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Un transistor “organico” per malattie neurodegenerative: grande passo nella ricerca

Reagisce alla luce proprio come i neuroni della retina: il PoC di dispositivo realizzato da un team di ricerca internazionale segna un passo avanti nello sviluppo di impianti neurali completamente organici. Una vittoria di questa branca di elettronica ma, soprattutto, una speranza per chi soffre di cecità e di patologie legate a problemi di comunicazione neurale

Pubblicato il 09 Gen 2024

Immagine di Gorodenkoff su Shutterstock

Lasciata a volte ingiustamente da parte o in ombra, l’elettronica organica potrebbe aver inaugurato le scorse settimane l’era del suo riscatto, grazie a uno nuovo studio pubblicato su Nature Communications e realizzato da un team di ricercatori in gran parte italiani. Tutto merito di un chip che imita il funzionamento della retina e che può fare strada e rivoluzionare la medicina, e non solo.

L’opportunità di riscatto nasce dal fatto che l’elettronica convenzionale non è biocompatibile e ha strutture troppo rigide per poter essere integrata in modo efficace ai sistemi biologici. Quella organica fornisce un’alternativa vincente in questo contesto, perché realizzata con polimeri flessibili non tossici, che non rischiano quindi di scatenare alcuna risposta immunitaria.

Rappresenta quindi una strada percorribile per far interfacciare meglio l’elettronica con la nostra biologia.

Dal punto di vista applicativo, ciò potrebbe in futuro consentire lo sviluppo di tecniche di trattamento delle malattie neurodegenerative e di realizzazione delle protesi ma anche quelle alla base dell’informatica e della produzione di energia rinnovabile.

Un transistor fotoelettrochimico organico sensibile alla luce

Il nuovo dispositivo realizzato dai ricercatori, per ora a livello di proof of concept, mostra di poter reagire alla luce e di trasmettere segnali utilizzando ioni. Ha anche memoria: sembra sia in grado di ricordare la quantità di segnale che lo ha attraversato. Di fatto si comporta proprio come i neuroni della retina ed è costituito – non certo per caso – da materiali adatti a essere impiantati nel corpo.

Si tratta di un “transistor fotoelettrochimico organico” in cui un elettrolita collega due pellicole di polimero conduttivo molto sottili poste su un supporto di vetro. Una fa da canale tra gli elettrodi di source e drain, l’altra da gate. Applicando tensione a quest’ultima, se ne modifica là conduttività.

Un aspetto particolarmente sorprendente sottolineato dai ricercatori consiste nella possibilità di controllare il dispositivo attraverso la luce, grazie alla presenza di molecole fotosensibili integrate nel polimero del gate.

Grazie ad alcuni esperimenti, si può affermare che questo transistor è in grado di replicare gli stessi schemi del sistema di riconoscimento visivo.

Dopo aver sottoposto il gate a due impulsi di luce a distanza di meno di cinque secondi l’uno dall’altro, si osserva una corrente più elevata. Dopo averlo sottoposto a 500 impulsi luminosi di fila, a distanza di un secondo l’uno dall’altro, si nota invece che la conduttività del canale è diminuita a ogni impulso. Una volta cessati gli stimoli luminosi, gradualmente la conduttività torna ma solo dopo minimo 30 minuti.

Impianti completamente organici: il sogno è sempre più vicino

La somiglianza tra il dispositivo PoC e i neuroni biologici è piuttosto promettente. Dimostrandosi in grado di imitare il modo in cui le connessioni tra i neuroni si rafforzano o si indeboliscono nel tempo, in base alla quantità di attività che vedono, il nuovo dispositivo “ammicca” anche alle dinamiche alla base del processo di apprendimento.

Queste evidenze incoraggiano il team a proseguire con la ricerca con ritmo serrato, determinazione e l’idea di poter presto annunciare la realizzazione di un dispositivo pratico. La strada è lunga ma, come spiegano Ottavia Bettucci (Ricercatrice presso l’Università Bicocca) e Francesca Santoro (Docente della RWTH Aachen University – Germania), due co-autrici dello studio, si sta puntando da subito su materiali economici e di uso comune, semplificando il più possibile il processo di sintesi del polimero sensibile alla luce.

La vera sfida sarà quella di realizzare un substrato flessibile e biocompatibile che sostituisca quello in vetro. Va migliorata anche la velocità di funzionamento e serve che il dispositivo possa anche trasmettere e non solo reagire ai segnali biologici, per ottenere un circuito di feedback con i sistemi biologici.

Obiettivi ambiziosi ma che vale la pena di perseguire, sognando lo sviluppo di impianti neurali completamente organici destinati al trattamento di diverse patologie, come il morbo di Parkinson e il morbo di Alzheimer, o alcune forme di cecità. Sarebbe un consistente passo avanti nella cura di tutte quelle patologie in cui la comunicazione neurale non funziona in modo corretto.

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