Di solito, tutto comincia con un mal di pancia. Quello, in genere, di un manager, di un Process Owner: quando ‘sente’ che qualcosa non gira troppo giusto nell’execution di quei processi aziendali interni di cui detiene la responsabilità, perché di fatto si discostano da quelli disegnati a tavolino e generano, anzi, più variazioni sul tema, e a volte persino sorprendenti. Proprio dal tentativo di risolvere tale questione nasce il Process Mining.
Indice degli argomenti
Process mining, una definizione sintetica: cos’è e a cosa serve
Che cos’è il process mining? In sintesi, si tratta di una tecnica di process management che consente l’analisi dei processi di business basati sui log degli eventi. In pratica, sfruttando gli algoritmi di data mining, appunto, ai log, si estrae la conoscenza necessaria per individuare informazioni e modelli afferenti al sistema informativo. Scopo del process mining è migliorare il sistema informativo stesso per modellare i processi o sviluppare ulteriori operazioni per innovarli.
L’avvento del Process Mining
Molto spesso un responsabile di un processo si ritrova con l’esigenza impellente non solo di avere davanti a sé un quadro oggettivo dei punti di forza e delle aree di debolezza dei processi interni e d’interfaccia, ma anche di dotarsi di “sistemi intelligenti” per monitorare le performance effettive di quei processi sotto esame e di sviluppare intorno a sé, e costantemente, le competenze in grado di accompagnare l’execution verso una maggiore agilità.
Ben prima dell’avvento dell’era digitale, nei lontani anni Ottanta, per sanare un “mal di stomaco” da bad execution, la terapia più consigliata consisteva in una dose più o meno massiccia d’interventi e di attività di Bpr-Business Process Reengineering: culminanti spesso in una lunga, macchinosa e costosa campagna d’interviste ai collaboratori interni e in una parallela montagna di documenti e di progetti, spesso e volentieri destinati a restare nei cassetti. Una terapia talmente impegnativa e onerosa (nonché dagli esiti incerti) finora tante aziende “costipate” hanno preferito sottoporvisi in media ogni 10-15 anni. E intanto, però, il mercato, l’evoluzione continua dei regolamenti, lo scenario competitivo viaggiano a pieno ritmo.
Già verso la fine degli anni Novanta, nei Paesi che per primi e con più convinzione l’avevano adottata, la cura del Bpr ha iniziato a mostrare in maniera molto chiara i propri limiti di applicabilità e di efficacia, senza però essere mai completamente abbandonata, o rigettata. Ancor oggi, molte delle iniziative di riorganizzazione dei processi aziendali avviate in Italia (e non solo) sono basate sulle stesse tecniche del Bpr degli anni Ottanta.
Ma con la progressiva penetrazione della digitalizzazione in tutti i principali processi, s’è via via cercato di passare a discipline che avvicinassero di più il business a tutte le funzioni interne all’azienda, e soprattutto a quelle più capaci di supportare il cambiamento, cercando di far emergere strumenti e tecniche che consentissero di effettuare analisi di processi molto più rapidamente e di apportare innovazioni incrementali. Ed è sbocciata, così, l’era del Bpm-Business process management e dell’ormai imprescindibile contributo offerto dai sistemi informativi e dalle applicazioni alla gestione dei processi aziendali in chiave di business.
Nell’alveo di questo percorso è nato il Process Mining, una tecnica che sta conoscendo una rapida diffusione, soprattutto in Nord America, Australia e Nord Europa.
Capire i processi dai dati, non dalla teoria
“Il Process Mining – ha spiegato Stefano Aiello, Senior Advisor della Digital Transformation Academy del Politecnico di Milano – si basa sui dati di log delle applicazioni. Oggi, la maggioranza dei processi core di un’azienda, e includo anche i processi di staff, è informatizzata. Non importa quanto bene e quanto male, e se magari con applicativi legacy: il Process Mining non è ‘schizzinoso’. Benché il principio di base sia, tutto sommato, piuttosto semplice, si tratta di una tecnica basata su algoritmi alquanto complessi, ai quali hanno lavorato ininterrottamente per 12 anni due gruppi di ricerca: uno di Eindhoven, in Olanda, e uno di Melbourne, ma inizialmente operativo a Brisbane. Entrambi i gruppi, adeguatamente finanziati dagli enti governativi di riferimento, hanno sviluppato strumenti open source che permettono di estrarre il funzionamento della macchina operativa non dalle interviste, ma dai dati stessi”.
Who's Who
Stefano Aiello
Come opera il Process Mining?
“Partendo dai dati di log dei sistemi informativi a supporto dei processi di business che eseguiamo tutti noi ogni giorno – ha illustrato Luca Flecchia, Senior Advisor della Digital Transformation Academy –il Process Mining applica una serie di tecniche di Data Mining per andare a pulire, filtrare e scoprire pattern ricorrenti e correlazioni tra i dati e vi accompagna alcuni algoritmi di machine learning per attivare la discovery automatica dei modelli di processo.
Who's Who
Luca Flecchia
In questo modo, partendo da come il processo viene eseguito sui sistemi informativi, riesco ad avere una rappresentazione del modello di processo per come viene realmente eseguito, e non per come viene ‘descritto’.
A questo punto, posso fare fondamentalmente due cose. Innanzitutto, posso fare una comparazione: da un lato posso guardare com’era stato disegnato il processo, dall’altro come di fatto viene eseguito. Posso vedere così se sono sovrapponibili oppure se sono diversi, e quanto, dove e perché sono diversi
E diventa possibile analizzarne in modo molto più puntuale le performance, per andare a capire se e dove ho dei problemi, se ci sono delle attività ripetute, e quindi degli sprechi, oppure dei colli di bottiglia. A questo punto, applicando le tecniche di Business Process Management, posso rivedere, ridisegnare e ottimizzare i miei processi per migliorarne alla fine le performances”.
Per fare tutto questo, peraltro, non è strettamente necessario applicare le tecniche di Process Mining a una mole di dati particolarmente consistente.
Servono 3 informazioni
“Di base – ha precisato Luca Flecchia –, si ha bisogno di tre informazioni essenziali: innanzitutto dell’identificativo del processo o dell’istanza. Poi devo sapere quale attività è stata svolta, e quindi l’identificativo dell’attività di business. E, infine, serve avere almeno un’informazione temporale su tale attività: quand’è iniziata o, meglio ancora, quand’è finita. Questo è il set minimo d’informazioni richieste: è chiaro che più se ne hanno, più analisi si possono condurre. Se per esempio si sa quando l’attività è iniziata e quando è finita, si potranno fare delle analisi non solo sugli intervalli temporali delle attività ma anche differenziando i tempi di servizio e quelli di attesa. O, ancora: se si hanno informazioni sulle risorse impiegate, si potrà fare una Network Analysis per vedere come le risorse si scambiano le attività, se ci sono colli di bottiglia o qualche altro genere di problemi. Infine, se ci sono informazioni sui costi collegati, ovviamente si possono anche fare delle simulazioni per capire quanto gli interventi previsti andranno a impattare economicamente sul processo”.
Process Mining e compliance
E se il primo campo di applicazione delle tecniche di Process Mining può essere quello della revisione di un processo, un altro loro utilizzo particolarmente proficuo è nell’ambito della compliance, perché permettono di far emergere la mappa dei processi con un costo e con una precisione ben diversa da quella ottenibile con le classiche interviste.
“Non va mai dimenticato – ha sottolineato Aiello – che il Process Mining non lavora su un campione di dati più o meno esteso, ma su tutti i dati, all’interno di un periodo temporale considerato sufficientemente rilevante per un’analisi significativamente utile, così come su tutte le istanze di un processo. Dopodiché posso decidere, chiaramente, su quale porzione di dati, su quale tipologia di segmenti, di cluster di dati mi voglio concentrare. E si può ricorrere al Process Mining anche per supportare azioni di Mergers & Acquisitions. Ma il suo potenziale utilizzo non va inteso solo nell’accezione più classica. E cioè: prima guardo il passato, poi faccio delle analisi e infine intervengo. Il Process Mining permette di operare anche in real time, proprio mentre sto gestendo un processo: così, per esempio, se sto avviando un processo di cambiamento, posso vedere come la mia organizzazione reagisce a tale cambiamento e predisporre eventuali azioni di sostegno e di accompagnamento”.
“Il salto culturale necessario per affrontare il Process Mining – ha voluto sottolineare Aiello – non è meramente tecnologico, anche se servono senz’altro competenze di alto livello, come per esempio quelle dei data scientist, competenze a tutt’oggi scarsissime: e non solo in Italia, ma anche a livello mondiale. Il vero salto culturale lo deve fare il Process Owner, che deve cercare innanzitutto di capire come può avvalersi del Process Mining e quali risultati può ottenere utilizzando queste tecniche”.
Dopodiché, man mano che l’esigenza primaria di portare valore in azienda risulti soddisfatta, con la collaborazione anche di competenze esterne, si può gradualmente procedere alla ‘costruzione’ di quelle interne. Per arrivare infine alla scelta e all’acquisto della soluzione IT più congrua per ‘industrializzare’ al proprio interno un sistema di Process Mining.
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