Criptovalute: una evoluzione del free banking

Si tratterebbe, infatti, di un canale parallelo rispetto a quello tradizionale, che permetterebbe una maggiore democratizzazione dell’accesso al credito e nuovi sistemi di finanziamento per le imprese. Attualmente, però, ci si muove in un contesto privo di una normativa certa

Pubblicato il 09 Giu 2021

Riccardo Nigro

dottore in Diritto per le Imprese e le Istituzioni, Studente in giurisprudenza, Università di Torino.

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Il free banking è un sistema di credito svincolato dall’esistenza delle banche centrali. Attualmente, però, il termine viene solitamente riferito a una teorizzazione compiuta da Von Hayek negli anni Settanta. Questo modello prevede che ogni banca privata, partecipante al sistema bancario libero, sia indipendente ed emetta moneta fiat (cartacea priva di valore intrinseco). Emergono notevoli somiglianze tra esso e quello delle criptovalute. Queste sono emesse da società o organizzazioni private e circolano grazie alla fiducia che gli utenti nutrono nella piattaforma dalla quale sono emesse. La tecnologia blockchain consente di creare scarsità digitale e di evitare, quindi, il fenomeno tipico di Internet della duplicazione: in questo caso viene evitato il cosiddetto double spending.

Criptovalute, blockchain e free banking

Oggi è normale, e uniformemente accettato, che gli enti centrali detengano il monopolio dell’emissione di moneta. Le valute odierne vengono emesse da banche centrali (come ad esempio la BCE, la FED), le quali ne regolano il volume circolante e ne stabilizzano il valore attuando le politiche monetarie. Queste monete rientrano nella categoria delle fiat money, ovvero valute che, a differenza delle commodity money, sono prive di un valore intrinseco. Gli utilizzatori hanno fiducia nell’ente emittente (banca centrale, governo) e ciò ne attribuisce il valore; il corso forzoso ne consente, invece, l’accettazione come metodo di pagamento e di estinzione delle obbligazioni pecuniarie garantendone, così, la circolazione. Le monete attuali sono quindi gestite dalle banche centrali e dai governi degli Stati, che ne monopolizzano l’emissione. Questo fenomeno, che ci sembra “naturale”, lo è ma solo se contestualizzato nel nostro periodo storico. In passato non è sempre stato così.

Che cos’è il free banking

Vi sono numerose testimonianze storiche: il periodo di cosiddetto free banking che si ebbe in Svizzera per tutto il 1800 e in Scozia tra il 1716 e il 1845. Anche in Italia, tra il 1877 e il 1879, vi furono alcuni tentativi di riforma che ebbero come obiettivo l’abolizione del corso forzoso e l’introduzione del free banking (anche se non puro). Il promotore di questa riforma, mai portata a termine, fu Salvatore Majorana Calatabiano, allora Ministro di agricoltura, industria e commercio.

Questi tre esempi sono precedenti all’invenzione del concetto di moneta fiat: essi furono, infatti, caratterizzati dall’emissione competitiva di banconote basate su standard monetari imperniati sul controvalore dei metalli preziosi.

Cosa si intende per Hayek Money

Come anticipato, il termine free banking viene solitamente riferito a una teorizzazione compiuta da Von Hayek negli anni Settanta. Questo modello prevede che ogni banca privata, partecipante al sistema bancario libero, sia indipendente ed emetta moneta fiat (cartacea priva di valore intrinseco). Il valore della moneta viene affidato alla reputazione che le banche riescono a guadagnarsi: più la banca sarà virtuosa nel suo operato, più il valore e l’accettazione della moneta da essa emessa si accrescerà. Un sistema di questo tipo genererebbe, secondo i suoi sostenitori, una competizione tra istituti emittenti al fine di incrementare gli standard di affidabilità bancaria. Ciò permetterebbe un’auto-stabilizzazione del mercato monetario, che rimarrebbe comunque stimolato a innovarsi e migliorare. Il sistema di free banking teorizzato da Von Hayek, però, non è mai stato realizzato, a differenza di quelle esperienze di free banking cui si è accennato in precedenza.

Free banking, come funziona

Il sistema di free banking teorizzato da Hayek prevedeva che le banche emittenti moneta potessero essere fondate come una qualsiasi altra impresa commerciale; esse dovevano sottostare esclusivamente alle norme di diritto commerciale, non necessitando di alcun tipo di autorizzazione da parte della pubblica autorità. L’unico requisito indispensabile era la capacità di raccogliere fondi necessari e idonei a guadagnarsi la fiducia dei clienti. In un sistema del genere ogni banca avrebbe avuto gli stessi diritti delle altre e sarebbe stata soggetta alla stessa responsabilità delle altre imprese commerciali. Le note di banca emesse da tali istituti di credito sarebbero state delle obbligazioni, e in quanto tali convertibili, su richiesta, in un mezzo di scambio generalmente accettato. Nessuna banca avrebbe potuto ricevere aiuti mirati dai governi o imporre il corso forzoso della propria moneta. In caso di fallimento sarebbe stata applicata la normativa fallimentare.

È chiaro, quindi, come l’abbandono di uno standard basato su un mezzo di scambio generalmente accettato (ad esempio un metallo prezioso), sarebbe insostenibile per sistemi del genere.

criptovalute free banking

Come funzionano gli exchange di criptovalute

La scarsità digitale consente alle criptovalute di essere passibili di una valutazione economica. Infatti, il loro valore in denaro corrente è determinato dal prezzo che ha un’unità di esse all’intersezione della curva di domanda con quella di offerta. Perciò, va tenuto presente che le valutazioni osservabili sui principali siti di trading online di criptovalute sono una media del valore di tutti i prezzi di una data valuta in tutti i mercati dei diversi crypto exchange.

I concetti base che regolano il funzionamento degli exchange di criptovalute sono pressoché gli stessi di quelli tradizionali (come, ad esempio, la Borsa Italiana); la particolarità è che, in questo caso, esistono due tipi di exchange: quelli decentralizzati e quelli centralizzati. Negli exchange decentralizzati il possesso della valuta è in capo all’utente che la contratta, il quale personalmente ne propone e accetta i prezzi. Negli exchange centralizzati, che sono quelli di gran lunga più utilizzati, il possesso delle criptovalute è in capo stesso all’exchange che le detiene. Va detto che, non essendoci alcun tipo di regolamentazione circa il loro prezzo, la loro quotazione risulta molto volatile, per cui ogni investimento su di esse risulta essere molto rischioso per i non esperti.

Si tenga presente che sono molteplici i modi per poter avere accesso alle criptovalute: diventare un miner (che di fatto, le “estrae” diventandone proprietario a titolo originario), riceverle da qualcuno, partecipare ad un ICO (Initial Coin Offering) o affidarsi agli exchange sopra descritti. L’accesso alle criptovalute può dipendere, anche, dalla piattaforma emittente, in quanto alcune di esse, come ad esempio gli Xripple, non sono minabili.

La politica monetaria del Bitcoin

I bitcoin (qui si intende la criptovaluta della blockchain Bitcoin) vengono emessi seguendo una politica monetaria prestabilita dal codice sorgente. Infatti, il numero massimo di bitcoin estraibili è pari a 21 milioni; raggiunta questa cifra non sarà più possibile estrarne altri. Nello specifico, la politica monetaria di Bitcoin è la seguente: cinquanta BTC ogni dieci minuti che si dimezzano ogni quattro anni. Quindi nel 2009, anno della creazione di Bitcoin, la ricompensa per ogni blocco ammontava a 50 BTC, nel 2018, invece, venivano minati 12,5 BTC per ogni blocco. Nel 2022 sarà possibile estrarre solo 6,25 BTC per blocco e così via. Una parte della dottrina, osservando questa caratteristica, che rende i bitcoin un bene esauribile, ha accostato questa criptovaluta all’oro. Secondo questa tesi i bitcoin sarebbero “oro digitale” e potrebbero essere considerati come un bene rifugio di nuova creazione.

Altre criptovalute e politiche monetarie

Non tutte le valute virtuali, però, hanno le stesse caratteristiche del Bitcoin. Altre monete, come ad esempio Ripple, che viene largamente utilizzata dalle banche tradizionali come valuta ponte per effettuare pagamenti transfrontalieri e operazioni interbancarie, attuano una politica monetaria in maniera centralizzata. La società emittente decide quando aumentare e ridurre il volume circolante in base agli obiettivi da raggiungere.

Altre criptovalute, chiamate stable coin, basano il loro valore, che tende a essere stabile nel tempo, su altre valute o commodity (come ad esempio l’oro).

Un esempio di questo tipo di valuta virtuale è Tether, il cui valore è garantito da un collaterale basato sui dollari americani: 1 USDT (Theter) vale 1 dollaro. La politica monetaria di questa piattaforma è basata sulla richiesta e non vi è un numero massimo di criptovalute prestabilito. Ogni USDT ha un corrispettivo in dollari depositati in alcuni conti bancari (bisogna sottolineare il fatto che il management della società emittente non ha dato, secondo gli esperti del settore, sufficienti garanzie circa l’esistenza di questi depositi bancari, perciò da alcuni questa criptovaluta è considerata una truffa).

Quante sono le criptovalute esistenti: un sistema free banking de facto

È chiaro che questi fenomeni sono molto vicini al sogno di Hayek di una denazionalizzazione della moneta e di un regime di competitività tra monete libere. Ad ottobre 2020 le criptovalute esistenti secondo il sito web Coinmarketcap erano 3783, numero in costante aumento. Ogni moneta è basata su una blockchain che ha le proprie regole, la propria politica monetaria e le proprie caratteristiche spesso orientate all’utilizzo per il quale sono state progettate. Le criptovalute costituiscono, de facto, un sistema di free banking alternativo e parallelo al sistema bancario “tradizionale”. È chiaro, inoltre, che nelle criptovalute coesistono caratteristiche tipiche sia delle monete sia dei beni giuridici sia degli strumenti finanziari, complicando ancora di più la ricerca di una definizione giuridica del fenomeno.

Se le vediamo nell’ottica di un mezzo di scambio, le criptovalute potrebbero ben rientrare nel fenomeno del free banking. Esse, infatti, sono accettate liberamente dalle parti, e la loro circolazione è dovuta alla fiducia degli utenti nella piattaforma emittente. Si rilevano anche caratteri di maggiore democraticità di accesso al credito, e una vena internazionalista di questi mezzi di pagamento sempre più attuali nel contesto di forte innovazione digitale che stiamo attraversando.

Criptovalute, tecnologia disruptive

Le valute virtuali e la tecnologia blockchain (e tutte le sue applicazioni) possono quindi essere considerate come una tecnologia disruptive su moltissimi piani. Questa invenzione geniale ha la possibilità di modificare il mondo delle relazioni giuridico-economiche al quale siamo abituati.

Oltre alle criptovalute, anche altre applicazioni della blockchain, come le DAO (Decentralized Autonomous Organization) e gli smart contract si apprestano a entrare “di diritto” nella cosiddetta quarta rivoluzione industriale.

Criptovalute tra mezzo di pagamento e datio in solutum

Dopo aver accostato le valute virtuali ai sistemi di free banking, risulta doveroso menzionare la critica più comune che viene fatta a queste “nuove” valute: come possiamo considerarle delle monete se non ci si possono comprare beni? In realtà questa critica evidenzia una scarsa conoscenza del tema delle transazioni su blockchain, che seppur complesso, ne consente la mobilitazione anche per compiere acquisti. La critica, però, risulta puntuale se si pensa all’uso più comune che viene fatto delle criptovalute: quello speculativo. In questo caso risulta impossibile compiere acquisti perché solitamente gli exchange consentono agli utenti solamente l’uso speculativo di esse. L’ente in questo caso ne detiene il possesso e ne consente la negoziazione al solo fine di ottenere una plus o minus valenza dovuta alla differenza tra il prezzo di acquisto e di vendita.

Tuttavia, questo non è l’unico modo di poterle utilizzare. Esse possono essere acquisite a titolo originario attraverso l’attività di mining, oppure si può averne la disponibilità perché le si è ricevute tramite una transazione o si ha partecipato a una ICO (Initial Coin Offering). In questi casi si possono compiere transazioni direttamente con gli operatori che le accettano come metodo di pagamento. Per quanto riguarda il nostro ordinamento, un pagamento in criptovalute può essere contrattualmente ricondotto all’istituto della datio in solutum. Ciò ne consentirebbe la circolazione come mezzo di pagamento contrattuale dando efficacia solutoria allo stesso.

Cosa dice il Codice Civile

Infatti, il nostro ordinamento prevede l’articolo 1197 del Codice civile, rubricato “prestazione in luogo dell’adempimento”, che stabilisce al primo comma: “Il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di valore uguale o maggiore, salvo che il creditore consenta. In questo caso l’obbligazione si estingue quando la diversa prestazione è eseguita”.

Se il creditore consente che la prestazione pecuniaria a carico del debitore sia eseguita con una prestazione di dare Bitcoin, il debitore si libera compiendo la transazione. È necessario, però, individuare il momento preciso in cui questa obbligazione si possa considerare adempiuta. Innanzitutto, il debitore nell’adempiere all’obbligazione deve rispettare i principi di correttezza e diligenza, per cui sembrerebbe opportuno che le parti attendano almeno la sesta conferma (o che comunque di attendano il numero di conferme che rendono immutabile tale transazione facendo riferimento al funzionamento tecnico della blockchain utilizzata) al fine di avere un sufficiente grado di definitività della prestazione.

Infatti, le parti che decidono di adottare questo strumento dovrebbero essere consapevoli del suo funzionamento tecnico; in sede contrattuale si potrebbe anche stabilire la quantità di convalide da ritenere sufficienti al fine liberatorio. Dopo che il numero di conferme prestabilito sarà raggiunto, l’adempimento si potrà considerare preciso e definitivo.

Si rileva che potrebbe essere una buona prassi quella di regolare il pagamento tramite criptovalute attraverso delle apposite clausole contrattuali in cui le parti, oltre a stabilire che l’intero o parte della somma dovuta sarà pagata con le criptovalute, cristallizzino il momento, il tasso di cambio e l’identificazione dei wallet tra i quali avverrà la transazione (oltre naturalmente ai tempi dell’adempimento).

Conclusioni

Le criptovalute, congiuntamente alla tecnologia blockchain, si apprestano a cambiare le relazioni economico-giuridiche tra persone e aziende; dal punto di vista degli strumenti di pagamento sembrerebbe corretto parlare di un sistema di free banking di fatto. Si tratterebbe, infatti, di un canale parallelo rispetto a quello tradizionale, che permetterebbe una maggiore democratizzazione dell’accesso al credito, nuovi sistemi di finanziamento per le imprese, eccetera. Tuttavia, attualmente ci si muove in contesto privo di una normativa certa (per lo meno nel nostro Paese) e non bisogna sottovalutare i rischi dovuti all’estrema volatilità delle criptovalute e della loro complessa natura tecnica. L’accesso a questi strumenti richiede una preparazione adeguata e un’accettazione del rischio commisurata alle proprie disponibilità.

Il fatto che siano tornate al centro del dibattito pubblico potrebbe finalmente portare a una maggiore attenzione e sperimentazione positiva della blockchain nei settori in cui potrebbe essere più efficace ed efficiente.

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