Digital360 Awards 2023

L’unicità dell’AI sfida i CIO. Si vince puntando sulle persone

Veloce, globale e diffusa, l’innovazione AI based ha delle peculiarità che rendono il ruolo dei leader IT più che mai cruciale per la competitività dell’azienda. È necessario comprendere come integrarla in modo realmente utile, formando le persone perché possano trarne beneficio e diventare utenti consapevoli. Privatamente e sul posto di lavoro. Durante i Digital360 Awards se ne è discusso con interventi di alto livello. 

Pubblicato il 14 Nov 2023

AI sfida i CIO

Se la merita tutta questa attenzione l’intelligenza artificiale? È a questa tecnologia che è stata dedicata l’ottava edizione dei Digital360 Awards ma non è stata l’ennesima occasione creata semplicemente per incensarla. L’evento finale di questa iniziativa, organizzato in concomitanza con il CIOSumm.it, è stato il momento per discuterne al netto di rumors, interessi privati, allarmismi e facili entusiasmi. Il “verdetto” emerso è: “sì, merita attenzione”. Ciò però non significa per forza investimenti, per lo meno non economici: vuol dire che è una tecnologia “speciale” che deve essere trattata in modo differente dalle altre per via dell’impatto a 360 gradi che sta dimostrando di avere sulle nostre vite private, pubbliche e lavorative.

Un’innovazione da compiere sfida dopo sfida

Nel contesto aziendale, l’unicità dell’intelligenza artificiale si manifesta nelle peculiarità evidenti che caratterizzano processo di innovazione che innesca. “È fondamentale distinguerla perché richiede meccanismi specifici che per altre tecnologie non servono. In questo caso l’evoluzione avviene tramite una serie di sfide che rappresentano di volta in volta un passo avanti in ogni particolare momento storico” spiega infatti Giovanni Miragliotta, docente del Politecnico di Milano. “I progetti AI sono sempre progetti di frontiera, di cui è importante comprendere e gestire la comunicazione. I CIO sono i primi a dover imparare a conoscere come può essere utilizzata con successo”.

Il carattere disruptive dell’AI innesca un meccanismo pericoloso nelle normali dinamiche di mercato: da un lato, chi non la adotta “muore”, dall’altro, il livello delle prestazioni, pur alzandosi, si “schiaccia”. Ecco, quindi, che per i CIO la sfida si fa più ardua: non possono limitarsi a integrare la nuova tecnologia di default, ma devono farlo in modo che impatti sulla competitività aziendale. “Ciò significa identificare cosa fare da soli con i propri asset distintivi, valorizzando il proprio patrimonio informativo, e cosa acquistare da soluzioni altrui, in una responsabilità di governance che coinvolge anche la strategia dell’azienda” spiega Miragliotta.

Da gestire con inedita cura anche il tema della proprietà intellettuale di progetti AI realizzati con un provider: “in questo nuovo contesto il successo è legato alla tecnologia e all’esperienza del fornitore e alla qualità dei dati e all’expertise di chi lavora. Non è semplice definire chi ha il diritto al suo termine – aggiunge Miragliotta – e l’AI generativa complica ulteriormente la situazione”.

Il rischio legato alle regole

Il carattere unico e rivoluzionario dell’AI raggiunge anche i banchi dei regolatori che sono chiamati a riservarle un trattamento speciale per tre principali ragioni. A spiegarle è Guido Scorza, membro dell’Autorità Garante per la Protezione dati personali. “Ha tempi di implementazione incompatibili con le normative e una dimensione fortemente globale, inoltre richiede una massiccia opera di educazione alla consapevolezza. Per l’AI, la formazione è fondamentale, il rischio è altrimenti quello di mettere uno strumento estremamente potente in mano a persone ignoranti”.

Secondo Scorza è urgente la necessità di lavorare per avvicinate le persone alla logica algoritmica, perché possano diventare in grado di capire quando una soluzione rispetta i loro diritti. “Per ora si sta investendo tanto nell’insegnare agli algoritmi a conoscere le persone invece che per insegnare alle persone a conoscere gli algoritmi. Utenti non educati – spiega Scorza – tendono a scegliere soluzioni più convenienti ma create in paesi che hanno una regolamentazione più leggera, creando un rischio per il mercato. Servono persone informate, per far sì che l’intelligenza artificiale possa essere sfruttata per accrescere il benessere collettivo e non vederlo minacciato”.

AI e conflitti, nel mondo e in azienda

Nel suo protagonismo, l’intelligenza artificiale finisce spesso per entrare anche nel campo geopolitico, vestendo i panni di potenziale ago della bilancia nei conflitti in corso. Dario Fabbri, analista politico e direttore di Domino, spiega invece che “è un errore pensare che questa tecnologia, seppur disruptive, possa decidere l’esito degli scontri tra potenze. Le vicende tra umani sono sempre regolate dall’approccio umano ed etnologico che si ha rispetto a questa ‘arma’, come alle altre”.

Con l’esempio della polvere da sparo in Persia, dimostra infatti che “non esiste nessuna innovazione, tecnologica e non, che determini da sé le vicende umane. Tutto dipende da come le diverse fazioni la approcciano e la usano”. Questo vale anche per l’attualissima lotta tech tra USA e Cina che stanno approcciando l’AI e l’AI generativa in modo ugualmente “aggressivo” ma completamente differente. I cinesi la usano per controllare la propria popolazione, gli USA e tutto l’Occidente per controllare gli altri: “un vero e proprio rovesciamento di paradigma”.

La centralità dell’approccio all’AI emerge anche nel contesto aziendale, come illustra Federico Cabitza, ingegnere informatico e docente dell’Università Bicocca di Milano, regalando tre possibili scenari conseguenti alla sua implementazione: AI livellatrice, AI scala mobile e AI King maker. “Nel primo caso ‘schiaccia’ le performance, nel secondo amplifica le capacità di ciascuno in modo diverso, nel terzo potenzia solo i migliori. Dipende da noi, possiamo decidere lo scenario che desideriamo proiettare sulla nostra forza lavoro – spiega – dipende dalle attività che deleghiamo, da quanto e quando ci facciamo aiutare dall’AI e dal livello di automazione della nostra scala decisionale”.

Cabitza presenta e promuove il modello “centauro”, in cui confluiscono gli aspetti migliori dell’uomo e quelli computazionali e innovativi dell’AI “in una integrazione positiva che porta risparmi e un crollo del tasso di errore. L’importante è comprendere che la frontiera che separa ciò che va affidato alla tecnologia da ciò che è meglio facciano le persone è frastagliata. Per questo, tra noi e la tecnologia bisogna imparare a tenere la giusta distanza. Non basta prenderla e implementarla per far sì che trasformi le nostre risorse umane in centauri davvero e non li faccia invece inciampare”.

Superpoteri e serotonina: i superCIO valorizzano le persone

Non tutte le tecnologie infondono la strana sensazione di avere dei superpoteri come sa fare l’AI generativa. Sono spesso i CIO a dover gestire questo effetto speciale quando si verifica all’interno della forza lavoro. Il che li obbliga a comprendere come questa innovazione possa essere introdotta in un’organizzazione, senza che porti scompiglio. Secondo Giuliano Trenti, founder di NeurExplore “serve formazione. È necessario prendersi il tempo di spiegare come funziona e affrontare assieme il tema dei rischi, ai timori e agli allarmi che stanno accompagnando il suo successo”.

Persiste l’ombra dell’incubo sostituzione che, a singhiozzo, spesso conquista alta visibilità anche sui media. Trenti è però convinto che sia poco probabile si verifichi: “continueremo a dare noi umani gli input e a verificare gli output, anzi, saremo più importanti di quanto crediamo. Le dinamiche interne a ogni team sono tuttora molto più decisive della tecnologia che il team stesso usa per raggiungere risultati di gruppo. Resta essenziale quindi, anche con l’avvento dell’AI, assicurarsi che ci sia sintonia di gruppo”. Solo così si può contare sull’hyper brain, l’effetto che si ha quando più persone lavorano bene assieme, formando un unico grande cervello potente. L’ennesima sfida per i CIO che “devono introdurre l’AI mantenendo armonia e benessere in azienda – aggiunge Trenti – perché alimenta un corretto approccio alla risoluzione delle sfide. Devono imparare a essere distillatori di serotonina”.

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