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Dal dato al ROI: perché l’AI fatica (ancora) a entrare nei processi delle aziende italiane



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Non è una questione di modelli o piattaforme, ma di governance. I risultati del Red Hat Tech Trends Survey mostrano come silos organizzativi, carenza di competenze e difficoltà nella gestione del dato rallentino la capacità delle imprese di trasformare l’AI in valore di business. Il ruolo dell’open source

Pubblicato il 18 dic 2025

Vincenzo Zaglio

Direttore ZeroUno



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Il refrain è ormai assodato: le aziende italiane stanno aumentando in modo deciso gli investimenti in intelligenza artificiale, ma la distanza tra sperimentazione e risultati concreti resta ancora ampia.

Secondo il Red Hat Tech Trends Survey, le organizzazioni del nostro Paese prevedono un incremento medio degli investimenti in AI del 35% entro il 2026. Allo stesso tempo, però, l’86% dichiara di non aver ancora generato valore per i clienti a partire da queste iniziative. E non si tratta di un problema di scelta tecnologica, ma il modo in cui AI, cloud e governance vengono integrati nelle strategie IT. È un po’ questo lo snodo che molte organizzazioni stanno incontrando nel passaggio dall’AI “promessa” all’AI “in produzione”.

Dalla sperimentazione al ROI: il nodo irrisolto dell’AI

Il dato che emerge dalla ricerca è di fatto una conferma: la maggior parte delle aziende italiane si colloca ancora nelle fasi iniziali dell’adozione dell’AI: esplorazione dei casi d’uso, proof of concept, primi esperimenti isolati. Solo una minoranza è arrivata a utilizzare l’AI come leva per generare valore misurabile.

«C’è una grande difficoltà nel tradurre le iniziative di intelligenza artificiale in metriche di business misurabili, sia in termini di efficienza sia di nuovi ricavi», osserva Giampiero Cannavò, Regional Director, Head of Med and Italy Ecosystem, Red Hat. «L’incertezza sui tempi di ritorno dell’investimento e la mancanza di benchmark consolidati rendono più complesso il passaggio dalla sperimentazione alla produzione».

La survey conferma questa percezione: il 31% degli intervistati indica l’assenza di un chiaro valore di business o di un ROI definito come principale barriera all’adozione dell’AI, seguita dalla carenza di infrastrutture e risorse e dalla separazione tra team IT e team AI.

Il rischio (e il segnale) della Shadow AI

Un altro dato che colpisce è la diffusione della shadow AI: il 93% delle organizzazioni italiane dichiara di riscontrare un utilizzo non autorizzato di strumenti di intelligenza artificiale da parte dei dipendenti. Un fenomeno spesso letto solo in chiave di rischio, ma che secondo Red Hat va interpretato anche come indicatore di un’esigenza non soddisfatta.

«La shadow AI pone problemi evidenti di sicurezza e conformità, ma dimostra anche che le persone vogliono innovare», sottolinea Rodolfo Falcone, Amministratore Delegato di Red Hat Italia. «Osservare come i dipendenti usano l’AI può aiutare i leader a capire dove servono nuove funzionalità o maggiore educazione sulle capacità già disponibili».

Il tema, per i CIO, è creare un perimetro tecnologico e organizzativo che consenta di sfruttare questa spinta dal basso senza però perdere controllo.

Dati e silos organizzativi

Il tema del dato emerge come uno spartiacque tra sperimentazione e reale creazione di valore. Stefano Mainetti, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Cloud Ecosystem & Sovereignty, insiste su questo punto con un approccio che va oltre la dimensione tecnologica: «La gestione del ciclo di vita del dato – dalla produzione alla governance, dalla qualità alla responsabilità decisionale – rappresenta il vero asset strategico su cui si costruisce la capacità di sfruttare l’AI in modo sistemico. Se questo non è chiaro, l’AI diventa solo una patina tecnologica che non genera valore».

Mainetti richiama esplicitamente il rischio di una delega eccessiva all’IT inteso come “risolutore di problemi”, mentre il business resta distante dalla complessità della gestione del dato. «Questo approccio, consolidato negli anni, diventa un limite quando l’AI entra nei processi decisionali: senza una responsabilizzazione diffusa sul valore del dato, l’azienda fatica a costruire casi d’uso solidi e sostenibili. L’intelligenza artificiale, in questo senso, non crea il problema ma lo rende evidente, mettendo a nudo la maturità – o l’immaturità – organizzativa».

È un punto che emerge anche dalle evidenze della survey Red Hat: la separazione tra IT, funzioni di business e team dedicati all’AI rappresenta un ostacolo alla scalabilità delle iniziative. In molti casi, l’intelligenza artificiale nasce come progetto laterale, avviato da una singola business unit o da un gruppo ristretto, senza un reale allineamento con la data strategy complessiva dell’azienda.

Cannavò conferma che la difficoltà non è solo tecnica, ma culturale: «Spesso i diversi dipartimenti non si parlano. Si parla di AI for business o AI for IT, ma senza un allineamento reale. Questo rallenta l’adozione e rende più complessa anche la governance dei dati».

Open source: perché la piattaforma conta più del modello

Un altro messaggio chiave riguarda il rischio di ridurre l’AI alla scelta del modello o del servizio cloud. Per Giorgio Galli, Director Tech Sales di Red Hat Italia, questo approccio è destinato a mostrare presto i suoi limiti. «Il tema non è quale modello scegliere, è disporre di un’architettura sostenibile», spiega Galli. «Siamo passati molto rapidamente dai grandi modelli agli agenti e ai sistemi di agenti. Per gestire questa evoluzione serve una piattaforma, non un insieme di tool scollegati fra loro».

E qui l’open source può giocare un ruolo chiave sia per i modelli che per l’intero stack: orchestrazione, MLOps, gestione delle risorse hardware, portabilità dei workload. «L’obiettivo è poter far girare qualsiasi modello, su qualsiasi acceleratore, su qualsiasi infrastruttura», aggiunge Galli, richiamando il paradigma dell’hybrid cloud applicato all’AI.

Sovranità digitale: dal dato al supporto operativo

Accanto all’AI, la sovranità digitale emerge come priorità strategica per le aziende italiane, in particolare nei settori regolamentati e nella pubblica amministrazione. La survey evidenzia come trasparenza, verificabilità e sicurezza della supply chain siano i fattori più rilevanti nelle strategie di cloud sovereignty.

In questo senso, Red Hat ha annunciato il Confirmed Sovereign Support per l’Unione Europea, un modello di supporto dedicato, gestito da personale UE e con dati mantenuti all’interno dei confini europei. Si tratta di un’iniziativa pensata per rispondere alla crescente richiesta di controllo operativo localizzato, che garantisce che il supporto tecnico per le sottoscrizioni Red Hat venga erogato da personale cittadino dell’Unione Europea e operante esclusivamente all’interno dei confini UE. Anche i dati di supporto vengono archiviati e gestiti in Europa, nel rispetto delle normative comunitarie e dei requisiti di conformità.

Il perimetro della sovranità, in questo caso, non si limita quindi all’infrastruttura o alla collocazione dei workload, ma si estende alle persone, ai processi e alle modalità di erogazione del servizio. Un aspetto particolarmente rilevante per le organizzazioni che operano in contesti ad alta regolamentazione, dove la continuità operativa e l’audit dell’intera catena di fornitura tecnologica diventano requisiti essenziali.

Ecosistema e competenze

La questione delle competenze è una spina nel fianco per la diffusione dell’AI. Il 40% delle aziende italiane segnala una carenza significativa di skill in ambito intelligenza artificiale, un dato inferiore alla media EMEA ma comunque rilevante se si considera l’ambizione di scalare rapidamente i progetti. Le difficoltà non riguardano solo profili altamente specialistici, ma anche la capacità di collegare l’intelligenza artificiale ai processi di business esistenti.

Dalla survey emerge come le priorità siano l’educazione del business all’uso dell’AI e la capacità di collegare i modelli ai dati aziendali, prima ancora dell’ottimizzazione delle funzionalità avanzate. È un’indicazione chiara: il gap non è solo tecnico, è principalmente culturale. Senza una comprensione diffusa delle potenzialità e dei limiti dell’AI, le organizzazioni faticano a definire casi d’uso realistici, metriche di valore e percorsi di adozione sostenibili.

«Stiamo investendo molto su formazione, centri di eccellenza e collaborazione con i partner», chiosa Cannavò. «L’ecosistema è la chiave per superare l’incertezza sul ROI, attraverso casi d’uso concreti e già validati».

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