nel periodo buio dell’economia italiana, come, dal nostro piccolo punto di osservazione vi incitavamo a non perdere d’occhio alcuni segnali deboli di cambiamento verso una “schiarita” sul piano della crescita economica del Paese? Ebbene, finalmente dati positivi, anzi davvero più che positivi, sono arrivati. Prima, però, di vederli brevemente, così come allora fuggimmo da una certa stampa catastrofistica, anche oggi temiamo una stampa eccessivamente trionfalistica (guarda caso entrambe attestate sui diversi schieramenti politici…). Ancora lunga è infatti, a nostro avviso, la strada verso un “consolidamento economico” che mostri tutti i segni di una tendenza forte e meno “ballerina” che in passato.

Due cifre per capire di cosa stiamo parlando. In questi giorni l’Istat ha rilasciato i dati relativi al segmento industriale italiano: ad aprile il comparto è cresciuto del 3,6% rispetto al marzo 2004, mentre la crescita è addirittura del 7,9% rispetto ad aprile 2003. Inoltre, aspetto importante alla luce di un euro forte sul dollaro, è in netto aumento anche il fatturato estero, che ha registrato un + 9,1% sull’aprile 2003 e un + 2,3% sul marzo 2004.
Secondo queste cifre, le imprese italiane, quelle soprattutto appartenenti a quel ristretto numero (se paragonato ai circa 4 milioni di piccole imprese) di media dimensione, hanno accettato la sfida dell’internazionalizzazione, quella cioè di competere su quei mercati dell’area del dollaro che, oltre agli Stati Uniti, vanno sempre più aprendosi alla competizione globale: Cina, area asiatica in genere, paesi dell’Est. E su queste aree hanno aumentato il loro fatturato estero.
L’ennesimo miracolo italiano? No certamente. Ma la consapevolezza di poter affermare sui nuovi mercati di sbocco non soltanto una presenza basata su una competizione di prezzo (impossibile da sostenere nel lungo periodo) ma anche sul valore intrinseco del prodotto, ebbene questa convinzione sembra ad oggi pagare.
Certo la strada è lunga e i rischi di ridimensionamento di questa tendenza sono molti e legati a numerosi fattori.
Uno dei principali pericoli sarebbe quello di ribadire nei fatti la relativa distanza esistente, e non solo da oggi, tra mondo politico e mondo imprenditoriale, quasi una sorta di entità separate che non riescono a trovare un linguaggio comune per migliorare l’efficacia dell’azione competitiva della singola azienda e, in seconda battuta, dell’intero Paese.
Ora, se guardiamo a cosa è avvenuto negli ultimi due mesi, possiamo intravvedere dinnanzi a noi un bivio: quello di un’azione di governo di scarso supporto allo sviluppo dell’economia, che si affidi, come in passato, soprattutto alla capacità delle imprese italiane di “cavarsela da sole”, oppure, anche da parte del versante politico, accettare la sfida.

Le elezioni europee non sono andate bene per Forza Italia, è un dato di fatto. La dialettica in corso all’interno della maggioranza di governo porterà probabilmente, nel prossimo periodo, alla ridefinizione di ruoli e persone in carica nella squadra. Quale risposta sta aspettandosi il Paese? Si riuscirà, nei ministeri chiave, ad avere un’adeguata risposta in funzione di uno scenario economico e competitivo italiano che, abbiamo visto, mostra segnali che vanno colti e supportati da adeguate politiche di sviluppo? Oppure assisteremo ad una ridistribuzione di pesi e poltrone tutta all’interno di una logica di nuovi equilibri politico-elettorali lontanissimi dalle esigenze delle imprese e del Paese? Se c’è un segnale da cogliere, da questi dati, è l’estrema urgenza di concretezza, in termini di supporto alle imprese, da attuare attraverso riforme e investimenti infrastrutturali davvero utili al rilancio dell’economia. La sfida del Governo in genere e del Presidente del Consiglio in particolare, da qui alle elezioni politiche del 2006, si giocherà, per il consenso che potrà avere dagli imprenditori, proprio su questa capacità di risposta concreta.
Non a caso il bisogno di concretezza chiesto dagli imprenditori è quello che ha portato Montezemolo sulla poltrona di Confindustria. Dopo un periodo, sotto la guida D’Amato, tutto orientato alla cura e gestione dei rapporti politici (vi ricordate la battaglia per l’articolo 18 e la sua totale ininfluenza sulla competitività italiana?), da parte dell’associazione degli industriali sembra aprirsi, almeno formalmente, una fase di richiesta di maggiore concretezza nel supportare le imprese attraverso un’azione di governo efficace. Il ruolo di lobbying di Confindustria e l’azione di pressione è partita subito sulla necessità di nuova concertazione con le parti sociali, perché Montezemolo sa che è da lì che bisogna inevitabilmente passare per “far funzionare le cose”, evitando lo scontro sociale.
Il fatto che poi Montezemolo sia nel frattempo diventato numero 1 anche di Fiat significa non poco. Si concentrano in un’unica persona la rappresentatività dell’ultima grande azienda industriale italiana e, attraverso Confindustria, di un tessuto imprenditoriale costituito dalle medie imprese che i dati ad oggi ci dicono aver ripreso un cammino di crescita. Non si potrà non tenerne conto. E non a caso, proprio in questi giorni, Montezemolo ha chiesto al governo di ridurre al minimo le conflittualità interne e avviare rapidamente un’azione di intervento sulle priorità economiche, normative e infrastrutturali del Paese. Il Presidente di Confindustria sa, per diretta conoscenza, il significato di “competizione” e il breve tempo che la globalizzazione consente alle imprese. Prodotti, tecnologie, capacità reattiva di risposta…tutte cose che, indipendentemente dal colore politico, sono state fino ad oggi molto lontane dall’azione dei governi.
E la server consolidation, cosa c’entra con tutto questo? C’entra moltissimo. Pur essendo una cosa molto specifica (è una delle soluzioni per ridurre la complessità delle architetture It distribuite e giungere a sistemi informativi più semplici, meno costosi, più reattivi alle istanze del business) la prendiamo come metafora della volontà che in questo momento le imprese italiane stanno avendo (e anche subendo) per mettere “ordine in casa”, disporre di tecnologie che sappiano dare una risposta reale alle esigenze informative che sempre più supportano lo sviluppo di qualsiasi business. Per essere pronte ad una nuova competizione. Non dimentichiamoci che il nostro Paese, in termini di innovazione tecnologica, sta perdendo, da anni, sempre più terreno, ed è fuori dal Club dei paesi più ricchi. Per quanto riguarda gli investimenti in ricerca, in nuovo software, nella realizzazione di scuole e istituti di formazione tecnologica, il Bel Paese è nelle ultime posizioni nel gruppo delle nazioni ricche. Dietro di noi soltanto Portogallo, Polonia, Messico e Grecia. Anche su queste cose, da qui alle politiche del 2006, bisognerebbe, più che parlare, fare. Poi gli italiani, come sempre, sapranno trarre elettoralmente le loro conclusioni.

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