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L’AI in UE non licenzia, ma premia i Paesi più digitali e dinamici

Le professioni altamente qualificate sembra siano destinate a trarre maggiori vantaggi dalla diffusione dell’AI, soprattutto se impiegano i giovani. Gli altri non dovrebbero perdere lavoro, secondo una ricerca della BCE che, con prudenza, prevede un quadro occupazionale rivoluzionato dall’AI ma non in modo per forza negativo. Dipende da Paese a Paese, e da DESI a DESI

Pubblicato il 23 Gen 2024

Immagine di Summit Art Creations su Shutterstock

Ogni “wave” che si origina nel mondo IT si propaga regolarmente anche nel mondo del lavoro. La storia, e i dati che la descrivono, suggeriscono il quasi certo verificarsi ogni volta di un effetto di compensazione che non crea evidenti masse di disoccupati. Finora, quasi sempre, i potenziali effetti negativi della tecnologia sono stati infatti controbilanciati dall’aumento della produttività e dalla creazione di nuove professioni.

Ci piacerebbe pensare che ciò avverrà quasi di default anche per l’intelligenza artificiale. Possiamo farlo, ma non con la massima serenità, perché questa tecnologia non è come tutte le altre. Non lo si dice perché è quella del momento, ma perché oggettivamente è la più pervasiva che si sia mai vista negli ultimi tempi. Ha innescato innovazione nei più svariati settori, come la robotica, l’apprendimento supervisionato e non, nell’elaborazione del linguaggio naturale, la traduzione automatica e il riconoscimento delle immagini. E viene applicata anche in molti altri ambiti per automatizzare il lavoro umano non ripetitivo: dalla produzione e dai servizi, fino alla consulenza medica e alla scrittura di codici. In aiuto a chi vacilla tra scenari catastrofici e orizzonti troppo rosei, arriva uno studio della BCE (Banca Centrale Europea).

Più qualificati, più avvantaggiati dall’AI: l’UE non segue gli USA

Analizzando per nove anni (2011-2019) il mercato del lavoro in relazione all’introduzione dell’AI in 16 Paesi europei, dalla ricerca emerge un bilancio generale positivo. Le buone notizie riguardano soprattutto i ruoli altamente qualificati nei settori interessati dall’AI che potrebbero crescere tra il 2,6 e il 4,3%. Questa tendenza si mostra in modo ancora più marcato, quasi doppio, quando i protagonisti sono i lavoratori più giovani.

Sui ruoli poco qualificati, per ora sembra che l’intelligenza artificiale e le tecnologie da essa abilitate non abbiano un forte impatto. L’esposizione all’innovazione rappresenta sempre e comunque un’opportunità tanto quanto un rischio. Se integrabili e saggiamente integrate, le novità IT possono migliorare la qualità di vita dei lavoratori senza lasciarli a casa, se sostitutive, possono escludere intere categorie dal mercato.

Anche per via del periodo di tempo considerato, ancora all’inizio della “wave AI”, la BCE ammette di faticare a valutare il reale effetto sui salari. Non si sbilancia e parla di un “impatto da neutro a leggermente negativo”, a eccezione dei giovani qualificati. Questi lavoratori, ancora rari sul mercato, tendono a essere “strapagati” ma questo effetto “mosca bianca” non è destinato a durare a lungo.

Un altro trend osservabile nei prossimi anni potrebbe essere quello sulla disuguaglianza dei redditi. Se l’informatizzazione aveva infatti provocato un brusco abbassamento di quelli dei lavoratori mediamente qualificati che svolgevano lavori ad alta intensità di routine, l’AI potrebbe fare lo stesso nei confronti della manodopera altamente qualificata, riportando una certa equità, anche se al ribasso. Per il momento, si tratta solo di una supposizione, una tesi sviluppata “a tavolino”.

Benefici ma non ovunque: dipende dal DESI

Molte sono le previsioni esposte nella ricerca che risultano a verificare nei prossimi anni. Lo afferma la BCE per prima che si riserva il diritto di aggiornarle, man mano che le tecnologie abilitate dall’AI continueranno a essere sviluppate e adottate.

È intanto curioso e interessante osservare come le dinamiche europee stiano discostandosi da quelle statunitensi, per lo meno in questo primo periodo considerato. Oltreoceano sembra che l’AI generativa possa causare la perdita di 2,4 milioni di posti di lavoro entro il 2030. Un trend apparentemente opposto a quello a cui si sta assistendo nel nostro continente dove, per ora, gli impatti sembrano positivi, anche se affatto omogenei. L’entità varia sostanzialmente da Paese a Paese a seconda di diversi fattori, sia economici che sociali e infrastrutturali.

In particolare, emerge una forte correlazione con il DESI: i Paesi in fondo alla classifica sembra beneficeranno molto meno degli effetti occupazionali positivi dell’AI e l’Italia è tra questi.

Secondo la BCE, altre caratteristiche nazionali che influenzano il livello di vantaggi associati alla nuova tecnologia riguardano la qualità dell’istruzione (PISA) e delle istituzioni (WGI), ma anche la salute del mercato del lavoro e le dinamiche che lo governano. Quando è poco flessibile e chiuso alla libera concorrenza, non lascia spazio all’innovazione per creare concreti benefici ai lavoratori.

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